LA FENICE

di Michela


Parte 1


Quello era di certo il posto più lussuoso in cui avessi messo piede, il ristorante più elegante di tutta la città… entrando nella piccola sala privata, illuminata dalle candele, non avevo potuto evitare di girarmi intorno con gli occhi spalancati, tovaglie di puro lino, tende suntuose, decorazioni al soffitto… mia madre si era accomodata con grazia, fingendo che quella fosse un’abitudine… mio padre invece, all’altro lato del tavolo, era visibilmente agitato, ancora troppo spaventato dal luccichio delle posate d’argento per riuscire a sfogliare il menu…
“Il Signor Gordon è stato davvero gentile a regalarci questa cena.”
Mio padre era scattato sulla sedia, asciugandosi la fronte col polsino della camicia…
“Non lo so tesoro, continuo a pensare che ci sia stato un errore… il mio capo non ha mai regalato premi agli impiegati.”
“Andiamo Remì, dopo vent’anni di servizio alla sua azienda credo che sia un premio del tutto meritato.”
Mio padre continuava a guardarsi intorno, ancora spaventato dall’idea di ordinare la cena…  chiedere solo un’insalata sarebbe stato un peccato, ma d’altro canto scegliere ostriche e caviale poteva rivelarsi una mossa azzardata… forse quello era una specie di test, forse il Signor Gordon ci stava osservando da lontano aspettando che lui commettesse un errore… del resto il suo capo era conosciuto più per il brusco temperamento che per le sue gentilezze… non lo aveva mai incontrato di persona in tutti quegli anni, mai avuto alcun segno o messaggio dai piani alti, eppure, due mattine prima, uno dei consiglieri era entrato nel suo piccolo anonimo ufficio e sorridendo gli aveva comunicato della prenotazione alla Salle de Paris… un premio meritato per un impiegato così efficiente e leale…
“Cosa ordiniamo?” Mia madre era senza dubbio la più entusiasta di noi tre.
Papà aveva sfogliato il menu con attenzione, scorrendo i prezzi prima ancora di leggere a quale piatto corrispondessero… alla fine avevamo optato per due filetti ed un piatto di pasta… da bere acqua, ovviamente… il cameriere ci aveva squadrati senza darlo troppo a vedere, probabilmente avevamo scritto chiaro in faccia la nostra provenienza: quartiere residenziale…
“Vado a lavarmi le mani…”
Così mi ero alzata per raggiungere la toilette, il bagno più grande e splendente che avessi mai visto nei miei sedici anni di vita… tutto in quel posto era “più di quanto avessi mai”… guardandomi nell’enorme specchio notai quanto quella stanza fosse immacolata, nemmeno l’alone di una goccia d’acqua sulla porcellana bianca… meglio mangiare con le mani sporche che rovinare quella perfezione… scrollai le spalle e mi avviai verso la porta, abbastanza lentamente da cogliere delle voci sconosciute provenienti dalla sala… che mio padre avesse ragione? Forse li stavano avvertendo dell’errore… aprii la porta lo stretto indispensabile per ascoltare e riuscire a cogliere uno spicchio della scena…
“Salve signori…”
Due uomini in completo scuro se ne stavano dritti davanti al tavolo… potevo vederli solo di spalle, ma di certo erano sconosciuti…
“Salve… c’è qualche problema?”
Ecco, adesso mio padre stava davvero sudando… che vergogna essere cacciati da un posto così…
“A dire la verità credo proprio di sì…”
“Che succede?”
Uno dei due si era mosso, circondando il tavolo fino a raggiungere l’altro lato della stanza… adesso riuscivo a vederlo in viso, ma quei tratti così seri non mi dicevano niente…
“Aspettavamo il Signor Gordon stasera… avevamo una questione importante da risolvere.”
Papà aveva sollevato le spalle, istintivamente intimorito da quelle facce sconosciute ed impassibili…
“Mi dispiace signori, ma non credo che il capo verrà… ha regalato questa cena a me e alla mia famiglia quindi…”
“Quindi non verrà...” lo aveva interrotto l’altro arricciando le labbra come se dovesse pensarci su “..è davvero un peccato.”
ll tono gentile e liscio come il velluto, da dare i brividi…
“Mi dispiace.”
Il tizio di spalle aveva infilato le mani in tasca… “Oh mi creda, dispiace anche a me dover rovinare la vostra cena…”
“Prego?”
Da quel momento tutto era successo in una manciata di secondi, il tizio di spalle aveva tirato fuori la pistola, mentre l’altro aveva messo le mani attorno al collo di mia madre… papà si era alzato di scatto…
“La prego, qualsiasi cosa sia noi non c’entriamo niente.. davvero.. sono solo un semplice impiegato.. Remì Arnaul... un semplice impiegato.. la prego…”
“Davvero non dubito delle sue parole signor Arnaul, ma è tempo che Gordon impari la sua lezione… non si sfugge agli Shimamura...”
Uno sparo… un solo unico sparo… mo padre era caduto in un tonfo sordo, il rumore del suo corpo coperto dalle urla di mia madre.
Davanti a quella scena mi ero coperta la bocca con le mani, tanto stretta che non potesse uscirne neanche un suono, nemmeno un respiro… scostandomi dalla porta avevo cercato appoggio al muro, totalmente paralizzata dal terrore e dal disgusto…
“Remì! No Remì!”…la voce stridula di mia madre come unico sottofondo.
Un secondo sparo… secco… poi il silenzio.
Di nuovo avevo impedito a me stessa di urlare, mossa esclusivamente dall’istinto di sopravvivenza… così ero finita dentro la toilette, la porta chiusa a chiave senza via di fuga, arrampicata sul water immacolato, le ginocchia strette al petto ed il viso inondato dalle lacrime… silenziose lacrime di paura… ora sarebbe stato il mio turno.
La porta si era aperta lentamente, i passi dello sconosciuto pesanti sul parquet… il tizio si era guardato intorno, quel bagno non era stato usato di recente, nemmeno una goccia d’acqua nel lavandino… accovacciandosi lo stretto indispensabile aveva esaminato la fessura sotto la porta della toilette… nulla anche lì…
“Il bagno è pulito signore!”
“Bene… andiamocene allora…”
Dopo l’ultimo stridio della porta era passata un’eternità… o forse solamente cinque minuti… il tempo si era fermato… il mondo intero si era fermato.
Sedici anni, nessun fratello o sorella…. parenti più prossimi all’altro capo degli Stati Uniti… cheerleader al terzo anno di liceo, presidentessa nonché stella nascente della classe di recitazione… Capelli biondi e grandi ambizioni… l’orgoglio di mamma e papà…
Sedici anni… sola al mondo…
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SEI ANNI DOPO
Sorrisi a me stessa trovando finalmente la stanza 127b… era stato un lungo viaggio quello da New York, ma ora la stanchezza sembrava sparita… non vedevo Tyler da quasi un anno, da quando il mio ragazzo aveva deciso di proseguire gli studi di ingegneria a Jhoannesburg… l’ambizione del resto era una delle tante cose che avevamo in comune… dopo interi mesi di comunicazioni virtuali quella di partire era stata un’esigenza naturale, l’idea di fargli una sorpresa una piacevole aggiunta… già dall’aeroporto pregustavo la faccia di Tyler non appena avessi aperto la porta, impaziente per quello che sarebbe avvenuto subito dopo… bussai decisa passando un’ultima volta l’altra mano tra i capelli.
Al di là della soglia il viso deluso ed assonnato di una ragazza dalla chioma scura... le gambe ed i piedi nudi che spuntavano da una t-shirt da uomo…
“Non sei la mia pizza…”
Sollevai un sopracciglio… di certo avevo sbagliato stanza…
“Scu… scusami… devo aver sbagliato piano, stavo cercando…”
Il nome mi morì in bocca. “…Tyler...”
Eccolo lì, addosso solamente i pantaloni scoloriti di una tuta e due grosse occhiaie da chiaro dopo sbronza… se non altro ero riuscita ad ottenere la faccia stupita che tanto avevo sognato…
“Françoise… non è come sembra.”
Avevo inclinato il viso passando gli occhi dal mio fidanzato alla sconosciuta… le labbra serrate ed il respiro prolungato per evitare di scoppiare in lacrime o peggio, uccidere uno dei due…
“Lascia stare…” …riuscii infine a dire, due sole parole, ruvide in gola come carta vetrata… strinsi la presa intorno al trolley e girai i tacchi senza bisogno di altre spiegazioni… dovevo uscire dal campus universitario il più presto possibile, solo una volta fuori di lì mi sarei concessa di sentirmi una perfetta idiota.
I passi di Tyler mi seguivano incerti per i corridoi… cavolo, doveva davvero essere stata una sbronza epocale se nonostante anni di atletica non riusciva a starmi dietro… meglio così…
“Lasciami in pace!”
“Aspetta! Lascia che ti spieghi!”
Avevo inchiodato i passi davanti all’ultimo portone… “Cosa vuoi spiegare Tyler? Vuoi forse dirmi che non fai sesso con quella lì?”
I suoi occhi fissi al pavimento avevano risposto… “E’ successo, è semplicemente successo… ma questo non vuol dire niente, non ho mai pensato di lasciarti… sarebbe rimasto tutto qui…”
“Ma dici sul serio!?” improvvisamente era salita la voglia di prenderlo a schiaffi…
“Ti prego Françoise, lei non significa nulla per me.. mi sentivo solo e allora…”
Il suono secco del palmo della mia mano sulla guancia di Tyler aveva rapidamente messo fine a quella serie di fandonie… solo? Si sentiva solo?? E io allora? Io che come una stupida mi ero chiusa a vita monastica? Che avevo speso un intero stipendio per quel viaggio? Che mi fidavo ciecamente di lui?
Senza degnarlo di un ulteriore sguardo uscii dall’edificio e trascinai la valigia fino alla strada… giustizia divina volle che dopo una simile umiliazione ci fosse almeno un taxi libero ad aspettare… mi lasciai cadere sul sedile…
“All’aeroporto...”
Immediatamente rovistai nella borsa alla ricerca del cellulare… mai prima di quel momento ero stata tanto felice che una delle mie migliori amiche lavorasse per l’American Airlines…
“Ehi! Tutto bene? Sei riuscita a trovare Tyler?”
Ignorai il suono odioso di quel nome e la voce trillante di Catherine…
“Sto tornando all’aeroporto… devi trovarmi immediatamente un volo di ritorno per New York...”
“Come dici? Ma che è successo?”
“Ti dico solamente che sono stata io a ricevere la vera sorpresa… trovami quel volo ti prego...”
“Ma stai bene?”
“Sì Cathy, sto bene… ho solo bisogno di tornare a casa…”
“Aspetta… non credo che ci siano voli per New York questa sera…”
“Non credi?”
“No… dovrai aspettare domani…ti prenoto un posto sul volo delle dieci...”
“E’ davvero possibile che non parta nulla fino a domani? Ti prego Cathy, non importa quanti lunghi scali dovrò sopportare, non voglio restare in questo maledetto paese un minuto di più!” … uno sguardo veloce al tassista sperando di non aver offeso il suo spirito patriottico…
“C’è un solo volo stasera, ma non puoi prenderlo.”
“Che vuol dire che non posso prenderlo?”
“Credimi, è meglio aspettare fino a domani.”
“Cathy…” …il tono a metà tra l’ammonimento e la disperazione.
“Parte alle sei, ma non è un normale volo di linea… ci saranno delle persone a bordo, persone che sarebbe meglio evitare…”
“La smetti con questi misteri per favore?” …un’occhiata all’orologio… cinque meno dieci… perfetto… “…prenotami un posto su questo famigerato volo e ti prego, fammi saltare la fila al check in…”
Il sospiro di Catherine all’altro capo era stato lungo ed incerto…  “…sei davvero sicura di non poter aspettare?”
“Ho appena trovato il mio ragazzo a letto con un’altra… no, non posso aspettare…”
Di nuovo un sospiro…  “…allora è meglio che forse ti spieghi prima... questo volo sarà usato per un trasporto speciale...”
“Trasporto speciale?”
“Esatto… in casi eccezionali le forze dell’ordine utilizzano i normali voli di linea per trasferire all’estero i detenuti estradati… e questo è uno di quei casi…”
“Vuol dire che il mio aereo sarà pieno di poliziotti? Beh, nella remota ipotesi di un dirottamento aereo suppongo che la cosa potrebbe tornarmi utile…”
“Non è così semplice Fran… non dovrei nemmeno dirti certe cose…” …l’ennesimo lungo sospiro “…si tratta di una procedura complessa, utilizzata dalle autorità internazionali solo per il trasferimento dei peggiori criminali… non so se mi spiego, assassini, attentatori, capi mafiosi…”
Sollevai le sopracciglia cercando di trovare un senso logico a quel discorso da film d’azione… Catherine tuttavia sembrava davvero preoccupata…
“Ho capito Cathy… vedrò di stare lontana dai poliziotti e dal tizio in tuta arancione…”
“È questo che mi preoccupa Fran… non vedrai alcun poliziotto tantomeno divise carcerarie… saranno tutti vestiti in abiti borghesi e mischiati agli altri passeggeri, compreso il criminale in questione…”
“Mh… avrà almeno le manette spero.”
“No...”
A quella risposta secca mi tirai su dal sedile, dal finestrino riuscivo già a scorgere le piste dell’aeroporto… tornarmene a casa era ciò che più desideravo, ma il tono preoccupato di Catherine stava cominciando a farmi agitare…
“…lo scopo di questi trasporti è passare totalmente inosservati, senza che la stampa o gli affiliati si accorgano di nulla… nessuno penserebbe mai di avere un assassino seriale seduto al proprio fianco su un volo in economy class, giusto?”
“Quindi non c’è modo che io possa riconoscerlo e stargli lontano?”
Catherine aveva impercettibilmente abbassato la voce “… sei davvero certa di non poter aspettare fino a domani?” …l’immagine della ragazza mora con addosso la maglietta sudata di Tyler mi si piantò davanti agli occhi… “…ti prego Cathy, fammi tornare a casa… ti prometto che non mi succederà niente…”
Il tono della mia amica ora ancora più basso… “…ok, ascoltami bene però…” …avevo stretto il cellulare all’orecchio per riuscire a sentirla nell’improvviso caos della stazione aerea… “…non dovrei dirtelo, ma da quello che so le autorità hanno un’idea precisa dell’outfit borghese… jeans, maglietta chiara e scarpe da tennis… l’unico particolare che rende il detenuto riconoscibile è un braccialetto d’acciaio al polso sinistro…”
Sollevai gli occhi rendendomi conto solo in quel momento che il taxi si era fermato, mentre il tassametro continuava a girare…
“Braccialetto ok, starò lontana dai braccialetti… sono già all’aeroporto, ci sentiamo tra qualche ora…” …allungando tre banconote al tassista raccolsi i miei pochi averi e chiusi lo sportello, la comunicazione ancora aperta…
“Sta’ attenta Fran...”
“Grazie Cathy... sei un’amica, davvero…”
Mi tuffai nella folla vociante del Tambo Airport, accompagnata dal solo pensiero fisso di un braccialetto d’acciaio…
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CENTRO DI POLIZIA DI JOHANNESBURG
Il capitano buttò giù il telefono con un gesto di nervosa esasperazione… si passò le mani sulla faccia dopo un’intera notte insonne… la porta dell’ufficio si aprì di colpo…
“Salve capitano...”
“A te Tony…”
L’altro agente sospirò con un sorriso…  “…non riesco a credere che l’abbiamo preso davvero… non posso credere che il famoso Mamba sia sul serio ammanettato nella stanza accanto...”
Il capitano scosse la testa…  “…credi a me, questo è un onore di cui avrei volentieri fatto a meno…”
Tony aggrottò la fronte…  “…ci sono problemi capitano?”
L’altro mandò giù un sorso di caffè nero ignorando per un attimo la mole di carte e documenti sparsi sulla scrivania…  “…nessuno lo vuole… tantomeno io…” …Tony si avvicinò afferrando una cartella a caso… “…è nato a Londra giusto? Contattiamo l’ambasciata inglese…”
“Ho appena concluso un’interessante conversazione con Scotland Yard, non hanno la minima intenzione di immischiarsi in questa faccenda...”
Tony si grattò la fronte… “…e se lo processassimo qui?”
Il capitano lo guardò come se gli avesse appena chiesto di ballare nudo di fronte al Presidente…  “…sai bene di chi stiamo parlando… non ho nessuna intenzione di attirare su questo paese l’interesse degli Shimamura…”
“Eppure i giapponesi non si sono fatti troppi problemi quando hanno chiuso in cella suo fratello…”
Il capitano scosse la testa… “…quando si ha a che fare con loro è solo questione di tempo… dobbiamo liberarci di lui il più presto possibile...”
“E’ ricercato in più di dieci paesi, qualcuno dovrà pur prenderselo...”
In quel momento il telefono squillò di nuovo, all’altro capo del filo il Capo Bureau dell’Ufficio per il controllo del crimine organizzato di New York…
“Salve Capitano Wilson… a quanto mi dicono ha qualcosa che potrebbe interessarmi...”
Il capitano si schiarì la voce… “…vi interessa?”
“Certo che ci interessa… quella famiglia muove i fili della criminalità americana da troppo tempo e mai come ora abbiamo bisogno di un colpo di scena che riporti l’attenzione pubblica sull’efficienza delle nostre autorità...”
“Già… dimenticavo che siete in campagna elettorale...”
“Quando crede di potercelo consegnare?”
“Anche subito...”
“Bene, in tal caso mettetelo sul volo EHF7873 delle sei… solita procedura…”
“Solita procedura…”
La comunicazione si chiuse senza ulteriori saluti, il capitano si lasciò sfuggire un sospiro liberatorio…
“Se lo prendono gli americani… preparalo per il volo...”
Tony annuì uscendo dall’ufficio ed entrando poco più tardi nella stanza vicina…
L’aria consumata che stagnava tra quelle quattro mura gli riempì le narici, sapeva di sangue secco e sudore… lanciò un sacchetto di plastica verso l’angolo e squadrò con ritrovata presunzione l’uomo ammanettato alla sedia… Joe Shimamura... Il Mamba, l’imprendibile Mamba, killer di precisione e membro di spicco della più potente famiglia filo-mafiosa ancora in circolazione…
Il Mamba sollevò la testa, sfinito dai mille colpi ricevuti e dalla dose massiccia di calmanti iniettati direttamente in vena… il suo viso tuttavia non lo dava a vedere, un’espressione fiera e sicura continuava a campeggiare tra i segni delle percosse… i suoi occhi poi, i suoi occhi scuri fissavano Tony come se fosse una preda, un povero piccolo agnellino smarrito... da far accapponare le pelle…
“Dobbiamo proprio darti una ripulita…” …esordì Tony raggiungendolo… “…te ne vai in America…”
Il Mamba si raddrizzò sulla sedia, sentir nominare gli Stati Uniti era dolce musica per le sue orecchie, decisamente meglio delle carceri afgane o cinesi… si schiarì la gola cercando di ignorare che fosse asciutta come il deserto…
“La telefonata...” …disse con voce roca, Tony aggrottò le sopracciglia… “…prego?”  …lui sospirò… “…ho diritto ad una telefonata...” …l’agente si morse il labbro controllando i nervi, per quanto odiasse quel criminale, non poteva comunque negargli un suo pieno diritto legale…
“Bene…” …replicò stizzito avvicinandosi ulteriormente a lui… sapeva di correre un rischio incalcolabile, ma non aveva nessun altro modo di compiere il suo dovere pur rispettando la carta dei diritti… doveva liberargli almeno una mano, consapevole del fatto che, nelle giuste circostanze, la forza di cinque dita sarebbe bastata al killer per spezzargli l’osso del collo in un momento… fortunatamente aveva in circolo una dose di benzodiazepine tale da stendere un cavallo…
Gli porse l’apparecchio telefonico e si voltò… maledetto diritto alla privacy…
Il Mamba attese di essere solo per comporre velocemente il numero impresso nella sua mente… da usare solo nelle emergenze… da usare solo in caso di arresto… da usare una sola ed unica volta…
Dopo due squilli sentì il respiro di suo fratello maggiore rispondere senza bisogno di parole, trenta secondi appena per parlare prima che la telefonata fosse rintracciabile…
“Volo con l’aquila… vedo la libertà…”
La linea cadde immediatamente e il Mamba lasciò cadere a terra anche il telefono, approfittando di quel momento per distendere i muscoli del braccio… incredibile trovarsi in quella situazione, il più brutale degli Shimamura catturato durante la più stupida delle operazioni, un semplice ritiro di crediti nella Repubblica Sudafricana… tutta colpa di Jonah... l’unica cosa che gli aveva raccomandato quella sera era stata la puntualità… nient’altro, solo la puntualità… eppure il fratellino minore non si era smentito nella sua congenita incapacità di prendere le cose sul serio… dieci minuti di ritardo, ben dieci minuti di ritardo! L’avrebbe pagata, questo è certo…
Fortunatamente comunque, in aggiunta ad un fratello immaturo e sconsiderato, il destino gliene aveva fornito un altro, Jet, intelligenza e senso dell’onore sopraffini, un pianificatore perfetto… il Mamba sorrise a se stesso, sapeva già bene come sarebbe venuto fuori da quel fastidioso contrattempo… rischioso, ma necessario...      
Tony spalancò la porta della stanza accompagnato da altre tre persone in divisa, raccolse la busta di poco prima e ne tirò fuori degli abiti puliti… un paio di jeans, una t-shirt qualunque, un paio di anonime sneakers…
“Vediamo di fare una cosa veloce… prima ci liberiamo di questo bastardo meglio è…”

 

Parte 2


Ero riuscita a salire sull’aereo per prima, saltando la fila grazie al nome di Catherine... rincuorata dalla solitudine mi ero trascinata fino ai primi sedili, quelli adiacenti alla cabina del capitano… da quella posizione non avrei visto nessun altro dei passeggeri e quindi avrei evitato di chiedermi in continuazione quale degli sconosciuti fosse l’assassino... trovata la posizione più comoda possibile tirai fuori dalla borsa un libro, determinata a tuffarmi in una realtà parallela per le prossime diciotto ore… diciotto ore a migliaia di metri di altezza con un feroce criminale alle spalle… maledissi Tyler ancora una volta…
Diverse voci riempirono l’abitacolo a poco a poco, uomini di mezz’età, una simpatica signora sulla sessantina con un orribile cappello in testa, una giovane coppia… nonostante l’idea iniziale di estraniarmi totalmente non potei fare a meno di voltarmi e sbirciare più e più volte il portellone dell’aereo… lo stomaco continuava a contorcersi, incredibile quanti viaggiatori avessero optato per jeans e maglietta… tornai a fissare la parete grigia davanti a me, presi a tamburellare con le dita sui braccioli…
“Tutto bene?”
Di scatto mi voltai verso il ragazzo che aveva appena deposto il bagaglio a mano dall’altro lato del corridoio… non potei fare a meno di esaminarlo mentre toglieva anche la giacca… jeans… maglietta grigia… un paio di scarpe da ginnastica consumate ai piedi… scattai sul sedile… che fosse proprio lui?
“Sì…” …risposi incerta “…tutto bene…”
L’altro sorrise… “…anch’io ero terrorizzato all’idea di restare diciotto ore su un aereo la prima volta, ma se riesci a dormire un po’ passeranno molto più in fretta...”
Dormire? E come avrei mai potuto dormire sapendo di avere accanto uno spietato criminale?
Il ragazzo tirò su le maniche della maglia prima di accomodarsi ed allacciare la cintura intorno alla vita… i mie occhi si catapultarono sui suoi polsi… nessun braccialetto… riuscii finalmente a respirare… forse avrei dovuto accettare il consiglio di Catherine...
Cinque ore, centosettantatre pagine ed un pessimo pasto dopo, iniziai a sentire le gambe che chiedevano pietà… provando ad allungarle capii ben presto di non avere abbastanza spazio… senza contare che anche la vescica iniziava a brontolare… inspirai a pieni polmoni, dovevo alzarmi e raggiungere l’altro capo dell’aereo fino alla toilette… dovevo andarci per forza, nonostante l’inevitabile consapevolezza che in quei pochi passi sarei di certo passata accanto al criminale… Ok... posso farlo… devo solo alzarmi e tirare dritto fino al bagno senza alzare gli occhi… ce la posso fare...
Incoraggiata dalla mia stessa voce interna slacciai la cintura e mi misi in piedi, ignorando i dolorosi crampi alle ginocchia… passai le mani tra i capelli, detti una rapida rinfrescata all’abito ormai irrimediabilmente sgualcito, ed iniziai la mia impresa, un passo alla volta, gli occhi tenuti incollati alla moquette…
A metà strada qualcosa bloccò la mia marcia, lo scontro con un altro corpo… costretta a sollevare la testa mi trovai di fronte il sorriso cordiale di un’hostess in divisa blu…
“Tutto bene signora?”
“Sì, devo solo…” …senza specificare altro indicai la toilette con un cenno del viso… la ragazza in tailleur sorrise di nuovo… “…certo, prego…” …rispose educatamente spostandosi per lasciarmi passare… un altro passo appena e stavolta fu un vuoto d’aria a bloccarmi, lo sbalzo dell’aereo mi fece perdere l’equilibrio e finire maldestramente contro un altro dei passeggeri, seduto e beatamente perso nello schermo del proprio pc…
“Oddio, mi scusi!”
Mi sentii immediatamente addosso gli occhi di almeno metà delle persone presenti, l’imbarazzo vistosamente dipinto nel rosso delle mie guance… solita imbranata… subito sulla difensiva, decisi di riprendere la marcia per il bagno a testa alta, dimenticando in un secondo l’accaduto…
Fu solo allora che i miei occhi incrociarono uno degli sguardi fissi su di me… un ragazzo, venticinque anni o poco più, rigido contro il sedile, un fastidioso sorrisino divertito in faccia… deglutii respingendo una nuova ondata di vergogna, avrei voluto riportare il viso a terra, ma non mi riuscì facilmente come avrei creduto. Quello era senza dubbio l’uomo più bello che avessi visto in molto, molto tempo… capelli biondi, non troppo corti, mossi e spettinati, che li ricadevano sulla fronte coprendogli parzialmente lo sguardo… occhi scuri… lineamenti angelici, ma incredibilmente virili… zigomi perfetti e delle labbra… Obbligai me stessa a guardare altrove per un momento e riprendere fiato… labbra quasi disegnate, così intense da… scossi la testa senza rendermene conto, determinata a tornare alla realtà… l’attimo in cui riuscii finalmente a superare il suo sedile sembrò infinito, dopodiché la corsa verso il bagno…
Mi guardai immediatamente nel minuscolo specchio… solita sfortuna… solita maledetta sfortuna… il ragazzo più bello che avessi mai visto è lì, sul mio stesso aereo, intrappolato con me per le prossime tredici ore, ma i miei capelli sono un casino e la mia faccia porta i segni di due voli extracontinentali in tre giorni… senza contare che avrei dovuto preoccuparmi di ben altre cose, vedi il fallimento della mia storia con Tyler o la presenza di uno spietato boss mafioso tra i passeggeri…
Scossi la testa e lasciai scorrere l’acqua sulle mani insaponate, sperando che il liquido freddo lavasse via quei nitidi ed inopportuni pensieri sullo sconosciuto…
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Tenevo la schiena dritta contro il sedile, dovevo evitare di assumere posizioni innaturali e troppo stancanti per mantenermi pronto a scattare… le mani poggiate sui braccioli e l’aria più indifferente che mai… i poliziotti erano sparsi per tutto l’aereo, potevo facilmente individuarli anche a distanza… il resto della marmaglia composto da persone del tutto insignificanti…
Strinsi i denti e tesi i muscoli del collo tornando a contare il tempo… ormai dovevamo già essere sopra l’oceano… ormai doveva mancare poco… trattenni a stento l’istinto di stirarmi, le guardie erano ancora convinte che fossi sedato e dovevo impegnarmi per mantenere tale convinzione… nessuno poteva sapere che durante l’addestramento mi avevano iniettato pressoché qualsiasi tipo di sedativo, droga o veleno, sempre in piccole quantità affinché il mio organismo ne diventasse immune… qualsiasi movimento troppo ampio o veloce avrebbe rischiato di compromettere la copertura…
Inspirai… avrebbero almeno potuto darmi un libro o un lettore mp3… quel viaggio stava davvero diventando noioso… sino a che il piano di Jet non fosse scattato, ogni minuto sarebbe stato lungo il triplo…
L’ingorgo creatosi al centro del corridoio richiamò la mia attenzione, non che qualcuna di quelle persone avesse la minima importanza o attrattiva per me, ma tanto valeva concentrarsi su altro…
L’hostess in divisa blu mi dava le spalle, anche da dietro era del tutto anonima, una bellezza nella media non degna della mia attenzione… fu solo quando l’hostess si tolse di mezzo che qualcosa riuscì finalmente a catturare il mio interesse… qualcuno, ad essere precisi… una ragazza, una giovane ragazza impacciata alle prese con un vuoto d’aria… vedendola crollare addosso al tizio con gli occhiali non riuscii a non sorridere, l’accenno di un sorriso genuinamente divertito…
La sconosciuta si era tirata su e le sue guance si erano accese di rosso, un rosso talmente innocente da attirare la mia completa concentrazione… accantonato il piano per un attimo mi concessi di osservare la totalità della sua figura, senza che alcun particolare sfuggisse ai miei occhi esperti… lunghi capelli dorati, lasciati liberi sulle spalle... pelle bianca e perfetta, così chiara che i suoi occhi azzurri sembravano saltare fuori dal viso, grandi ed incerti… scorrendo più giù ne accarezzai la figura minuta sotto il vestito blu scuro, da come le cadeva sui fianchi ero certo che il sottile strato di tessuto nascondesse misteri altrettanto interessanti…
Se solo non mi fossi trovato in quella situazione, se solo quello fosse stato un semplice viaggio d’affari. Deglutii istintivamente mentre lei mi sfilava accanto scomparendo dalla mia vista… in altre circostanze mi sarei già alzato e l’avrei seguita nella toilette… in altre circostanze l’avrei spinta dentro senza nemmeno dirgli il mio nome… in altre circostanze le avrei già strappato di dosso quell’insignificante abito blu…
Mi irrigidii contro il sedile scoprendo con piacere che, nonostante la situazione, il mio corpo rispondeva ancora benissimo agli stimoli… peccato non poter sfogare quella voglia improvvisa… l’immagine della ragazza mi riempì la mente… spinta contro il minuscolo lavandino, le gambe aperte, avvinghiate intorno ai miei fianchi, le guance tinte dello stesso rosso che le avevo visto addosso poco prima… non più di vergogna, ma di puro piacere… il mio nome pronunciato più e più volte come una preghiera…
Poggiai la testa all’indietro ridendo dei miei stessi pensieri… se ne avessi davvero avuto modo l’avrei presa come nessun altro prima, sicuro che non se ne sarebbe dimenticata… nessuna donna dimentica le mani del Mamba… io, d’altro canto, l’avrei scordata subito dopo, lasciando che il ricordo del suo sapore e dei suoi gemiti si mischiasse a quello di tutte le altre donne passate per il mio letto…
Lo scatto della porta della toilette mi riportò alla realtà, in attesa, con la coda dell’occhio, che la sconosciuta ricomparisse… i suoi passi lenti e leggeri, quasi volesse ritardare l’incontro il più possibile… sollevai l’angolo della bocca in una smorfia compiaciuta, certo del mio effetto sulle donne, la mia arma preferita dopo i coltelli affilati…
L’intenso profumo dolciastro di fiori e vaniglia raggiunse le mie cellule olfattive, riaccendendo in un istante la fantasia erotica… doveva essere quello l’odore della sua pelle… come avevo potuto non notarlo prima? Ed eccola comparire al mio fianco, impossibile resistere alla tentazione di seguirla con gli occhi e sorriderle. .. la sconosciuta esitò appena in prossimità del mio sedile, quasi spaventata all’idea di incontrarmi ancora... Voltai la testa verso di lei, deciso a memorizzare ogni dettaglio prima di lasciarla sfilare via… lei rispose al mio sguardo, un velo d’imbarazzo in viso mentre si sforzava di restare impassibile… i suoi grandi occhi chiari brillarono contro i miei, iridescenti come opali…mai visti occhi così prima… di colpo l’idea che dovesse morire mi chiuse lo stomaco… che gran peccato…
Quasi mi avesse letto nel pensiero la ragazza abbassò lo sguardo, seguendo la linea delle mie braccia sotto la t-shirt, schiudendo appena le labbra rosse, accarezzandomi il braccio sinistro con gli occhi, fino alla mano, fino alla punta delle dita… l’incontro di pochi passi diventato una scena a rallentatore…
Di colpo la magia si interruppe, la vidi spalancare gli occhi ed irrigidirsi, l’imbarazzo divenuto paura in un secondo… spiazzato da un simile repentino cambiamento d’umore, individuai immediatamente il punto preciso che lei stava fissando, la causa di quell’improvviso, incomprensibile spavento… le mie pupille finirono a guardare il mio stesso polso, stretto dentro quell’orrendo braccialetto di metallo… il braccialetto…
Sollevando la testa immediatamente mi accorsi che la ragazza era già in fondo all’aereo, come se dal mio sedile in poi avesse corso verso la sicurezza… socchiusi le palpebre serrando le labbra… lei sapeva… la sconosciuta sapeva del braccialetto e di cosa volesse dire… la ragazza dell’aereo conosceva la mia identità… fissai il sedile davanti quasi potessi attraversarlo ed arrivare fino a lei… non era una poliziotta, di questo ero sicuro, tantomeno un’agente di sicurezza o una diplomatica americana immischiata nel mio caso... era una ragazza qualunque in volo da Johannesburg… come poteva conoscere la regola del braccialetto? E come mai io invece non avevo idea di chi fosse? Morsi piano il labbro inferiore… Jet avrebbe fatto meglio a muoversi col suo piano di fuga, altre tre ore con quel dubbio e avrei finito per avere un terribile mal di testa…
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Ero crollata sul sedile allacciando la cintura immediatamente dopo, quella breve corsa a passi veloci sembrava avermi sfinita… inspirai piano, ripassando a mente ciò che avevo appena vissuto… lo sconosciuto sexy, i suoi occhi addosso, la sensazione di calore improvvisa, l’impressione di essere nuda davanti a lui… il suo mezzo sorriso da cattivo ragazzo, i muscoli scolpiti sotto la maglietta bianca, l’avambraccio teso, un braccialetto anonimo al polso, le mani lasciate riposare sui jeans… cosa avrebbero mai potuto farmi quelle mani?   Aspetta… il cervello si era riacceso in un flash… jeans.. braccialetto… maglietta bianca… ragazzo cattivo… braccialetto… braccialetto d’acciaio… assassino… lui… lui è l’assassino… il mio cuore aveva preso a battere come una mitragliatrice ed i piedi mi avevano portata a posto in un secondo… l’atmosfera dell’aereo era mutata immediatamente dopo, l’aria divenuta difficile da respirare… Strinsi gli occhi chiusi cercando di cancellare completamente la fantasia di essere toccata da quelle mani, rimpiazzandola con l’idea che fosse un mostro… fantastico… ero riuscita ad attirare l’attenzione del mostro… probabilmente, mentre io sognavo di rotolare tra lenzuola di seta, lui stava immaginando di squartarmi e dipingere un quadro con le mie viscere… mi venne da vomitare… tirai fuori l’Ipod e decisi di farmi aiutare dalla musica, per quanto possibile…
Ad occhi chiusi lasciai che la voce di Bono Vox compisse il miracolo, permettendo al tempo di scorrere più in fretta, interrompendo il conto mentale di quanti fossero i modi per morire torturata da un assassino psicopatico… il mio petto andava su e giù come stessi dormendo, l’idea che probabilmente si era fatta l’hostess al mio fianco… spalancai le palpebre sentendomi di colpo osservata, la ragazza dell’American Airlines si ritirò quasi spaventata…
“Mi… mi scusi signorina… gradisce qualcosa?”
Roteai in bocca la lingua asciutta “…sì… un caffè macchiato per favore…”
L’altra sorrise ed afferrò immediatamente il bicchiere di cartone, riempiendolo quasi fino all’orlo con la bevanda fumante… me lo porse senza togliersi dal viso l’irritante espressione di cortesia… feci per afferrarlo, ma la mia mano non strinse abbastanza forte la presa, il bicchiere cadde dritto sulle mie ginocchia, il caffè bollente rovesciato in un’onda su tutto il suo vestito… la prima sensazione fu la pelle che andava a fuoco, l’estrema necessità di raffreddarmi il prima possibile… davanti allo sguardo mortificato dell’hostess balzai in piedi cercando di staccare la stoffa bollente dalla pelle sottostante… il fastidio sparì abbastanza velocemente da lasciare il passo alla consapevolezza di avere addosso un vestito completamente impiastricciato di panna e caffè… sbuffai ruotando gli occhi al cielo… possibile che non ne andasse una dritta? Scossi la testa… ora avrei dovuto di nuovo attraversare l’aereo per raggiungere il bagno e darmi una ripulita, l’odore della miscela già diventato fastidioso… con un sospiro vistoso ignorai le scuse superflue dell’hostess e mi allungai per recuperare il bagaglio a mano, salviettine usa e getta e fazzoletti di carta… guardai la porticina lontana della toilette e decisi che stavolta davvero, davvero non avrei distolto lo sguardo dalla meta per nessuna ragione al mondo…
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Eccola di nuovo… la vidi balzare in piedi, la piccola doveva davvero essere imbranata… la sua innocente incapacità, un interruttore per le fantasie più perverse… sorrisi appena guardandola avvicinarsi con sguardo determinato, il suo abito un disastro marrone, la stoffa sintetica appiccicata alla curva del suo seno… la cosa si stava facendo sorprendente, quella ragazza attirava le mie cellule come un magnete, come forse nessuna donna incontrata prima… di nuovo le mie interiora sembrarono intrecciarsi, che grande spreco lasciarla andare giù con l’aereo…
Se solo lo show potesse cominciare in fretta… lanciai un’occhiata al finestrino, si era fatta notte e ormai dovevamo aver passato il confine delle acque internazionali… strinsi la presa intorno ai braccioli cercando di guadagnare di nuovo tutta la concentrazione necessaria… inspirai a pieni polmoni… due volte… tre volte… eccolo… il segnale che tutto stava cominciando…
L’odore dolciastro dell’etere etilico diluito con qualche altro gas raggiunse le mie narici esperte prima di tutte le altre, presi a respirare più lentamente, intervallando venti secondi prima di inalare di nuovo… controllai in maniera impercettibile che tutti i miei muscoli rispondessero ai comandi e rimasi ad aspettare… Jet non aveva smentito la sua naturale inclinazione verso veleni e tossine…
Non appena il tizio alla mia sinistra prese a sonnecchiare, del tutto ignaro dell’azione della miscela sui suoi polmoni, staccai la schiena dal sedile… gli occhi attenti dell’agente accanto a me mi piombarono addosso…
“Devo pisciare…”
Specificai senza troppe cerimonie, l’altro rispose con un cenno della testa… d’altra parte tutta la polizia a bordo si era fatta forte dietro la mia presunta impossibilità di fuga a dodicimila metri di altezza… poveri illusi… mi tirai su lentamente e stirai la schiena smettendo di respirare, poi mi voltai verso la toilette… no… cazzo… la sconosciuta nel bagno… imprecai a denti stretti, non potevo perdere tempo, anche se il mio corpo era allenato, non avrei potuto resistere al gas narcotico tanto più a lungo degli altri… raggiunsi la porta in pochi passi e bussai cortesemente…
“Occupato!”
Imprecai di nuovo… bussai una seconda volta…
“Un attimo!”
Bussai una terza volta, stavolta più deciso…
“Ma che diavolo…”
Non appena girò la serratura piombai nella stanzetta chiudendomi a chiave la porta dietro le spalle… guardandola in viso, sconvolta e pronta a liberare un urlo in grado di svegliare anche i morti, le premetti una mano sulla bocca… lei prese a scalciare nello spazio ristretto, cercando di colpirmi in un qualunque punto doloroso… sospirai per nulla messo in difficoltà dai suoi movimenti scoordinati… stretta alle spalle con l’altro braccio la spinsi contro il lavandino, sbattendole la testa contro il piccolo specchio... i suoi grandi occhi azzurri sgranati come se sapesse di stare per morire… smise di dimenarsi come un’anguilla e potei allentare la presa… il suo seno andava su e giù ad un ritmo incredibile, consumando più aria del consentito… dovevo riuscire a calmarla…
“Tranquilla… non ti farò del male…”
Rimase immobile, nessuna emozione diversa dalla paura le attraversò il viso…
“Ti prego, non urlare…”
Aggiunsi… lei restò un pezzo di ghiaccio sotto le mie mani… la presa attorno alla bocca lentamente meno stretta, le sue labbra di nuovo in grado di muoversi e prendere aria… i miei occhi la tenevano inchiodata al muro, lo sguardo vitreo, ma anche impercettibilmente nervoso… le mie dita  si allontanarono dal suo viso…
“Aiut…”
La sua testa si schiantò contro la parete, stavolta in maniera ben poco delicata, la mia mano pressata contro la bocca e l’avambraccio opposto premuto sulla trachea… scelta sbagliata quella di gridare...
“Ti ho detto di non urlare...”  …ogni parvenza di cortesia sparita dal tono gelido della mia voce… gli occhi di lei spalancati ed arrossati dall’ipossia… la paura di morire… una visione fin troppo conosciuta per me, tanto scontata che riuscivo benissimo ad ignorarla.. più difficile ignorare il mio corpo premuto contro quello della sconosciuta, l’abito sollevato all’altezza delle cosce, le mani di lei premute in difesa contro il mio torace… un vero peccato essersi incontrati così…
Scossi la testa e le lasciai il respiro libero… pian piano allontanai di nuovo la mano senza distogliere l’attenzione, neanche per un decimo di secondo… le labbra della ragazza restarono serrate…
“Brava…”
Riuscii finalmente a guardarmi intorno alla ricerca del punto prestabilito…
“Che succede lì dentro??”
Due colpi alla porta e la voce dell’agente… imprecai ancora, stavolta a voce alta… il mio primo pensiero rivolto alla sconosciuta, se avesse provato ad urlare, bellissima o meno, le avrei spezzato il collo…lei rispose al mio sguardo senza muovere un muscolo, le dita strette contro il lavandino, le nocche diventate bianche per la forza impiegata…
“Tutto bene…”
“Apri la porta! Adesso!”
Sbuffai... perché  diavolo non era ancora svenuto come gli altri?
“Apri Shimamura! So che stai combinando qualcosa!”
Rimasi immobile, fin troppo tranquillo, prendendo a contare a bassa voce… arrivato più o meno ad otto un tonfo sordo si udì al di là della porta… ripresi immediatamente a muovermi, spostando di peso la ragazza verso la porta…
“Ora puoi urlare quanto vuoi...”
Finalmente lei si decise a parlare…
“Che vuoi fare?”
Tirai un pugno al soffitto facendo facilmente saltare il rivestimento, allungai un braccio nel buco cercando di alzarmi sui piedi il più possibile… ne tirai fuori una specie di zaino marrone… la spinsi ancora contro il muro per farmi spazio nella minuscola toilette… lei si trovò di fronte la porta, la sua mano scivolò immediatamente sulla maniglia…
“Fossi in te non lo farei…”
La avvertii senza distogliere lo sguardo da ciò che stavo facendo…
“…a meno che tu non voglia morire...”
“Che cosa vuoi fare?”
“Farò precipitare l’aereo…” risposi… la mia espressione quasi divertita…
“Cosa?”
Controllai che le cinghie del paracadute fossero abbastanza strette e finalmente le rivolsi lo sguardo… i suoi occhi azzurri sgranati dal terrore, sul suo viso il chiaro desiderio di chiedere pietà, la terrificante idea di schiantarsi ed esplodere, la determinazione di non supplicare… no… dopo anni passati ad uccidere ormai potevo leggere qualsiasi espressione negli occhi delle mie vittime… quella ragazza no, non avrebbe supplicato…
Mi mossi lentamente coprendo il piccolo spazio tra noi, di nuovo premetti il mio corpo contro quello della ragazza, stavolta senza violenza… sollevai una mano e lasciai scivolare la punta di un dito contro il suo viso… quella pelle color latte morbida sotto il mio tocco… i suoi capelli soffici come seta… le lunghe ciglia spalancate, decise a non cedermi… l’urgenza di baciare quelle labbra rosse mi colpì come un pugno inaspettato… qualcosa in lei mi teneva incollato, qualcosa che non avevo mai incontrato prima… mai provato… il rimpianto… la consapevolezza che avrei vissuto da quel momento in poi senza poter conoscere il tocco ed il sapore di quelle labbra…
“Non hai paura di morire?”
“Non ho molte ragioni per vivere…”
Mi staccai di colpo… ero un pazzo per pensare davvero di riuscire a farlo… comunque ci avrei provato…
“Ascoltami bene…”
Di nuovo richiamai l’attenzione della ragazza prendendole il viso tra le mani e costringendola a guardarmi…
“…e fa esattamente come ti dico…”
Senza specificare oltre allentai le cinghie del paracadute e la voltai così che la sua schiena fosse premuta contro il mio torace… la strinsi forte a me, premendo sul diaframma quasi fino a toglierle il respiro, allungai le cinghie e le feci girare intorno alla sua vita sottile… dopodiché le afferrai le braccia una alla volta, senza troppa delicatezza feci in modo che passassero sotto le bretelle del paracadute… sì, ero davvero un folle…
“Che… che vuoi fare con me?”
“Sta’ zitta…”
Le ordinai prima di muoversi, forte abbastanza da trascinarla con me senza alcuno sforzo… i piedi di lei sembravano non toccare più terra…
Afferrai la maniglia…
“Appena aprirò questa porta smetti di respirare…”
“Io… non po…”
Prima che riuscisse a completare una frase di senso compiuto feci scattare la maniglia e lei prese a muoversi senza intenzione, totalmente sollevata e spinta da me… intorno a noi sembravano dormire tutti, l’hostess inopportuna sdraiata e scomposta al centro del corridoio… la saltai in un solo passo e spalancai la porta della cabina di pilotaggio… i due piloti in divisa bianca avevano gli occhi chiusi e la testa ciondolante come tutti gli altri… mi sporsi in avanti e spinsi un tasto… un solo unico tasto…
Di colpo, come se fossimo piombati in un gigantesco vuoto d’aria, la pressione nell’aereo aumentò… la ragazza si portò le mani alle orecchie, spalancando bocca e polmoni, riempiendosi le vie aeree dell’intenso odore dolciastro del narcotico, mentre armeggiavo con il portellone… tutto intorno a lei svanì improvvisamente, compreso il suo stato di coscienza…

Parte 3

Mi sentii avvolta in qualcosa di morbido, di caldo e morbido… non riuscivo a capire se stessi ancora respirando o se quella fosse la sensazione della morte… mi sembrava di avere la gola in fiamme e che un treno mi stesse attraversando il cervello… mi pareva di essere schiacciata sotto una tonnellata di cemento… tentai di intrattenere una conversazione con i miei neuroni, cercando di capire se potessero ancora sentirmi... ordinai al mio indice destro di muoversi, almeno un paio di volte prima di percepire che stavo toccando qualcosa di liscio… ordinai alle mie palpebre di sollevarsi, ma la luce al di là sembrò ferirmi come una lama incandescente… mi sfuggì un lamento roco…. se potevo ancora muovermi ed emettere suoni forse non ero morta dopotutto, oppure la mia versione del paradiso faceva ancora più schifo della realtà…
Provai ancora una volta ad aprire gli occhi, uno alla volta, il più lentamente possibile… la stanza era avvolta in una luce gialla, i dettagli difficili da cogliere, il mio corpo disteso sotto lenzuola bianche… era un letto… ero sdraiata in una minuscola stanza sconosciuta… il letto sembrò muoversi di colpo ed emisi un altro gemito infastidito cercando di tenere a bada la nausea…
“Buongiorno…”
La voce sconosciuta mi arrivò alle orecchie come fosse lontana un chilometro… deglutii cercando di riportare la mente ad un piano di realtà accettabile… aereo… assassino… toilette… paracadute… non respirare… assassino… spalancai gli occhi e mi alzai in un istante… la vista sembrò mancarmi per qualche secondo, poi riuscii finalmente a mettere a fuoco dove mi trovavo...
La stanza era davvero piccola, dalla finestra tonda alla mia sinistra entrava la fastidiosa luce del sole, le pareti erano color crema, le finiture erano in legno e l’assassino dell’aereo se ne stava seduto su un’anonima sedia nell’angolo… sulla sua faccia un mezzo sorriso…
Indietreggiai sul materasso fino a spalmare la schiena contro la lettiera… il cambio improvviso di posizione mi fece vedere blu e, nel tentativo di non svenire, mi portai entrambe le mani alla testa…
Lui inclinò il capo… “Vacci piano… è stato un viaggio piuttosto impegnativo per te...” disse con tono sarcastico e divertito, mentre cercavo di prendere ossigeno e allo stesso tempo lo fissavo in assetto da fuga…
Rimasi immobile dopo un paio di lunghi respiri, rivolgendo l’attenzione a me stessa… avevo ancora addosso il vestito macchiato di caffè, mentre i miei piedi erano scalzi sotto le lenzuola… tutta la mia pelle sembrava tirare, come se avessi fatto il bagno nel Mar Morto senza poi spalmare l’idratante… mi portai una mano alla testa, le mie dita rimasero incastrate tra i capelli come fossero un fitto ammasso di paglia…
“Dove sono?”
Lui sollevò le sopracciglia… “Su una barca… nel bel mezzo dell’oceano Atlantico…”
Cercai di muovermi ed uscire dalle coperte… la testa prese a girarmi d’improvviso…
“Io te l’avevo detto di trattenere il respiro...”
Poggiai i piedi a terra ignorando la sua ironia…
“Che mi hai fatto?”
Lui si alzò dalla sedia, aveva addosso abiti puliti e sembrava stare decisamente meglio di me…
“Io niente… ma l’aereo era pieno di gas narcotico...”
Cercai di far quadrare tutti i ricordi e le deduzioni logiche, ma mi arresi ben presto… feci forza sulle braccia per tirarmi su... barcollai vistosamente e lui si avvicinò cercando di afferrarmi… sgranai gli occhi e mi tirai indietro…
“Non mi toccare...”
Lui sorrise di nuovo…
“Ti ho salvato la vita… dovresti essere un po’ più gentile con me…”
“Che ne è stato degli altri passeggeri?”
Lui sollevò le spalle…
Non fu necessario rispondere… spalancai di nuovo gli occhi…
“Oh dio mio li hai uccisi tutti… ucciderai anche me adesso vero? Mi farai a pezzi!”
L’isteria si impossessò di me in un attimo, rendendomi tutta la forza persa…balzai in piedi cercando la prima via di fuga accessibile, il respiro affannato ed il preludio di un lungo pianto negli occhi…
Adocchiai la porta dietro di lui come unica possibile salvezza e decisi di correre verso la maniglia… lui non si mosse nemmeno, bloccando la mia breve fuga con un solo braccio... balzai indietro al contatto e scossi la testa, fermamente decisa a non essere una preda facile… saltai sul letto e passai all’altro lato della stanza, lanciandomi immediatamente contro la porta della cabina… strinsi la mano intorno al metallo, ma prima che potessi fare pressione, la mano di lui si spalmò contro la porta annullando qualsiasi mio tentativo di far forza… provai comunque a tirare con tutta me stessa, arrivando presto alla conclusione che in quel momento le mie risorse erano piuttosto scarse… mandando giù mi voltai verso di lui, trovandomi con la schiena inchiodata all’uscita… avrei voluto intimorirlo con lo sguardo, fargli presente che non aveva rapito la solita ragazzina indifesa, ma non mossi un muscolo né proferii parola… mi teneva premuta contro la porta col suo corpo, senza neanche il bisogno di toccarmi davvero…
Decisi di fare un ultimo tentativo… su quell’aereo l’idea di morire non mi era sembrata tanto male, qualche secondo prima di svenire e poi non avrei sentito più nulla, ora invece, la sola idea di essere torturata, picchiata, fatta a pezzi, forse perfino stuprata… no, non volevo morire così…
Raccolsi tutte le forze e piantai il ginocchio nel basso ventre di lui, non ero certa di aver preso il punto più sensibile, ma tanto era bastato per farlo scansare da me… aprii la porta di fretta e mi precipitai su per la scaletta di legno seguendo la luce, continuando a correre da una parte all’altra del piccolo ponte guardando il monotono blu dell’oceano tutt’attorno… alla fine sbattei contro il parapetto di prua e mi fermai a riprendere fiato guardando le onde… non avevo via d’uscita, nessuna eccetto…
Inspirando strinsi le mani tremolanti attorno al parapetto e mi decisi a scavalcarlo, una gamba alla volta… meglio annegare che soffrire per ore le torture di quel mostro...
“Fossi in te non lo farei…”
Lui mi stava alle spalle, probabilmente già da un po’… la sua voce suonava calma e tranquilla… non mi voltai…
“Perché no? Morirò comunque...”
“Quell’acqua è fredda tesoro, molto fredda… e non dimenticare gli squali… credevo che non volessi finire fatta a pezzi…”
Deglutii continuando a guardare giù…
“Tu cosa mi farai invece?”
“Non ho ancora deciso in realtà…”
Lo sentii avvicinarsi… strinsi le mani attorno al metallo freddo del parapetto… il rumore delle onde poteva già riempirmi le orecchie…
“Scendi da lì adesso…”
Stavolta il suo tono si era fatto autoritario, ma non abbastanza da farmi demordere… lo sentii sbuffare, ormai era dietro di me, se volevo davvero suicidarmi dovevo farlo in quel momento… mossi le dita, ma non riuscii a mollare…
“Ok tesoro, visto che non vuoi proprio starmi a sentire, da adesso in poi faremo a modo mio…”
Mi afferrò per la vita e mi sollevò come fossi fatta d’aria, totalmente indisturbato dai miei tentativi di scalciare, prenderlo a pugni o strillargli nelle orecchie…
Mi buttò di peso sul letto, lasciandomi rimbalzare… cercai di dimenarmi, ma lui mi bloccò col suo peso, stringendomi i polsi sopra la testa… qualcosa si strinse attorno alla mia mano e subito dopo l’assassino sembrò mollare la presa… cercai immediatamente di muovermi di nuovo, ma mi ritrovai incatenata alla spalliera del letto per il polso destro, lui mi stava ancora sopra e dallo sguardo poteva dirsi abbastanza soddisfatto…
Quel mezzo sorriso compiaciuto, i capelli scompigliati per la lotta, i muscoli tesi per restare in bilico su di me senza schiacciarmi… sospirai guardando altrove… doveva esserci qualcosa di molto, molto perverso nel trovare attraente il proprio assassino…
Lui passò la mano sulla mia gamba... mi irrigidii cercando di tenerlo lontano con la mano libera, provando a spingerlo via… era questo che  mi aspettava? Essere violentata su una barca in mezzo al nulla? La mano dell’assassino proseguì lenta, accarezzando la linea del mio ginocchio e poi a salire lungo la coscia… il tocco delicato, le sue dita calde contro la pelle, gli occhi scuri ancora incollati al mio viso… non sembrava la carezza di un mostro... chiusi gli occhi sperando che lui non si muovesse oltre… non ero certa di come il mio corpo avrebbe reagito…
“Adesso almeno starai buona...”
Disse tirandosi su di colpo… si ricompose velocemente e tornò a sedersi sulla sedia all’angolo…
“Come ti chiami?”
Esordì… portai le gambe al petto, lui continuava a fissarmi con i gomiti poggiati alle ginocchia… deglutii…
“Catherine...”
Risposi, cercando il primo nome da dire che non fosse il mio… lui sollevò un sopracciglio…
“Non mentire…” mi ammonì seriamente… inspirai profondamente chiedendomi se fosse il caso di continuare la commedia, probabilmente il suo era solo un bluff…
“Catherine, Catherine Martin...” insistetti e lo sentii sbuffare rumorosamente in risposta… si alzò in piedi e si avvicinò con uno sguardo grave, giocherellando con le sue stesse dita come se si stesse preparando ad usarle… sentii le sue falangi scrocchiare e sussultai nel trovarmelo di nuovo tanto vicino, lui si chinò lentamente e mi passò le dita sulla gola, rendendo chiaro quanto il mio collo sarebbe stato fragile nella sua presa…
“Non… mentire...” precisò ancora una volta… glaciale…
Annuii nervosamente e presi coraggio…
“Françoise, il mio nome è Françoise Arnaul...”  
Lui sorrise allontanandosi…  “Come facevi a sapere?”
Contrassi la mandibola… “Sapere cosa?” chiesi in un mezzo sussurro. Lui sospirò tornando a sedersi…
“Sapevi del braccialetto, sapevi chi sono… come?”
“Io non so chi sei…” replicai istintivamente in difesa… lui chiuse lentamente le palpebre, ripetendo…
“Come facevi a sapere?”
Presi fiato, la mia inferiorità troppo palese per cercare di improvvisare un castello di bugie... e comunque la realtà era già abbastanza ridicola…
“Una mia amica lavora all’American Airlines… è stata lei a dirmi che sul volo ci sarebbe stato un criminale con un braccialetto… mi aveva anche detto di non prenderlo… e avrei fatto meglio ad ascoltarla…”
Lui aguzzò lo sguardo, senza lontanamente cogliere il mio tentativo di ironizzare… forse tentava di capire se stessi mentendo…
“Che ci facevi a Johannesburg?”
Abbassai gli occhi, anche se la mia sopravvivenza era ancora in dubbio, stavolta lo stomaco mi si torse al solo pensiero… tutta colpa di Tyler...
“Ero andata a trovare il mio fidanzato...”
Lui sorrise…
“Sull’aereo hai detto di non avere ragioni per vivere… un fidanzato sembrerebbe una buona ragione invece…”
Tornai a guardarmi le mani…
“L’ho trovato a letto con un’altra” …confessai senza troppi giri di parole.
Lui curvò la schiena per essermi in qualche modo più vicino…
“È per questo che volevi morire? Perché il tuo uomo ti ha tradita?”
Stavolta decisi di sollevare gli occhi ed incontrare i suoi, l’assassino mi stava giudicando… mi stava giudicando una stupida… peccato non sapesse nulla della mia vita…
“Lui è solo l’ultima di una serie di ragioni…”
“Beh…” prese fiato lentamente “…ti consiglio di trovare un buon motivo per vivere allora...”
Avvertii un brivido corrermi lungo la schiena…
“Che… che vuoi dire?”
Lui sollevò le sopracciglia..
“Presto verranno a prendermi e sinceramente…” di nuovo una pausa “…non ho idea di cosa farne di te...”
Deglutii…
“Mi… mi ucciderai?” avrei voluto suonare risoluta e coraggiosa, ma la voce mi tremò come una foglia…
Tenevo il suo sguardo, sperando di leggerci dentro una risposta mentre me ne stavo rannicchiata all’angolo del letto e provavo ad immaginare cosa ne sarebbe stato di me...
Mi si avvicinò… cercai di farmi ancora più piccola, consapevole di avere solo un metro di gioco per via della catena che mi legava al letto… gli occhi dell’assassino mi stavano accarezzando, caldi come il velluto, intensi come nel primo sguardo, quando mi ero concessa di pensare che fosse l’uomo più bello del mondo… adesso invece quello stesso pensiero mi sembrava inaccettabile, ripugnante, dovevo sforzarmi di cacciarlo nell’angolo più remoto della mente… lui poggiò le mani sul materasso e si spostò alla mia altezza, scavando con forza nei miei occhi, tanto intensamente che dovetti abbassare lo sguardo per non sentirmi nuda di fronte a lui...
“No…”
Disse infine con voce bassa…
“Non se mi convincerai a non farlo…”
Tornai a ricambiare istintivamente i suoi occhi, colpita dal tono allusivo delle ultime parole… era così vicino che potevo facilmente notare le poche pagliuzze verdi nel castano delle sue iridi, le piccole rughe d’espressione sulla sua fronte, la linea delle barba che non rasava da giorni ed il rosa perfetto delle sue labbra… cosa mi stava chiedendo? Voleva forse che lo pregassi di non uccidermi? Era quel tipo di criminale? La mia bocca si aprì lievemente per lasciar passare più aria, non era questo che lui sembrava volere… al solo pensiero il cuore prese a battermi in gola, una strana sensazione di calore mi riempì lo stomaco… voleva baciarmi?? Quell’idea suonava assurda date le circostanze eppure pareva alquanto difficile fraintendere la sua espressione, il modo in cui le sue ciglia sbattevano lente mentre i suoi occhi indugiavano tra il mio sguardo confuso e le mie labbra socchiuse…  
Mi sentii paralizzata, ogni muscolo del mio corpo si tese all’istante, incapace di reagire davanti ad un uomo che deteneva il potere completo, un uomo che il mio istinto di sopravvivenza rigettava, al contrario della mia pelle... lo sentii avvicinarsi ulteriormente e tutti i miei pori si aprirono cercando di non lasciarmi andare a fuoco, il viso bloccato all’altezza del suo… lui indugiò per un secondo mischiando il suo respiro al mio… impercettibilmente girò la testa, inclinando il collo appena un po’, le sue labbra sfiorarono la mia pelle, accarezzando la linea del mento...
Chiusi gli occhi al contatto, voltando il capo e stringendo le lenzuola nei pugni… potevo sentire il cuore pulsarmi nelle orecchie, scorrermi dentro la testa come un fiume in piena… avrei voluto saltare e colpirlo, avrei voluto trovare quel tocco rivoltante, ascoltando quella vocina nella mia testa che però andava facendosi sempre più lontana… al suo posto un nuovo e sconosciuto formicolio, il risveglio contemporaneo di tutte le mie cellule...
Ma lui si staccò bruscamente da me...
Balzai sul letto come se mi fossi svegliata da un bel sogno, cercando di calmare il freddo improvviso… l’assassino era in piedi e guardava il vuoto, rendendomi impossibile capire cosa stesse pensando adesso… forse non avevo capito nulla, forse la lussuria non c’entrava, forse lui era solo una specie di psicopatico… finii a fissare le mie mani e sembrai realizzare solo in quel momento le mie condizioni, la pelle tirata, le striature bianche dell’acqua salata, il vestito sporco, i capelli ammatassati… ovvio che nemmeno uno psicopatico potesse volermi in queste condizioni… scossi la testa perché ormai la mia mente stava spaziando nel ridicolo, non solo mi stavo preoccupando di cosa lui pensasse, ma iniziavo a sperare che dopo avermi uccisa avrebbe buttato il mio corpo nell’oceano, almeno nessun altro mi avrebbe vista in quelle condizioni…
Lui riprese a muoversi verso la porta…
“Ti porterò qualcosa da bere…”
Disse con indifferenza, come se il piccolo momento precedente fosse già caduto nel dimenticatoio… lo guardai afferrare la maniglia e mi morsi le labbra…
“Aspetta...”
Lui si fermò sulla soglia… si voltò verso di me senza proferire parola… inspirai profondamente e decisi di tentare la fortuna…
“Potrei… potrei almeno lavarmi per favore?”
Osai chiedere con un filo di voce… lui aggrottò le sopracciglia, forse disorientato dalla mia richiesta banale, forse indeciso sulla risposa da darmi... rimase serio tutto il tempo, anche mentre tornava sui suoi passi, facendosi vicino ancora una volta… sentii l’istinto di raggomitolarmi, probabilmente avevo tirato troppo la corda… lui invece non mi guardò nemmeno mentre, con una piccola chiave, apriva la manetta al mio polso… con un cenno della testa indicò la porta di fronte a quella della stanza...
“Non più di dieci minuti… e non cercare di combinare qualcosa perché potrei arrabbiarmi...”
Annuii massaggiandomi il polso libero, aspettando di vederlo andar via prima di poggiare i piedi a terra e correre verso il minuscolo bagno… chiusi a chiave restando appoggiata alla parete per qualche minuto… la prima cosa che mi tornò alla mente fu la voce di Catherine, ma perché cavolo non l’avevo ascoltata? Sbattei la fronte contro la porta… stupida… stupida fino alla fine Françoise...
Infilandomi velocemente sotto il debole getto della doccia cercai di raggiungere contemporaneamente il maggior numero di parti del mio corpo, di certo non volevo indispettire l’assassino impiegando più del tempo richiesto… ficcai tra i capelli il primo shampoo a portata di mano e cercai di tirar via tutta l’acqua salata, quasi fino a graffiarmi la pelle… chiusi gli occhi e mi lasciai ricoprire completamente dall’acqua bollente, lasciando che lavasse via il sapone, lo shampoo e parte della mia incredulità mista all’incapacità di dare un senso a quella situazione… sentii  di nuovo in bocca il sapore della paura, il gusto metallico del terrore di morire, mischiato all’odore dolciastro dell’aereo… il blu che riempiva la mia vista, ben presto rimpiazzato dal nero e dall’incoscienza… non riuscivo minimamente a ricordare come fossi finita su quella barca, di certo era stato lui a portarmici, ma come? E perché ce ne stavamo nel mezzo dell’oceano senza che nessuno ci trovasse? Doveva essersi occupato di tutto lui… lui… già.. lui… senza rendermene conto passai una mano tra viso e collo, ricercando il punto preciso su cui aveva poggiato le labbra… mi sentii tremare per un istante… avevo creduto davvero che lui stesse per baciarmi, che l’avrebbe fatto più e più volte… avevo creduto davvero che lui mi desiderasse e che mi avrebbe presa lì, in quel momento, senza sapere nulla più che il mio nome… avevo sperato davvero che quella sarebbe stata la mia salvezza…
Riaprendo gli occhi temei di aver perso la cognizione del tempo e chiusi il rubinetto venendo fuori dalla doccia in tutta fretta… afferrai un asciugamano e mi ci arrotolai dentro, di colpo terrorizzata all’idea di uscire di lì…  «No… non se mi convincerai a non farlo...»  Le parole si ripeterono nella mia testa cercando un significato, cercando di ignorare il loro implicito contrario… se non fossi riuscita a convincerlo sarei morta…
Lasciai scattare piano la serratura, convinta che me lo sarei presto trovato di fronte, ma tutto ciò che vidi fu il letto sgualcito dell’altra stanza… calmai il respiro e mi guardai intorno nel silenzio, lui doveva essere di sopra… a destra un’altra porta chiusa attirò la mia attenzione, un rumore insolito simile ad un borbottio sembrava venirne fuori… non avevo idea di come fosse fatta una barca, tantomeno quante stanze potesse avere né cosa dovessero contenere, ma iniziai a sperare che in quella camera chiusa ci fossero armi e telefoni satellitari… nella mia testa reminescenze di vecchi film d’azione presero forma, se fossi riuscita a trovare una pistola, un coltello o un qualsiasi corpo contundente avrei potuto colpire l’assassino a tradimento e metterlo fuori gioco… dopodiché avrei chiesto aiuto o navigato fino alla terraferma… annuii e mossi il primo passo a piedi nudi sul parquet, calibrando ogni piccolo movimento per non fare alcun rumore… la tensione era talmente forte che quasi non riuscivo a respirare…
La maniglia della porta venne giù senza intoppi e mi gettai nella stanza… era caldo lì dentro… il borbottio proveniva da una specie di caldaia o scaldabagno nell’angolo… girai su me stessa nella penombra, alla ricerca di qualsiasi cosa potessi afferrare e scagliare contro il mio rapitore… sulle mensole impolverate se ne stavano diversi oggetti sconosciuti, tutti apparentemente innocui… scuotendo la testa ed imprecando silenziosamente contro la mia solita fortuna, mi inginocchiai ad ispezionare l’ultimo ripiano... inaspettatamente mi sembrò di avere tra le mani la chiave della mia salvezza, una radio, uno di quei radiotrasmettitori vecchio modello in cui basta portarsi alla bocca la trasmittente, premere un pulsante e lanciare un SOS… la poggiai su una mensola alla mia altezza ed iniziai a premere nervosamente i tasti, ora che vedevo una via d’uscita non potevo aspettare neanche un secondo… una piccola lucina rossa si accese e mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo… totalmente priva di nozioni sulla radiocomunicazione decisi di girare tutte le manopole e tirar su i cursori poi, tremando e sperando, avvicinai la trasmittente alle labbra, pronta a spingere il pollice sul bottone laterale…
Un fischio stridulo e fastidioso riempì la stanzetta, costringendomi a mollare la presa e balzare in piedi… i miei occhi spalancati si puntarono immediatamente sulla porta, strinsi le mani al petto ed accostai l’asciugamano, pregando con tutta me stessa che lui non avesse sentito… sarebbe stata la fine…
Un colpo secco spalancò la porta, come se l’assassino l’avesse presa a calci per aprirla... Divenni un pezzo di ghiaccio rendendomi conto solo in quel momento, per la prima volta, di chi avessi davvero di fronte… lui era dritto davanti a me, i pugni chiusi e le labbra strette in una linea sottile, i suoi occhi vuoti, il corpo mosso da un tremore generale, come se stesse per venir fuori dalla propria pelle… era arrabbiato… era vistosamente arrabbiato…
Indietreggiai sbattendo ben presto contro il muro… stavo per morire… adesso era certo, stavo per morire…
Lui deglutì rumorosamente muovendosi di un solo passo…
“Ti avevo detto di non farmi arrabbiare…”

Parte 4


“Ti avevo detto di non farmi arrabbiare...”
La breve distanza tra noi fu coperta in un secondo… l’afferrai stretta per la vita tappandole la bocca con l’altra mano e la trascinai fuori senza troppa grazia… appena qualche passo e lei rimbalzò di nuovo sul letto, stavolta sbattuta con forza contro il materasso…
Rimasi immobile mentre chiudevo a chiave la porta…
Lo scatto del coltello arrivò amplificato e forte come lo scoppio di una bomba…
Inspirai profondamente fissando lo stiletto stretto nella mia mano… le lame erano la mia arma preferita, lo strumento di morte che avevo scelto alla fine del mio lungo addestramento… ogni volta che tenevo tra le mani un coltello, un pugnale o una katana, potevo sentire il gelo dell’acciaio impossessarsi di me, annullando ogni ombra di sentimento nei confronti della vittima di turno… l’utilizzo delle armi da taglio rendeva il mio lavoro inevitabilmente più lungo, sporco e complicato, ma vi era un innegabile fascino poetico nel poter scegliere come, quanto e cosa infliggere ai nemici, con la piacevole possibilità di guardarli in viso durante tutto il procedimento…
La ragazza tuttavia non era un nemico della mia famiglia, né una vittima prescelta da mio padre, quell’omicidio sarebbe stato un’eccezione al codice, un atto di puro e necessario sadico piacere… sospirai stringendo le dita attorno all’impugnatura, non potevo biasimare nessun altro che me stesso per quella situazione… sentii in bocca il fastidioso sapore di qualcosa simile al rimorso, come sull’aereo… imprecai in silenzio gettandolo via e decisi di voltarmi e guardare la ragazza…
Stava decisamente iperventilando, inginocchiata sul letto stringeva l’asciugamano al petto con entrambe le mani, così stretto che le sue dita si erano fatte rosse di sangue… Sembrava ancora più pallida, eppure aveva il viso colorato dall’ansia e le labbra scarlatte… i suoi lunghi capelli biondi andavano lentamente asciugandosi in ciuffi scomposti, mentre i suoi occhi azzurri mi fissavano, lucidi e spalancati…
“No…”
Sussurrò appena al mio primo passo, inclinai il viso verso di lei con le labbra leggermente protratte in avanti, sul mio volto l’accenno di un ghigno sardonico…
“Cosa dovrei fare adesso con te, eh?”
Dissi, il tono apparentemente impassibile, il mio sopracciglio destro sollevato, come se stessi davvero aspettando una risposta…  
“Dovrei liberarmi di te?”
Un angolo della mia bocca si sollevò in un mezzo sorriso…
“O forse dovrei farti male soltanto un po’?...”
Avanzai di un nuovo passo sollevando la lama, l’acciaio rifletteva la luce del tramonto imminente, spandendo un alone arancione per tutta la stanza…
“…qualcosa che ti ricordi chi è che comanda...”
Ormai ero a pochi centimetri, il coltello puntato verso di lei, così che la punta segnasse una linea immaginaria tra l’impugnatura ed il suo petto, in mezzo alle costole...
Sbattei piano le palpebre, ormai le mie ginocchia toccavano il letto e la ragazza era sempre immobile di fronte a me, come se, ancora una volta, fosse pronta a morire… inspirai l’odore della sua paura e sentii il sangue scorrermi più veloce nelle vene, totalmente combattuto tra la mia natura, l’istinto di uccidere e la voglia immensa, lussuriosa, di spingere la ragazza fino al limite…
Sollevai il coltello senza fretta ed avvicinai la curva della lama al viso di lei, accostando lentamente pelle e metallo… la vidi chiaramente fallire nel tentativo di contenere lo spasmo del suo corpo, stringere le spalle e trattenere il respiro…
“Guardami…”
Lei schiuse le palpebre espirando…
Sorrisi a labbra strette, in quel momento sentirla supplicare sarebbe stata dolce musica per le mie orecchie… solitamente non avrei impiegato così tanto tempo per uccidere qualcuno, ma in questo caso specifico non avevo alcuna urgenza anzi, ogni secondo passato in quel limbo accresceva la mia eccitazione… nel fondo della mia mente la tentazione di prolungare all’infinito quella deliziosa tortura…
Tutta la rabbia era scemata senza che nemmeno me ne rendessi conto e solo in quel momento realizzai che lei mi stava davanti, inginocchiata ed avvolta in nulla più che un asciugamano… le mie pupille scorsero lente lungo la sua figura minuta, accompagnando l’impercettibile carezza con la punta del coltello… l’estremità del metallo, ormai calda del suo tepore corporeo, segnò una linea dritta dalla gola in giù, sbattendo contro la spugna in cui era avvolta…
“Convincimi...”
Chiesi…
“Convincimi a non ucciderti...”
Precisai, la voce bassa e vibrante, la richiesta quasi sussurrata…
Lei sollevò il mento per guardarmi dritto negli occhi…
“Ti prego…”
Iniziò in un filo di voce…
“…ti prego non uccidermi…”
Rimasi saldo nella mia posizione, sollevando appena un sopracciglio… il suo sussurro tremava, tuttavia il tono era deciso… la ragazzina non voleva morire… staccai il coltello dal suo corpo e distesi il braccio, lei era bella, troppo bella, con le guance infiammate da una sorta d’imbarazzo e la presunzione di sembrare più coraggiosa di quanto non fosse…
“Convincimi...”
Insistei... strinsi la presa attorno al coltello ancora una volta, stavolta per cercare di contenermi, e non dal pugnalarla… lei raddrizzò la schiena e si fece più vicina, il respiro le tremava tra le labbra e le sue mani sembravano bollenti… le sollevò lente, chiudendo gli occhi per un secondo, cercando di arrivare a me nel tempo più lungo possibile… mi toccò il viso… sussultai al contatto…
“Ti supplico…”
Ripeté… mi era pericolosamente vicino, ormai riuscivo a sentire il calore del suo corpo e quello del suo respiro…
“…farò tutto quello che vuoi… non uccidermi…”
Sentii tutto il sangue arrivarmi nei pantaloni, ormai l’idea di ucciderla era lontana mille miglia… le sue piccole fragili dita mi stavano toccando, inaspettatamente calde… la sua voce mi stava pregando, dolce come lo zucchero, disperata come il canto di un uccello in gabbia… non potevo più resistere…
“Non è quello che voglio farti…”
Risposi chiudendo lo spazio… la mia bocca si lanciò contro la sua in un bacio tutt’altro che delicato, lei rischiò di perdere l’equilibrio, ma la trattenni premendo il suo corpo contro il mio.
Mi sentii esplodere di aggressiva lussuria non appena le mie labbra l’avevano toccata… erano morbide e sapevano ancora di sale… la volevo, la volevo in quel momento più di ogni altra cosa, ma non potevo permettermi di perdere il controllo, non con un ostaggio pronto a tutto per sopravvivere… sentii la mano di Françoise poggiarsi sul mio petto e mi staccai dal bacio, ancor più eccitato all’idea di riprendere il potere… scossi piano il capo afferrandola per i polsi, tenendoli entrambi serrati in una sola mano, mentre l’altra stringeva ancora il coltello… passai la lama un’ultima volta sulle sue labbra, gonfie ed arrossate per il nostro bacio violento, poi la gettai via in un angolo… ormai non mi serviva più, avrei usato ben altre armi per rimettere la signorina al proprio posto…
Le sollevai i polsi sopra la testa e la baciai di nuovo, cercando di esplorare ogni angolo della sua bocca, quasi fino a toglierle il respiro… l’altra mano ferma sulla coscia della ragazza ed io determinato a non renderle le cose troppo semplici. Il modo in cui lei aveva schiuso le gambe, probabilmente senza neanche accorgersene, era un chiaro segno della sua eccitazione… la ragazzina voleva essere toccata, oh sì… solo che, sorrisi tra me, la ragazzina non aveva ancora pregato abbastanza…
“Vuoi che ti tocchi, non è vero?”
Sussurrai nel suo orecchio… lei si irrigidì, tese le braccia e cercò di scuotere la testa…
“No...”
Rispose, cercando di suonare decisa nonostante la voce bassa… le sfiorai l’orecchio con le labbra…
“Ricordi? Riesco a capire quando stai mentendo...”
Bisbigliando le parole lasciai scivolare le dita sotto l’asciugamano e lei si tese come una corda di violino contro di me... la  mia mano continuò lenta la sua risalita, trovando la propria strada tra le cosce, adesso serrate, della ragazza… non stavo cercando di forzare una via, stavo accarezzando la sua pelle, pregustando il calore che riuscivo già a percepire, aspettando che fosse lei a cedere e spalancare le gambe per me...
“Dillo...”
Ordinai, usando la lingua contro il lobo del suo orecchio…
“Dillo…”
Chiesi di nuovo…
“S..sì…”
Riuscii a malapena a sentirla, ma ero certo di aver capito… riportai la faccia davanti a quella di Françoise, prendendole il viso nella mano, stringendo quel poco che bastava per catturare la sua completa attenzione…
“Dillo come si deve...”
Scandii…
“To..Toccami…”
Disse, incapace di guardarmi negli occhi mentre chiedeva… le sue guance erano in fiamme…
“Ah. Ah. Ah…”
Obiettai, accompagnando le parole con la testa…
“…hai dimenticato qualcosa…”
Quella era l’ultima, l’ultima goccia del mio autocontrollo… il gioco era divertente, ma non sarei riuscito ad aspettare un secondo di più…
“…ti prego…”
Sussurrò guardando a terra… la strinsi, poggiando la testa nell’incavo del suo collo, lì dove riuscivo a sentire il battito accelerato del suo cuore, lì dove nessun sospiro o gemito sarebbe potuto sfuggire alle mie orecchie… poggiando un ginocchio sul letto lo spinsi con decisione tra le gambe della ragazza per obbligarla ad aprirle, la mia mano immediatamente pronta a farsi strada verso la meta…
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Françoise chiuse gli occhi aspettando il contatto, ormai totalmente spogliata del suo falso coraggio e della sua morale. Lui però non la toccò, bensì la spinse giù con forza, lasciandola cadere di schiena sulle lenzuola sgualcite. Scomposta, agitata e tremante, era l’immagine più invitante su cui mai avesse poggiato gli occhi. Ogni donna della sua vita era stata una conquista facile, senza sforzi o attese, ogni amante pronta e disponibile, ognuna di loro disposta a soddisfare le richieste più scellerate per poi sparire, senza rimorsi o sprazzi di dignità.
Ed eccola lì invece, la ragazzina dell’aereo, incerta, spaventata, accaldata, in attesa come una vergine la sua prima notte di nozze. Joe rimase immobile in piedi davanti a lei, gli occhi incollati nei suoi, la voglia di esplodere sotto i vestiti. Non riusciva a muoversi, totalmente perso in quel momento di perfezione, l’attimo in cui sai di aver vinto e puoi già pregustare il sapore della vittoria. Il premio gli stava di fronte e lui avrebbe assaporato ogni secondo prima di stringerlo tra le mani.
Françoise sentì i suoi muscoli perdere forza, come se gli occhi dell’assassino la stessero lentamente consumando. Nessun uomo l’aveva mai guardata in quel modo.. Dio mio.. Sembrava davvero volesse mangiarla. Ed una parte di lei, una minuscola parte di lei, sorrise in un angolo buio della sua mente.
Joe sospirò un’ultima volta prima di avvicinarsi, poggiando le mani sulle ginocchia della ragazza, sollevando il tessuto mentre le accarezzava la pelle. Prese a sbottonarsi i pantaloni, deciso ad interrompere il più presto possibile quella specie di incantesimo, sicuro che una volta svuotato, ogni sorta d’emozione che quella ragazzina suscitava in lui sarebbe sparita.
Si spinse tra le sue gambe, pronto a liberarsi dell’asciugamano, pronto a scaricare su di lei tutta la tensione degli ultimi giorni, in qualche modo determinato a punire anche la ragazza per il suo arresto, per l’aereo, per quella stupida scelta, per la sua vita. Per tutta la sua vita.
Al suono improvviso di passi sul ponte Joe si bloccò immantinente. Premendo una mano sulla bocca di Françoise, affinché non avesse la brillante idea di urlare, tese le orecchie verso il rumore e nel giro di pochi secondi riconobbe il peso ed il ritmo di quei piedi. Françoise lo sentì imprecare il suo disappunto tra i denti e tirarsi su
“Non provare ad urlare. Nessuno è venuto a salvarti, è solo mio fratello.”
Lei si tirò su in un secondo, memore di ciò che lui le aveva detto in precedenza. I suoi fratelli non sarebbero stati contenti di trovarla lì anzi, si sarebbero subito liberati di lei. Prese a guardarsi attorno nervosamente, senza capire se fosse più delusa o sollevata per l’interruzione. Se avesse fatto l’amore con l’assassino, forse poi, lui si sarebbe sentito in colpa ad ucciderla. Ragionamento idiota. Gli assassini non hanno sensi di colpa.
Joe sospirò ancora una volta, avvicinandosi ad un cassettone nell’angolo opposto. Ne tirò fuori un ammasso stropicciato di tessuti e colori.
“Tieni. Mettiti qualcosa. E resta qui.”
Ordinò senza darle troppa attenzione, come se avesse completamente dimenticato la sua presenza… del resto altri pensieri occupavano ora la sua mente, primo fra tutti cosa fare del suo ostaggio… conoscendo Jonah, non si prospettava nulla di buono…
“Aspetta!”
Disse lei… lui sbuffò rivolgendole un’occhiata impaziente… lei sollevò le spalle per un istante…
“Non so nemmeno come ti chiami...”
Precisò a bassa voce, lasciando la domanda implicita… le rivolse finalmente attenzione, sentendo nel petto il peso del suo nome, pieno d’orgoglio come ogni singola volta che gli veniva offerta l’opportunità di pronunciarlo… non era per vanità, ma per rispetto, sempre e comunque fiero di portare  quel cognome… 
“Joe… il mio nome è Joe Shimamura…”
Disse con un lampo negli occhi, sparendo subito dopo… senza aver colto l’ombra di una smorfia di disgusto sul viso di lei… 
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Jonah… saliti i pochi scalini lo vidi di spalle, i capelli chiari mossi dal vento e le mani poggiate sui fianchi… anche guardandolo da dietro riuscivo a vedere il suo perenne sorriso compiaciuto… lui si voltò quasi immediatamente, come previsto due lunghe file di denti bianchi riflettevano la luce della luna sul suo viso da bambino…
“Fratello!”
Esclamò con entusiasmo allargando le braccia, quasi si aspettasse un caldo abbraccio di benvenuto… la sua voce squillante, ancora forte di accento inglese, riecheggiò in mare aperto… digrignai i denti afferrandolo per il colletto della camicia e sbattendolo forte contro la cabina di pilotaggio…
“Stupido idiota! Ti avevo chiesto solo una cosa, una soltanto! Tutto quello che dovevi fare era essere puntuale!”
Jonah non smise di sorridere, sforzandosi di aggrottare le sopracciglia…
“Sono stato puntuale! Voglio dire, lo sarei stato… ero già praticamente per strada quando…”
“Quando cosa Jonah?”
“Smirnov...”
Fu come se un’incudine da mezza tonnellata fosse piombata tra noi...
“Alexei Smirnov?”
“Il solo ed unico! Me lo sono trovato di fronte mentre uscivo dal bar per venire a prenderti…”
Mollai la presa su mio fratello e Jonah si ricompose immediatamente…
“…inutile dirti che ho dovuto sprecare il mio prezioso tempo per ripetergli, ancora una volta, che non abbiamo idea di dove sia finita quella cagna di sua figlia…”
Quello era ovviamente un eufemismo… erano stati necessari cinque uomini, due pistole, nonché una spranga di ferro affinché il russo ed il suo entourage mollassero la presa…
Mi passò una mano sulla faccia, senza alcun bisogno di pronunciare quel nome ad alta voce… Nataljia... Nataljia Smirnova... l’unico grande errore di Jet... il peggiore… la donna in questione era effettivamente la moglie di mio fratello, se non altro legalmente… il loro matrimonio era stato pianificato da nostro padre e Smirnov come una qualsiasi altra transazione di lavoro, il modo perfetto per siglare un’alleanza tra potenti famiglie… purtroppo però Jet non era riuscito a trattenersi, si era innamorato della ragazza, sia stato per i suoi grandi occhi scuri o per la crudeltà pura celata dietro il viso d’angelo… ad ogni modo la stronza aveva deciso di sparire due anni prima, fuggendo nel cuore della notte, senza lasciarsi tracce dietro… ero convinto che mio fratello sapesse più di quanto non volesse ammettere riguardo le ragioni di Nataljia, tuttavia lei non sembrava voler essere trovata e alla fine tutti noi avevamo smesso di cercare… tutti eccetto Alexei… quell’uomo era davvero una spina nel fianco…
“Come faceva a sapere che eravamo a Johannesburg?”
Jonah sollevò le spalle…
“Non ne ho idea… suppongo che ci spii ancora...”
Mi afferrai il mento come se avessi bisogno di riflettere…
“Ed io suppongo che ci sia lui dietro il repentino arrivo degli sbirri…”
Sentii le mani stringersi in due pugni chiusi… maledetto il giorno in cui quell’arpia sovietica aveva varcato la soglia della nostra casa…
Jonah sospirò rumorosamente passando le dita tra i capelli…
“Beh…visto che siamo in tema, Jet ci aspetta!”
Esclamò trillando come un ragazzino, entusiasta al pensiero di passare finalmente un po’ di tempo con i suoi fratelli maggiori… pur sembrando strafottente e vanesio la maggior parte del tempo aveva davvero un gran senso della famiglia, esattamente come ogni altro Shimamura…
“Lui dov’è?”
“Comodamente seduto in elicottero, sulla spiaggia di una deliziosa isoletta deserta qui vicino…”
Sospirai, sentendo lo stomaco smettere di contorcersi per un po’… avevo bisogno di rivedere Jet, una grossa dose della sua imperturbabilità mi avrebbe davvero fatto comodo...
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Frugai tra gli stracci che avevo in mano, individuando una specie di prendisole bordeaux ed un bikini nero… non esattamente i miei colori, ma in mancanza di una boutique e di biancheria intima pulita, sarebbero andati più che bene… portai i vestiti al naso e riconobbi profumo di crema solare e cocco… odoravano di vacanze, pensai, come se fossero stati indossati durante un romantico viaggio alle Hawaii… iniziai a pensare alla donna cui potessero appartenere e lentamente unii i pezzi del puzzle, sommando quell’odore e quei vestiti ai cosmetici che avevo intravisto nel bagno… la barca doveva appartenere a qualcuno, qualcuno che senza dubbio non era Joe Shimamura... lentamente, ma chiaramente, iniziai a tracciare le possibili conclusioni, trovando risposta ai miei precedenti interrogativi… l’assassino aveva rubato la barca, togliendo di mezzo i legittimi proprietari… dopodiché aveva navigato il più lontano possibile dal punto d’impatto dell’aereo… o forse i suoi fratelli l’avevano presa per lui, lasciandola a portata di mano dopo il volo in paracadute… senza dubbio qualcuno ci aveva rimesso la vita…
Il suono distante di una risata mascolina mi riportò alla realtà… sospirai infilandomi velocemente costume ed abitino, poi tesi le orecchie al piano di sopra… non riuscivo a cogliere le parole precise, ma si trattava senza dubbio di una chiacchierata amichevole... quello sarebbe stato il momento migliore per tentare una nuova fuga… peccato che tutt’intorno ci fosse solo acqua e non avessi la minima possibilità di riuscire a nuotare per miglia fino alla terra ferma… ascoltai ancora una risata e mi decisi a muovermi, cercando di spiare il nuovo venuto… suonava contento dopotutto, forse non mi avrebbe uccisa immediatamente…
Presa dall’urgenza di capire almeno che faccia avesse, cercai di sbirciare senza far rumore, sollevando la testa al di sopra della scaletta… sembrava solo un ragazzo, notai, più giovane del «mio assassino» ma dai tratti molto simili... capelli chiari e lisci, occhi castani dal taglio vagamente orientale, pelle rasata, tratti delicati, non fosse stato per le folte sopracciglia ed il sorriso beffardo…
Il ragazzo colse la mia presenza quasi immediatamente, interrompendo l’ultima frase a metà e piantandomi gli occhi addosso come macigni… quello non era certo lo sguardo di un ragazzino innocente… 
Sollevò le ciglia senza distogliere l’attenzione da me…
“Oh Oh Oh!”
Esclamò, come una specie di raccapricciante Santa Klaus… i suoi piedi si mossero verso la scala, i passi intervallati da sguardi divertiti ed ammiccanti verso l’assassino…
“Cosa abbiamo qui?”
Mi afferrò per il vestito e mi obbligò a venir su per gli scalini… mi esaminò dalla testa ai piedi per poi rivolgersi all’altro con un gran sorriso…
“Hai preso un souvenir?”
Lui restò serio…
Il ragazzo sollevò le mani incapace di togliersi l’espressione compiaciuta dalla faccia…
“Tranquillo fratello, non sto giudicando! Lo so che un uomo ha bisogno di tenere le mani occupate in certe situazioni...”
Il suo tono si era fatto allusivo, tornando a guardarmi... trattenni il respiro sentendomi scrutata come sotto ai raggi x… quella era di certo un’abilità che gli Shimamura avevano in comune, ciononostante lo sguardo del più giovane era forse ancor più inquietante… e perverso…
Lui si avvicinò, passandomi due dita tra i capelli, portandosi una ciocca al naso… inspirò profondamente…
“Ha un buon odore…”
Commentò, rivolto al fratello come se  neanche ci fossi... strinsi le labbra e cercai di divincolarmi dalla sua presa…
“E non l’hai ancora domata a quanto vedo...”
Quello ridacchiò al mio tentativo, afferrandomi con forza all’altezza del braccio. Serrò la presa e mi strattonò verso di sé…
“Sta’ buona dolcezza…”
Ordinò, serio di colpo…
Sgranai gli occhi avvertendo la sua mano addosso e le dita che giocherellavano col laccetto del mio bikini…
“Ora basta…”
L’assassino si decise finalmente a parlare… l’altro mollò la presa su di me pur restandomi accanto…    
“Oh Joe…”
Sospirò
“…sempre così restio a condividere! Toglie punti al tuo fascino, sai?”
“Ho detto basta Jonah...”
Il tono ancora fermo, gli occhi puntati sul fratello come un’aquila… l’altro sollevò le mani allontanandosi finalmente da me…
“Come vuoi…”
Sospirò, passando i palmi sul colletto della camicia…
“…ad ogni modo, cosa vuoi farne di lei? Come stavo dicendo poc’anzi Jet attende…”
Divenni di pietra… il momento era arrivato ed un sospiro mi sfuggì dalle labbra… un assassino appassionato di coltelli ed il suo terrificante fratellino stavano decidendo della mia vita, le mie chance di sopravvivere erano praticamente inesistenti…
“Se preferisci me ne occupo io...”
Si offrì «gentilmente» Jonah, pronto a tornare sui suoi passi con espressione del tutto ordinaria…
Lui chiuse i pugni…
“No…”
“Ok, pensaci tu allora...”
“Non la uccideremo…”
Sentenziò… sia io che il fratello gli puntammo gli occhi addosso come se avesse appena detto qualcosa di assurdo…
“Non ancora almeno...”
Si sentì di precisare, rivolgendosi esclusivamente a suo fratello…
“Era sull’aereo… sapeva chi ero e perché mi trovavo lì…”
L’altro arricciò il naso…
“Credi sia una spia? La spia di Smirnov magari?”
Mi morsi il labbro per non parlare… non avevo idea del perché l’assassino stesse mentendo, o se davvero fosse convinto di quello che stava dicendo, ma se ciò voleva dire restare in vita ancora un giorno, certo non avrei commesso l’errore di proclamarmi del tutto innocente…
Joe sollevò le spalle, serio ed impassibile…
“Non lo so ancora… la ragazzina non è stata molto disponibile al dialogo, ma sono convinto che presto canterà...”
Jonah non trattenne il sorriso…
“Conoscendo i tuoi modi fratello, non ho dubbi!”
Digrignando i denti, prese a sfregarsi le mani…
“Bene…in tal caso prendi pure il tuo nuovo cucciolo e andiamocene… tutta questa umidità mi rovina i capelli...”
Il più giovane saltò giù dalla barca con agilità, senza nemmeno barcollare, mentre tornava alle redini del motoscafo che l’aveva portato fin lì…
Io e Joe ci guardammo di nuovo senza dir nulla… davvero credeva che fossi una spia? O aveva qualche altra incomprensibile ragione per portarmi con sé? Lui abbassò gli occhi per primo.
“Muoviti Joe! Non abbiamo tutta la notte!”
Indicò al di là del parapetto con un rapido cenno della mano…
“Avanti…”
Schiusi le labbra senza emettere suoni… avrei potuto chiedergli di lasciarmi lì, ma a che scopo?
Guardai davanti a me e strinsi il metallo tra le dita mentre scivolavo sull’altra imbarcazione… così vicina all’acqua, completamente avvolta dall’oscurità e dai suoi rumori, strinsi le braccia al petto… Joe mi fu subito dietro, mollando poi la cima che teneva lo scafo legato alla barca… si sedette accanto a me, ma non mi guardò più, per tutto il tempo di quel viaggio…

Parte 5


“Eccoci qui fratello! Come vedi, contrariamente alle tue supposizioni, sono perfettamente capace di portare a termine un compito...”
Jet non mosse gli occhi dal bersaglio mentre il più giovane dei miei fratelli prendeva posto sull’elicottero… le sue labbra pronunciarono una risposta, ma il resto del suo viso non si mosse nemmeno…
“Trovi sempre il modo di stupirmi Jonah...”
Rimase immobile con le braccia incrociate sul petto, seguendo i nostri movimenti…
Io stavo ricambiando i suoi occhi in modo serio, ma coscienti entrambi che dietro quelle maschere stavamo sorridendo… avrei volentieri abbracciato Jet, se non avessi avuto l’urgenza di trovare una scusa per il mio «bagaglio a mano»…
“Devo essermi perso qualcosa Joe…”
Esordì, lasciando le braccia distese lungo i fianchi, lo sguardo rivolto alla ragazza…
Sollevai gli angoli della bocca…
“Grazie per il trucco dell’aereo fratello…”
Jet rimase impassibile…
“Hai detto Volo con l’Aquila, il che indicava gli Stati Uniti… e non è stato difficile cogliere il tuo sottile riferimento alla libertà, vedi statua della libertà, vedi New York… da lì in poi non ho dovuto fare altro che un paio di telefonate…”
Prese fiato…
“…e adesso…”
Inclinò lentamente la testa a sinistra…
“…potresti gentilmente spiegarmi l’inaspettata presenza di quest’esausta, senza dubbio incantevole, ma sconosciuta giovane donna?”  
Le lanciai un’occhiata veloce…
“Era sull’aereo…”
Esordii... Jet sollevò un sopracciglio…
“E tu l’hai presa?”
“Io non l’avevo mai vista prima, ma lei sapeva chi sono… sospetto sia una spia...”
Jet tornò a guardare la ragazza…
“Spia?”
Sospirai…
“Esatto… ho sentito che il tuo amato suocero era a Johannesburg e quindi ho fatto due più due…”
Jet inspirò profondamente, non lasciando trasparire alcuno dei suoi pensieri…
“Una spia di Alexei quindi…”
Stavolta si mise ad osservare la ragazza con più attenzione, tracciando due lenti passi verso di lei… Françoise cercò di guardare altrove… Jet curvò la schiena verso di lei, avvicinando il viso alla sua persona, quasi volesse sentirne l’odore, quasi potesse riconoscere la Russia dal suo profumo… alzò la mano destra, afferrando delicatamente il mento di lei tra pollice ed indice, sollevando il suo sguardo senza alcuna fretta…
“E dimmi…”
Iniziò, gettando i suoi occhi azzurri in quelli di Françoise…
“…questa dolce creatura ha anche una voce? Come ti chiami?”
La vidi annaspare nell’aria per qualche secondo…
“Françoise…”
Jet mosse piano le dita dal suo mento alla sua gola, sfiorando dolcemente il punto preciso in cui il sangue pulsava freneticamente sotto la pelle…
“Non credo che sia una spia…”
Si rivolse a me interrompendo ogni contatto, fisico o visivo, con Françoise...
“Sei sicuro? Come faceva a sapere allora?”
Jet si mosse verso l’elicottero…
“Non lo so… chiedilo a lei, dopodiché sbarazzatene…”
“Mi ci vorranno tempo e mezzi fratello...”
Jet si bloccò sui suoi passi, voltandosi in un unico, fluido movimento…
“Questo implica forse il fatto che vorresti portarla con noi?”
“Voglio solo arrivare in fondo alla questione…”
Jet si avvicinò a me, stavolta rigido e serio…
“Stai quindi sottintendendo che vorresti portare una completa insignificante sconosciuta a casa nostra?”
La sua voce sottolineò le ultime parole, implicando l’assurdità del solo pensiero…
Strinsi i pugni…
“Me ne occuperò io…”
Jet sollevò le spalle tornando a voltarsi…
“Occupatene ora…”
Alzai il tono di voce…
“E da quando sei tu che dai gli ordini fratello?”
Jet emise una specie di sospiro, il suono della sua esasperazione…
“Non lo so fratello… forse da quando ho dovuto tirarti fuori dai guai per l’ennesima volta? Sono stanco di ripulire i tuoi casini…”
“I tuoi casini vorrai dire… se fossi stato in grado di tenerti tua moglie tutto questo non sarebbe successo…”
Jet piombò su di me, rapido ed incombente, come se volesse spaccarmi la faccia a suon di pugni… non si mosse più una volta davanti al mio viso, gli occhi stretti in due fessure come se potesse cavarmi l’anima dalle orbite…
Rimasi immobile, improvvisamente stavo davvero desiderando di picchiare mio fratello, non sapevo nemmeno bene perché…
Jonah saltò giù dall’elicottero con agilità e ci raggiunse…
“Dateci un taglio…”
Ordinò con noncuranza, richiamando l’attenzione di Jet…
“La ragazza gli piace ok?...” sorrise divertito  “…lasciagliela portare, tanto sappiamo bene che se ne sarà già stancato tra un paio di giorni…”
Jet mi guardò di nuovo, nessun segno di emozioni sul suo viso…
“Molto bene…”
Esordì riprendendo la sua postura composta…
“…andiamo via da qui...”
Stavo sorridendo per la prima volta dopo giorni interi… amavo i miei fratelli, il solo tipo di amore che conoscevo e che mi era permesso… la famiglia prima di tutto, la nostra unica grande regola, le parole che in ogni momento riecheggiavano nella mia testa… il grande orgoglio e peso dell’essere uno Shimamura… mentre Jonah raccontava della spogliarellista olandese che aveva legato al suo letto qualche sera prima, guardai Françoise con la coda dell’occhio… se ne stava rannicchiata con le braccia strette al petto, gli occhi fissi al suolo… forse l’elicottero le dava la nausea… forse era stremata… forse si era semplicemente arresa… voltai la testa per osservarla meglio… sperai che non fosse questo, che la ragazzina dell’aereo non avesse già ceduto… mi piaceva la sua grinta, il modo in cui mi combatteva, cercando di respingermi e tenermi lontano… volevo che mi combattesse… volevo che mi respingesse…
Atterrammo su quello che doveva essere il tetto di un edificio…
Jet consegnò le chiavi dell’apparecchio ad uno sconosciuto, quest’ultimo, occhiali da sole e giacca nera, pronto a sparire nello stesso cielo da cui eravamo arrivati… Jonah stirò le braccia con una specie di sbadiglio…
“Avrei di gran lunga preferito andare subito a casa… sai com’è.. Jacuzzi, champagne, massaggiatrici cinesi…”
Jet passò le mani sulla giacca del suo completo blu, incredibilmente perfetta anche dopo il volo…
“A tempo debito Jonah...”
Rispose, i suoi occhi chiaramente diretti verso la ragazza… la spinsi più forte verso la scala di servizio, sempre mantenendo il silenzio… doveva essere un palazzo abbandonato, forse una specie di hotel in disuso, almeno a giudicare dal gran numero di porte e dai cartelli verdi che segnavano ogni piano con una grande cifra bianca e le indicazioni per l’uscita di sicurezza… arrivati al numero 3 la trascinai attraverso la porta, lungo un corridoio con la moquette blu…
Aprii per lei una delle tante stanze anonime e la guidai dentro, sempre senza dire una parola… la camera era piuttosto piccola, con la stessa moquette blu e la tappezzeria beige alle pareti… il poco mobilio sembrava essere lì dagli anni settanta, anche se le lenzuola bianche sul letto erano brillanti e pulite…
La porta si aprì di nuovo ed entrarono anche i miei fratelli…
Jonah si piazzò in faccia il solito sorrisetto, indicando il letto con un cenno della mano…
“Direi che qui hai tutto quello che ti serve Joe...”
Sospirai scuotendo appena la testa, Jet si avvicinò di nuovo alla ragazza, porgendole una bottiglietta d’acqua comparsa dal nulla…
“Ho immaginato che potessi essere assetata…”
Lei allungò la mano per accettare l’offerta, ma le tolsi la bibita dalle dita prima ancora che potesse afferrarla davvero…
Inclinai la testa verso mio fratello maggiore…
“Bel tentativo Jet...”
Gli ci era voluto un secondo di troppo per capire, anche se la natura di quell’offerta era più che ovvia… Jet aveva avvelenato l’acqua, impaziente all’idea di liberarsi della mia ragazza dell’aereo… mia… ma perché continuavo a pensarla mia? Sollevai un sopracciglio rivolto a mio fratello, il mio sguardo diceva chiaramente che avrei deciso io come e quando liberarmi dell’ostaggio… Jet non mosse un solo muscolo del viso, mi dette le spalle e prese la porta… dietro di lui Jonah ridacchiava ancora tra sé e sé…
“Buon divertimento!”
Qualche secondo perché il rumore dei loro passi nel corridoio svanisse e poi il silenzio piombò nuovamente sovrano nella stanza…
“Quindi è questo che vuoi? Lasciarmi morire di fame e di sete?”
La guardai immediatamente, come se solo in quel momento prendessi piena coscienza della sua presenza… svuotai la bottiglietta nel lavandino del minuscolo bagno annesso e tornai da lei…
“Mai… non bere o mangiare mai qualcosa che provenga dalle mani di Jet...”
Lei mi guardò per un secondo cercando di dar senso a quel comando… mi mossi verso la porta…
“Ha la tendenza ad avvelenare le persone…”
Françoise abbassò gli occhi senza rispondere nulla…
“Ti porterò io qualcosa da bere e da mangiare…”
Aggiunsi… uscii dalla stanza chiudendomi la porta dietro le spalle… lo scatto della chiave nella serratura secco e netto…
Quando, un po’ di tempo dopo, riaprii la porta lei era immobile nella stessa posizione di quando l’avevo lasciata, voltando solo la testa per avere la non necessaria conferma che fossi io... le porsi una bottiglia e lei l’afferrò senza bisogno di inviti, portandosela immediatamente alle labbra…
Rimasi lì a guardarla, totalmente assorta in quel gesto naturale, ignorando le gocce che sfuggivano alle sue labbra colando giù lungo il collo, bagnando il vestito troppo grande che aveva addosso… beveva come se quella fosse la sua ultima possibilità, come se non avesse mai assaggiato nulla di più buono… ed io me ne stavo lì, incapace di distogliere lo sguardo, assorbito dalla sua aura… la ragazza aveva qualcosa, una sorta di strano potere, l’abilità di mutare davanti ai miei occhi, un momento terrorizzata e un momento dopo splendente, forte, come se nulla potesse toccarla…
Si fermò per respirare, chiudendo gli occhi per un attimo…
“Sai che non sono una spia…”
Esordì…
“…perché mi hai portata qui?”
Fissai la parete davanti a me…
“Perché mi hai salvata dall’aereo?”
La seconda domanda pronunciata con meno decisione…
“Non lo so...”
Risposi, sorpreso dalla mia stessa onestà… ovviamente non potevo dirle che lei mi piaceva, tanto meno che, in qualche incomprensibile modo contorto, sentivo di averne bisogno… la ragazza dell’aereo era bella, coraggiosa… normale… inspirai dandole le spalle dopo aver poggiato un sacchetto del take-away sul comodino… naturalmente, dopo aver saputo il suo nome, avevo scovato ogni possibile fonte alla ricerca di informazioni sulla ragazza… ventidue anni, nata nei sobborghi di New York, una vita del tutto ordinaria fino a sei anni prima… entrambi i genitori morti in un incidente d’auto, era andata a vivere in Alaska con sua zia… ora viveva di nuovo a New York da due anni, pagando l’affitto di un bilocale a Chinatown con un lavoro da cameriera di caffetteria… una donna comune, una boccata d’aria fresca nella mia vita disordinata e solitaria… tutto quello che non avevo e non avrei mai potuto avere…
Non potevo dirle che mi piaceva guardarla, immaginandola dietro un bancone a servire caffè o sdraiata sul divano davanti alla tv… o nuda sotto la doccia… o stesa su un tavolo con me sopra… no, non potevo…
Lei continuò…
“Cosa siete quindi… mafiosi? Killer su commissione? Stupratori?”
Tornai a guardarla, sul mio viso un accenno di sorriso…
“Due su tre, tesoro…”
Aggrottò le sopracciglia… mi mossi lentamente verso di lei, coprendola a poco a poco con la mia ombra…
“Quali?”
Chiese… sorrisi beffardo, di nuovo calato nella mia veste…
“Uccido le persone… e mi piace anche…”
La vidi trasalire…
“Ma quando si tratta di donne…”
Presi a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi…
“…di certo le preferisco consenzienti… e vive…”
Lei si sforzò di prendere un respiro profondo, cercando di indietreggiare il più possibile senza arrivare a sdraiarsi sul letto…
“Io posso anche essere viva, ma non sarò consenziente...”
 Il ghigno sul mio viso si aprì completamente…
“Confesso che avevo avuto tutt’altra impressione…”
Sussurrai… davanti ai miei occhi ancora chiara l’immagine di lei, calda e tremante, pronta ad essere presa…
Sollevò il mento…
“Stavo solo cercando di salvarmi la vita…”
Inclinai la testa, indugiando un paio di secondi prima di poggiare un ginocchio sul letto e prendere posto accanto a lei…  
“Stai mentendo…”
La sicurezza stampata sul mio viso obbligò Françoise a guardare il soffitto… mi feci più vicino, assorbendo ogni minimo dettaglio del suo volto, cercando conferma ai miei pensieri in ogni più piccolo movimento dei suoi lineamenti…
“Tu mi vuoi…”
Lei riprese immediatamente contatto con i miei occhi…
“Dal primo momento in cui ci siamo incrociati sull’aereo...”
Aggiunsi, senza mai interrompere il nostro contatto di sguardi… le pupille della ragazza si dilatarono di colpo, dimostrazione che avevo colto nel segno… avrei voluto sorridere, congratularmi con il mio ego, ma preferii continuare a fissarla, scavandole dentro, ormai troppo perso per risalire rapidamente a galla…
Lei allungò le mani sul mio torace, spingendomi via…
“Sta’ lontano da me…”
Mi lasciai guidare, per nulla segnato dal suo rifiuto anzi, quella era probabilmente la parte che preferivo, il piacere agrodolce del sentirsi negare ciò che si desidera... il rigetto presupponeva, infatti, che avrei goduto il doppio nell’ottenerlo...
Mi alzai in piedi, avvicinandomi lento alla finestra, sbirciando il mondo tra le sbarre, tanto simili a quelle di una prigione…
“Èpiuttosto difficile capirti ragazzina...”
Silenzio…
“Un attimo sembra che tu non abbia ragioni per vivere, che la tua stessa esistenza non abbia per te alcuna importanza… e l’attimo dopo sei pronta a tirar fuori gli artigli e graffiare…”
Sorrisi tra me…
“…non che non mi piacerebbe sentire le tue unghie conficcarsi nella mia schiena…”
Lei balzò in piedi…
“È solo questo che vuoi, giusto?”
Mi voltai, genuinamente spiazzato…
“Bene…”
Mosse due passi decisi verso di me, afferrando decisa l’orlo del suo prendisole, pronta a sfilarselo senza troppa grazia…
“Avanti…”
Continuò, buttandolo a terra con forza…
“Fa’ ciò che vuoi…”
Riprese fiato a stento
“…togliamoci il pensiero…”
Avvertii ogni sfumatura di rabbia ed acidità nella sua voce, sentendomi colpito per la prima volta… mi presi il tempo di guardarla ancora una volta dalla testa ai piedi, apprezzando ogni centimetro scoperto della sua pelle candida… stavamo bruciando entrambi in quella piccola stanza, lei di collera ed io di… desiderio? Inspirai profondamente, cercando di capire cosa mi bloccasse dal prenderla, sbatterla al muro e farle rimangiare quell’impeto di sfacciataggine… me ne stetti lì, immobile, ad aspettare che Françoise per prima divenisse cenere… le mie mani ed i miei piedi avrebbero voluto muoversi per conto loro, ma qualcosa dentro mi tenne inchiodato al pavimento, qualcosa che uno come me, totalmente sconosciuto ai sentimenti e alle emozioni, non riusciva a decifrare…
“Lo stai facendo di nuovo…”
Riuscii infine a parlare, ricomponendo a fatica il mio autocontrollo, completamente focalizzato sui soli occhi della ragazza…
“Come se nulla avesse importanza…”
In quel momento la ragazzina dell’aereo era come una moneta, un moneta che gira veloce su se stessa, mostrando ininterrottamente le sue due facce ed io ero quello che stava a guardare, cercando di resistere all’urgenza di bloccarla e scoprire quale fosse il suo vero volto… qualcosa in quella donna mi stava incantando contro la mia volontà… dovevo fare in modo che smettesse…
Fu lei per prima a mollare lo sguardo, cercando invano di sprofondare nel pavimento… raccolsi l’abito bordeaux e glielo porsi...
“È ora che tu prenda una decisione…”
Lei afferrò piano il tessuto...
“…Vuoi vivere o vuoi morire?”
Con un sospiro sarcastico si rivestì…
“Come se fossi io a decidere...”
La catturai con un’occhiata seria, bloccandola a metà del suo gesto…
“Certamente sei tu a decidere… siamo noi i soli artefici del nostro destino…”
Mi avvicinai nuovamente alla finestra, svuotato dei pensieri lussuriosi di poco prima… seguii il profilo delle nuvole sopra New Orleans…
“Cosa faresti se adesso aprissi quella porta e ti lasciassi andare?”
Dissi impassibile…
“Dove andresti? Cosa cambieresti se riavessi la tua vita?”
Aggiunsi a voce bassa, come se stessi parlando con un interlocutore immaginario piuttosto che con lei…
“Londra…”
Rispose tornando a sedersi sul bordo del letto…
“Avrei sempre voluto andarci…”
Mi voltai a guardarla, un nuovo e diverso luccichio nei suoi occhi…
“Gran bella città… artistica… eccentrica… affascinante…”
“Ci sei stato?”
La domanda le sfuggì dalle labbra spontanea, come se la nostra fosse diventata una semplice conversazione. Sollevai un angolo della bocca in un mezzo sorriso…
“Non credo ci sia a questo mondo un posto dove non sono ancora stato…”
Ed era vero… dall’Europa all’Australia… dai deserti del Nord Africa a quelli del Medio Oriente… dalle stravaganze giapponesi agli intensi profumi di Cuba…
La suoneria trillante del mio telefono interruppe quell’attimo di silenzio… le voltai le spalle e mi portai il cellulare all’orecchio…
“Padre...”
Risposi, quell’unica parola pronunciata tra le labbra quasi fosse tagliente… il mio interlocutore parlò senza bisogno di risposte per una buona manciata di secondi…
“Bene…”
Fu l’unica altra cosa che dissi prima di chiudere la comunicazione… guardai di sfuggita Françoise come se la sua presenza avesse perso improvvisamente d’interesse… mi avviai verso la porta in silenzio… me ne stavo andando senza dire niente…
“Mi lasci qui?”
Una domanda pronunciata con un brivido d’agitazione… le rivolsi un ultimo sguardo, la mia mente era già ampiamente fuori da quella stanza e da quell’edificio…
“Ho delle cose da fare…”
Lei sospirò…
“Non voglio stare qui… chiusa in questo buco ad aspettare di morire…”
Sollevai un sopracciglio…
“Cosa vorresti? Che ti portassi con me?”
Il tono a metà tra il divertito e l’assurdità…
“Tu sei solo un ostaggio… una prigioniera… una preda…”
Indugiai sulla soglia, stringendo la maniglia con tutta la mia forza…
“E credimi… se hai già paura di me, allora mio padre è davvero l’ultima persona al mondo che vorresti incontrare…”
Conclusi prima di sparire sbattendomi la porta dietro le spalle…

Parte 6

Il cancello della villa si aprì con il solito fischio… il viale proseguiva su per la collina in curve lente e sinuose… le palme sventolavano piano, lasciando intravedere il grande edificio in cima alla strada… casa, così avrebbe dovuto chiamarsi…
Respirai una lunga boccata d’aria, l’umidità del Mississippi mi era già addosso… lasciai scorrere gli occhi sui muri color mattone, interrotti dalle grandi finestre bianche in stile vagamente inglese, completamente fuori dall’impronta europea di New Orleans… al primo piano la grande balconata in ferro battuto era già coperta di fiori e foglie verdi, mentre il colonnato bianco del portico risplendeva al sole, candido e pulito come sempre…
Mia madre avrebbe adorato quella casa, se solo avesse potuto godersela per un po’…
Il suono dei miei passi sul parquet scuro rimbombò nel grande soggiorno vuoto… nessun segno del passaggio di Jonah e Jet…
Facendomi coraggio, proseguii per il lungo corridoio fino alla porta chiusa dello studio... Affrontare mio padre era quella parte di vita che non avrei mai rimpianto se fossi rimasto chiuso in una cella per il resto dei miei giorni… potevo già sentire il suono acido, intriso di superiorità, della sua voce… sbattei piano le nocche contro il legno…
“Avanti…”
Varcai la soglia fissando il pavimento, cercando di ritardare al massimo il momento in cui il caro papà mi avrebbe puntato gli occhi addosso, con chiaro e palese disappunto…
“Vieni avanti Joe…”
Ed eccolo lì… Jack Shimamura III, comodamente seduto sulla sua poltrona di pelle, seminascosto dietro la scrivania in mogano… la giacca nera rispecchiava il suo solito umore, mentre la barba, lasciata lunga, ma perfettamente curata, copriva a metà il ghigno sul suo viso…
“Felice di riaverti a casa figliolo…”
Sarcastico… era solo sarcastico… strinsi i pugni cercando di frenare la lingua, quel trattamento mi era riservato dal giorno della nascita, ormai avrei dovuto esserci abituato… il Signor Shimamura era tutto fuorché un padre amorevole…
Dopo aver ereditato il nome ed il business di famiglia, si era concentrato esclusivamente su quest’ultimo, tentando di ampliare gli orizzonti del loro potere… le origini della casata erano da ricercare in Giappone mischiatesi pian piano alle altre differenti branche della malavita del nuovo mondo…
L’originale Jack Shimamura, se questo era stato il suo vero nome, aveva messo piede sul suolo americano all’alba del primo conflitto mondiale, approfittando della confusione generale per piantare il seme della loro famiglia… inizialmente il piccolo impero criminale aveva raccolto il disappunto di poveri ed analfabeti, dedicati per lo più a rapine ed estorsioni, ma col passare degli anni le tecniche erano state affinate, ed il loro bacino d’azione largamente ampliato…
Oggi Jack Shimamura III teneva le redini di un’intera organizzazione, traendo profitti non solo dai più comuni illeciti, ma per lo più dal riciclaggio di denaro, dal contrabbando, dal gioco d’azzardo e dal traffico di sostanze… non vi era settore in cui non avesse ficcato le mani almeno una volta… anni di scontri ed alleanze l’avevano infine portato a vantare la più grande rete di collaborazione criminale mondiale…
Ciò non vuol dire che non avesse nemici…
Aveva molti nemici…
La grande furbizia ed intelligenza di questo piccolo uomo stava tutta nel non sporcarsi mai le mani in prima persona… c’era sempre qualcun altro che poteva fare il lavoro sporco al suo posto, affiliati, mercenari, corrotti, professionisti del crimine, i suoi figli… già, i suoi quattro bei ragazzi, i quattro soldati meglio addestrati…
Ognuno di noi era stato cresciuto con questo scopo, perfezionato nelle proprie personali inclinazioni, a servizio della famiglia…
“C’è già tuo fratello a marcire in galera…”
Riprese…
“…un altro Shimamura dietro le sbarre sarebbe stato a dir poco inopportuno...”
Gracchiando quelle parole, si sollevò dalla poltrona e raggiunse il mobile bar per versare due dita di Scotch nei bicchieri…
“…qualcuno potrebbe pensare che i miei figli non siano degni di portare il mio nome…”
Lui… era lui il primo e forse l’unico a pensarlo…
Cercai con tutte le mie forze di frenare i nervi, buttando giù in un solo sorso l’alcool che mio padre mi aveva offerto… dovevo solo far finta di non sentire… dovevo solo fingere… D’altra parte quel discorso aveva già raggiunto le mie orecchie milioni di volte, replicandosi e ripetendosi con toni e parole ogni volta diversi… non sarei mai stato abbastanza, non per il giudizio del grande Jack Shimamura III…
C’era una ragione dopotutto, una valida ragione perché lui mi odiasse, ed un’altra altrettanto buona per non avere alcuna considerazione del proprio primogenito… mio fratello maggiore era rinchiuso in una prigione di massima sicurezza in Giappone e mio padre non aveva ancora mosso un dito per liberarlo…
Troppo debole… troppo sensibile… troppo amato… così lo considerava…
Sin dal momento in cui aveva sposato mia madre, Jack aveva deciso che il loro primo figlio sarebbe stato null’altro che un passo obbligato… è nella natura delle donne infatti amare la loro prima creatura con un’intensità senza controllo, che non lascia spazio al dovere e alla disciplina… tuttavia, troppo amore rende questi figli deboli, fragili, in altre parole inutilizzabili… Jack sapeva che sua moglie non avrebbe mai rinunciato al suo primo cucciolo e così glielo aveva lasciato, facendo finta che nemmeno esistesse… tutto il suo interesse ed i suoi progetti si erano riversati direttamente su Jet...  poca sorpresa che fosse il suo soldato migliore…
“È stato Smirnov a far saltare il piano…”
Replicai come dato di fatto, senza la minima intenzione di giustificarmi… non c’era spazio per le giustificazioni in quello studio…
Mio padre mi sventolò la mano davanti alla faccia, come se cercasse di scacciare le mie parole…
“Alexei non è il problema…”
Si voltò di spalle e tornò alla sua scrivania, poggiando i palmi sul legno scuro… trattenni il fiato, spingendo tutta l’energia nei muscoli tesi…
“…tu sei il problema…”
Aggiunse Jack, voltandosi in un movimento fluido e mostrandomi il suo mezzo sorriso…
“La tua incapacità mi è costata parecchie migliaia di dollari figliolo… senza contare lo smacco al buon nome della famiglia…”
Si portò il bicchiere alla bocca, bagnando appena le labbra nel liquido ambrato, spendendo una buona manciata dei suoi preziosi secondi assaporandone l’aroma complesso…
“…ma del resto lo sai, non dovresti nemmeno portarlo il mio cognome…”
Concluse con voce pacata, come se avesse espresso il più naturale e scontato dei pensieri…
Strinsi il pugno attorno al bicchiere, talmente forte da aspettarmi una pioggia di vetri sul parquet da un momento all’altro… quanto avrei voluto spaccarglielo in fronte…
“Vattene adesso…”
Trattenni a stento l’istinto omicida, quello stesso che Jack aveva coltivato in me con tanta devozione… nella mia mente potevo già godere la vista delle interiora di mio padre spalmate per la stanza… girai i tacchi senza proferire sillaba…
“Ah, figliolo?”
Figliolo… di’ quella parola ancora una volta e giuro che ti sbudello, maledetto bastardo…
Gli tesi solo l’orecchio, perché se mi fossi voltato, davvero avrei rischiato di perdere il controllo…
“Non andare troppo lontano… se Mick non paga i suoi debiti entro lunedì, avrai un lavoro da fare…”
Meno male… avrei avuto qualcuno su cui scaricare la rabbia… Mick non avrebbe mai pagato ed io mi sarei sfogato facendolo a pezzi… dovevo solo resistere fino a lunedì…
No… non sarei mai riuscito a trattenermi tanto…
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Ero seduta sul letto, rimirando le briciole del panino che avevo divorato poco prima… il mio corpo stava ancora ringraziando…
La porta della stanza si aprì di colpo, sbattuta con violenza alle spalle dell’assassino…
Joe aveva gli occhi annebbiati, i capelli scompigliati e l’espressione sconvolta…
Balzai in piedi, spalancando gli occhi di fronte a tanta rabbia malcelata… ogni millimetro della sua persona trasudava collera, cattiveria, violenza…
Indietreggiai di un passo, valutando l’idea di dire qualcosa…
Lui mi fu addosso prima che potessi parlare, afferrandomi per le spalle e sbattendomi al muro… rimbalzai contro la parete fredda, incapace di opporre resistenza a quell’attacco inaspettato… le iridi scure di Joe erano sparite, totalmente fagocitate dalle pupille dilatate, frutto dell’alcool in cui aveva cercato di annegarsi…
Il suo peso mi inchiodò contro l’intonaco, mentre le sue mani tiravano su il vestito senza alcuna cerimonia… usando i piedi mi obbligò ad aprire le gambe, emettendo una specie di grugnito al mio tentativo di resistenza… premette l’avambraccio contro la mia gola, forzandomi al muro mentre lui, con la mano libera, slacciava la cintura…
Presi a dimenarmi, stringendo le unghie attorno al braccio che mi impediva il respiro, facendolo sanguinare, cercando disperatamente di strapparlo via… l’accenno di umanità che avevo intravisto sembrava sparito, sepolto dietro una furia senza volto…
Afferrandomi ancora una volta con decisione, mi spinse sul materasso…
“No… ti prego no…”
Ignorando completamente la richiesta si buttò sopra di me, per nulla disturbato dai miei pugni sulla schiena…
Tirai indietro la testa, cercando di evitare la sua bocca… con un movimento deciso di bacino aveva preso posto tra le mie gambe, strusciandosi con violenza contro di me...
Cercai di respingerlo ancora una volta, provando in ogni modo a farmi sentire… tutto ciò che uscì dalla mia bocca fu una lunga scia di no, alcuni urlati, altri appena sussurrati…
Riuscii infina a portare le mani al petto dell’assassino e spinsi più forte che potei… il peso di lui oscillò appena… chiudendo gli occhi portai i palmi alle sue spalle e lo chiusi in una specie di abbraccio stonato…
“Ti prego fermati Joe...”
Lui sembrò paralizzarsi di colpo…
Sospirai… le parole erano uscite da sole una dietro l’altra… la scelta di chiamarlo Joe spinta dalla naturale ed istintiva necessità di abbattere qualche barriera in un momento rubato, ma comunque intimo…
Joe riprese parte del controllo, rimase nella sua posizione di comando, spingendo tutta la sua virilità contro di me, rendendo ben chiaro che il momento non era sfuggito… sollevando una mano, strinse il mio viso tra le dita e mi guardò dritta negli occhi…
“Se non mi lasci fare questo, ho paura che potrei farti male davvero…”
Ripresi fiato, scrutando quegli occhi velati… parte della rabbia era scemata, lasciando spazio ad una luce scura, più difficile da decifrare… era come se il suo fosse un bisogno, non fisico, ma spirituale…
Mossi le dita e sentii i suoi muscoli contratti sotto i polpastrelli… non c’era fibra in lui che non fosse tormentata…
In questo eravamo più simili che mai…
Sbattei le palpebre lentamente, portando piano le mani fino al suo polso…
“Non così…”
Sospirai, spingendo delicatamente via la mano che mi teneva il viso…
“…solo non così…”
Ripetei, mentre lui piantava i gomiti ai lati della mia testa, lasciando che fossimo faccia a faccia…
Mi morsi piano il labbro, sentendo che qualcosa stava iniziando a muoversi anche dentro di me… feci forza sugli addominali e mi tirai su, abbastanza da sfiorare le labbra dell’assassino con le mie, stavolta in un gesto lento e delicato… il sapore deciso della sua bocca non mi sembrò più tanto spiacevole…
Lui ripeté il mio gesto ed io risposi al bacio, muovendomi ad un ritmo pacato, riportando piano la schiena sulla coperta, trascinandolo giù con me...
L’assassino affondò nella mia bocca ed io spinsi impercettibilmente sulle sue spalle attirandolo a me, perdendomi in un bacio morbido e caldo, finalmente degno di quel nome…
Lui lasciò scorrere la mano sul mio collo, sulle spalle e poi sul seno, passando delicatamente il pollice sulla parte più sensibile… risposi con un leggero colpo di reni, sorpresa quanto lui della facilità con cui il mio corpo sembrava rispondergli… mi staccai dal bacio per riprendere aria ed infilai le dita sotto la maglietta dell’assassino, svelando una pelle liscia e calda, avvolta su muscoli forti e contratti…
L’azione aumentò presto di ritmo, trovando la mano di Joe sul mio stomaco scoperto, scosso da brevi respiri affannosi… il movimento continuò inesorabile, fin quando le sue dita riuscirono ad infilarsi sotto i confini del bikini… sussultai, quel contatto inaspettatamente piacevole, come se lo avessi atteso da tempo…
Inarcai la schiena schiudendo le labbra… avrei dovuto odiarlo, ma non potevo non ammettere a me stessa che nessuno mai mi aveva toccata in quel modo… avevo dentro solo le sue dita e già mi sentivo sul punto di esplodere…  
Lo sentii muoversi, spostando il peso del corpo su un solo ginocchio… l’inconfondibile rumore della zip riempì quel secondo di silenzio… rimasi a guardarlo, persa ancora una volta nello strazio dei suoi occhi… gli accarezzai piano il viso, buttando giù un altro mattone dall’enorme muro tra noi… lo sentii spostare il costume con la punta delle dita ed entrare in me… chiusi gli occhi, stringendo d’istinto i muscoli…
“Apri gli occhi…”
Mi riprese lui, con voce bassa, ma decisa… forse aveva bisogno di guardarmi in quel momento, bisogno di capire dai miei occhi se lo stessi odiando, se lo avrei respinto, se avessi immaginato o desiderato di essere in un qualsiasi altro posto piuttosto che lì, sotto di lui…
Quella consapevolezza spezzò la dolce stasi del nostro avvicinamento… l’assassino allontanò da sé le mie mani e le immobilizzò al materasso con le sue sopra, facendo forza sulle ginocchia per aumentare il ritmo delle sue spinte… nascose il viso nell’incavo del mio collo ed io chiusi di nuovo gli occhi, godendo allo stesso tempo del contatto dei nostri corpi e dei suoi gemiti di piacere, ovattati dalla posizione, ma chiari e continui, come una sorta di sensuale canzone a far da sottofondo…
Lui mi strinse alla vita, attirandomi a sé, rendendo quel contatto il più profondo possibile… si tirò su per guardarmi ancora, osservando le mie reazioni ad ogni spinta…
Incapace di contenersi ancora, premette tutto se stesso dentro di me, congelando ogni altro movimento…
Io ero rimasta immobile insieme a lui, con le palpebre ancora calate e le mani tremanti, casualmente poggiate sui fianchi dell’uomo che mi aveva appena posseduta…
Quello era un momento eterno… da lì in poi tutto sarebbe stato nuovamente un casino…
Joe rotolò piano accanto a me, tirando contemporaneamente giù la maglia e su la zip dei jeans… sentii lo stesso immediato bisogno di coprirmi, già convinta che non avrei pronunciato parola… se avessi detto qualcosa, qualsiasi cosa, l’imbarazzo, la vergogna e forse il rimorso, mi avrebbero assalita, facendomi desiderare di sparire all’istante…
Lui tornò in piedi, sistemando con nonchalance i propri vestiti…
Mi strinsi nelle braccia, cercando di farmi piccola piccola... i miei muscoli interni stavano ancora cercando di riadattarsi al vuoto, mentre provavo a riordinare le idee… il pensiero di aver fatto l’amore con lui…. o meglio, sesso con lui, mi faceva sentire violata, più in disputa con me stessa che con l’assassino… d’altra parte ero stata proprio io a cedere, a farmi prendere senza resistenze… il fatto che Joe avesse abbassato la guardia, che si fosse comportato più come un uomo che come un carceriere, quello poteva essere un vantaggio per me, giusto? O probabilmente voleva dire tutto il contrario… forse, ottenuto ciò che voleva, non avrebbe più avuto ragioni per tenermi in vita…
Quando Joe si voltò nella mia direzione, il suo sguardo indecifrabile mi provocò un brivido improvviso…
Alzai piano gli occhi…
“Mi ucciderai adesso?”
Domandai in un sussurro... lui parve colpito, addirittura quasi ferito per un secondo… sollevò le sopracciglia…
“Credi davvero che io sia un tale mostro?”
Rispose, restituendomi il punto di domanda… abbassai lo sguardo, prendendomi il tempo di pensarci davvero…
“Io…”
Iniziai incerta, quasi in imbarazzo a quel punto…
“…io non so cosa pensare…”
Masticai le mie stesse labbra…
“Se non vuoi uccidermi… allora perché non mi lasci andare a casa?”
Joe sospirò avvicinandosi di nuovo, sedendosi piano sul letto, accanto a me, ma stavolta ad una distanza ragionevole…
“Non posso lasciarti andare… sai troppe cose di me, della mia famiglia, di quello che faccio…”
“Non dirò niente…”
Lui sorrise…
Restò lì in silenzio, senza bisogno di ribadire il suo no… riempii i polmoni fino all’orlo, guardando in qualsiasi direzione tranne la sua…
“Io non capisco… mi hai salvata… più di una volta, ma…perché?”
Gli occhi di Joe me li sentivo addosso, a differenza di me l’assassino non sembrava affatto a disagio anzi, pareva che a stento riuscisse a trattenersi dal sorridere… non che avesse problemi di autostima, quello era chiaro...
“Io…”
Trattenni il labbro superiore tra i denti, valutando se fosse il caso di pronunciare ad alta voce quella scemenza…
“…io ti piaccio?”
Stavolta lui sorrise davvero…
“Sono uno Shimamura… a noi non piacciono le persone… noi non amiamo… e non teniamo a nessuno… i sentimenti sono solo debolezze...”
Mentre parlava il suo sorriso era scomparso, rimpiazzato da una maschera fredda…
Non hai tutti i torti pensai, ma decisi di tenere la bocca ben serrata… mi ero già resa abbastanza ridicola con l’ultima domanda… annuii in silenzio tornando a fissare il nulla…
Joe si tirò su, cercando qualcosa di interessante al di là delle inferriate…
“Sei bella…”
Esordì senza muoversi…
“…sei forte… hai l’aspetto di un angelo… piaceresti a qualsiasi uomo…”
Concluse, senza dare alla sua voce alcun tono particolare, nulla che potesse far trasparire i suoi pensieri…
Sollevai piano il viso, sorpresa ed indecisa… ero il tipo di ragazza che snobba i complimenti gratuiti, ma quelle poche parole erano riuscite a sfiorarmi, del tutto inattese ed inopportune… gli angoli della mia bocca si sollevarono in un sorriso solamente accennato..
“Grazie…”
Risposi, la voce appena percettibile…
Lui si mosse verso la porta della stanza, ma questa gli si aprì contro prima che arrivasse alla soglia…
Jonah sporse la testa col suo caratteristico sorriso stampato in volto… il pullover blue navy ne sottolineava il contrasto tra pelle chiara e capelli scuri, abbinandosi perfettamente alla finitura cromata della mazza da baseball che stringeva nella mano destra…
Si guardò intorno…
“Ammetto di essere deluso… speravo di interrompere una scena ben più interessante…”
Mi lanciò un’occhiata…
“…tipo lei nuda e tu…”
Guardò suo fratello per un secondo… arricciò il naso ed emise un chiaro segno di disgusto…
“No… tutto sommato meglio così…”
Joe roteò gli occhi al soffitto
“Cosa vuoi Jonah?”
Lui giocherellò con la mazza, passandola da una mano all’altra…
“Come avrai intuito, ho interrotto il mio allenamento settimanale per venirti a prendere…”
“Perché?”
“Indovina chi è arrivato in città?”
Joe divenne la personificazione della concentrazione…
“Smirnov...”
Rispose… più un’affermazione che una domanda… Jonah prese a fissarmi, mentre esponeva la questione…
“La notizia della tua sfortunata dipartita si è sparsa in fretta e pare che il vecchio muoia dalla voglia di offrire le sue personali condoglianze al nostro affranto papi…”
“Non verrebbe mai qui… non per questo…”
Il più giovane riportò gli occhi su Joe…
“Lo so…”
Mosse qualche passo nella stanza prima di riprendere…
“Date le sfortunate circostanze, potrebbe sembrare che la scomparsa di Nataljia e la tua morte rendano pari le nostre famiglie… personalmente però, credo che un trattato di pace sia l’ultimo punto al suo ordine del giorno, direttamente sotto «massacrarci tutti» e «far tornare di moda il colbacco»...”
Joe sospirò, palesemente esasperato…
“Quindi?”
“Se ne occuperà il caro papi… noi ce ne andiamo… veloci come la luce…”
Joe annuì…
Mi guardò… ero rimasta in silenzio per tutto il tempo…
“Bene…”
Aggiunse, pronto a seguire suo fratello in capo al mondo… Jonah si schiarì la voce indicandomi con un gesto della testa…
“Che ne facciamo della tua bambolina?”
Joe non mi guardò neanche…
“Lasciamola qui...”
Spalancai gli occhi… morire di stenti in un vecchio palazzo abbandonato?
Jonah aggrottò le sopracciglia…
“Davvero Joe? Ci metterà almeno una settimana a morire… e non è divertente se non possiamo stare qui a guardare!”
Balzai in piedi d’istinto, nel petto il rumore netto di un’esplosione… per qualche assurda ragione stavo davvero aspettando che lui dicesse qualcosa… Joe restò di spalle, senza pronunciare alcun suono…
Jonah si mosse invece verso di me... sollevò un sopracciglio…
“Di certo è un peccato…”
Esitò per un secondo, mostrando un’espressione vagamente simile alla pietà… sparì immediatamente…
“…ma togliamoci il pensiero!”
Concluse sollevando la mazza sopra la testa per caricare il colpo… spalancai la bocca per urlare, ma nulla ne venne fuori… istintivamente mi coprii il viso con le braccia cercando di indietreggiare… Dio…. avrebbe davvero fatto male…
“Aspetta...”
Eccola… finalmente la voce dell’assassino… Jonah bloccò il gesto a mezz’aria, voltando la testa con indifferenza…
“Cosa?”
Joe dovette girarsi e guardare… mi lasciai cadere sul letto, visibilmente sul punto di svenire o vomitare…
Jonah sfoderò un sorrisetto sardonico…
“Ma non mi dire! ...è davvero così brava a letto?”
Joe scosse la testa…
“Non puoi farlo qui…”
Spiegò…
“…l’ultima volta Carmen ha impiegato tre giorni per togliere il sangue dalla moquette… e credimi Jonah, l’ultima cosa che potrei sopportare adesso è il suo fastidiosissimo accento spagnolo nelle orecchie…”
Jonah corrugò la fronte…
“Sono d’accordo…”
Concluse tirando giù l’arma…
“Dove allora?”
“La portiamo all’appartamento… devo comunque fermarmi a prendere un paio di cose…”
Jonah ridacchiò afferrandomi per il polso…
Joe attraversò la porta per primo…

 

 

© 08/07/ 2021

 



 
 


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