Parte 1
Quello era di certo il posto più lussuoso in cui avessi messo piede, il ristorante più elegante di tutta la città… entrando nella piccola sala privata, illuminata dalle candele, non avevo potuto evitare di girarmi intorno con gli occhi spalancati, tovaglie di puro lino, tende suntuose, decorazioni al soffitto… mia madre si era accomodata con grazia, fingendo che quella fosse un’abitudine… mio padre invece, all’altro lato del tavolo, era visibilmente agitato, ancora troppo spaventato dal luccichio delle posate d’argento per riuscire a sfogliare il menu…
“Il Signor Gordon è stato davvero gentile a regalarci questa cena.”
Mio padre era scattato sulla sedia, asciugandosi la fronte col polsino della camicia…
“Non lo so tesoro, continuo a pensare che ci sia stato un errore… il mio capo non ha mai regalato premi agli impiegati.”
“Andiamo Remì, dopo vent’anni di servizio alla sua azienda credo che sia un premio del tutto meritato.”
Mio padre continuava a guardarsi intorno, ancora spaventato dall’idea di ordinare la cena… chiedere solo un’insalata sarebbe stato un peccato, ma d’altro canto scegliere ostriche e caviale poteva rivelarsi una mossa azzardata… forse quello era una specie di test, forse il Signor Gordon ci stava osservando da lontano aspettando che lui commettesse un errore… del resto il suo capo era conosciuto più per il brusco temperamento che per le sue gentilezze… non lo aveva mai incontrato di persona in tutti quegli anni, mai avuto alcun segno o messaggio dai piani alti, eppure, due mattine prima, uno dei consiglieri era entrato nel suo piccolo anonimo ufficio e sorridendo gli aveva comunicato della prenotazione alla Salle de Paris… un premio meritato per un impiegato così efficiente e leale…
“Cosa ordiniamo?” Mia madre era senza dubbio la più entusiasta di noi tre.
Papà aveva sfogliato il menu con attenzione, scorrendo i prezzi prima ancora di leggere a quale piatto corrispondessero… alla fine avevamo optato per due filetti ed un piatto di pasta… da bere acqua, ovviamente… il cameriere ci aveva squadrati senza darlo troppo a vedere, probabilmente avevamo scritto chiaro in faccia la nostra provenienza: quartiere residenziale…
“Vado a lavarmi le mani…”
Così mi ero alzata per raggiungere la toilette, il bagno più grande e splendente che avessi mai visto nei miei sedici anni di vita… tutto in quel posto era “più di quanto avessi mai”… guardandomi nell’enorme specchio notai quanto quella stanza fosse immacolata, nemmeno l’alone di una goccia d’acqua sulla porcellana bianca… meglio mangiare con le mani sporche che rovinare quella perfezione… scrollai le spalle e mi avviai verso la porta, abbastanza lentamente da cogliere delle voci sconosciute provenienti dalla sala… che mio padre avesse ragione? Forse li stavano avvertendo dell’errore… aprii la porta lo stretto indispensabile per ascoltare e riuscire a cogliere uno spicchio della scena…
“Salve signori…”
Due uomini in completo scuro se ne stavano dritti davanti al tavolo… potevo vederli solo di spalle, ma di certo erano sconosciuti…
“Salve… c’è qualche problema?”
Ecco, adesso mio padre stava davvero sudando… che vergogna essere cacciati da un posto così…
“A dire la verità credo proprio di sì…”
“Che succede?”
Uno dei due si era mosso, circondando il tavolo fino a raggiungere l’altro lato della stanza… adesso riuscivo a vederlo in viso, ma quei tratti così seri non mi dicevano niente…
“Aspettavamo il Signor Gordon stasera… avevamo una questione importante da risolvere.”
Papà aveva sollevato le spalle, istintivamente intimorito da quelle facce sconosciute ed impassibili…
“Mi dispiace signori, ma non credo che il capo verrà… ha regalato questa cena a me e alla mia famiglia quindi…”
“Quindi non verrà...” lo aveva interrotto l’altro arricciando le labbra come se dovesse pensarci su “..è davvero un peccato.”
ll tono gentile e liscio come il velluto, da dare i brividi…
“Mi dispiace.”
Il tizio di spalle aveva infilato le mani in tasca… “Oh mi creda, dispiace anche a me dover rovinare la vostra cena…”
“Prego?”
Da quel momento tutto era successo in una manciata di secondi, il tizio di spalle aveva tirato fuori la pistola, mentre l’altro aveva messo le mani attorno al collo di mia madre… papà si era alzato di scatto…
“La prego, qualsiasi cosa sia noi non c’entriamo niente.. davvero.. sono solo un semplice impiegato.. Remì Arnaul... un semplice impiegato.. la prego…”
“Davvero non dubito delle sue parole signor Arnaul, ma è tempo che Gordon impari la sua lezione… non si sfugge agli Shimamura...”
Uno sparo… un solo unico sparo… mo padre era caduto in un tonfo sordo, il rumore del suo corpo coperto dalle urla di mia madre.
Davanti a quella scena mi ero coperta la bocca con le mani, tanto stretta che non potesse uscirne neanche un suono, nemmeno un respiro… scostandomi dalla porta avevo cercato appoggio al muro, totalmente paralizzata dal terrore e dal disgusto…
“Remì! No Remì!”…la voce stridula di mia madre come unico sottofondo.
Un secondo sparo… secco… poi il silenzio.
Di nuovo avevo impedito a me stessa di urlare, mossa esclusivamente dall’istinto di sopravvivenza… così ero finita dentro la toilette, la porta chiusa a chiave senza via di fuga, arrampicata sul water immacolato, le ginocchia strette al petto ed il viso inondato dalle lacrime… silenziose lacrime di paura… ora sarebbe stato il mio turno.
La porta si era aperta lentamente, i passi dello sconosciuto pesanti sul parquet… il tizio si era guardato intorno, quel bagno non era stato usato di recente, nemmeno una goccia d’acqua nel lavandino… accovacciandosi lo stretto indispensabile aveva esaminato la fessura sotto la porta della toilette… nulla anche lì…
“Il bagno è pulito signore!”
“Bene… andiamocene allora…”
Dopo l’ultimo stridio della porta era passata un’eternità… o forse solamente cinque minuti… il tempo si era fermato… il mondo intero si era fermato.
Sedici anni, nessun fratello o sorella…. parenti più prossimi all’altro capo degli Stati Uniti… cheerleader al terzo anno di liceo, presidentessa nonché stella nascente della classe di recitazione… Capelli biondi e grandi ambizioni… l’orgoglio di mamma e papà…
Sedici anni… sola al mondo…
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SEI ANNI DOPO
Sorrisi a me stessa trovando finalmente la stanza 127b… era stato un lungo viaggio quello da New York, ma ora la stanchezza sembrava sparita… non vedevo Tyler da quasi un anno, da quando il mio ragazzo aveva deciso di proseguire gli studi di ingegneria a Jhoannesburg… l’ambizione del resto era una delle tante cose che avevamo in comune… dopo interi mesi di comunicazioni virtuali quella di partire era stata un’esigenza naturale, l’idea di fargli una sorpresa una piacevole aggiunta… già dall’aeroporto pregustavo la faccia di Tyler non appena avessi aperto la porta, impaziente per quello che sarebbe avvenuto subito dopo… bussai decisa passando un’ultima volta l’altra mano tra i capelli.
Al di là della soglia il viso deluso ed assonnato di una ragazza dalla chioma scura... le gambe ed i piedi nudi che spuntavano da una t-shirt da uomo…
“Non sei la mia pizza…”
Sollevai un sopracciglio… di certo avevo sbagliato stanza…
“Scu… scusami… devo aver sbagliato piano, stavo cercando…”
Il nome mi morì in bocca. “…Tyler...”
Eccolo lì, addosso solamente i pantaloni scoloriti di una tuta e due grosse occhiaie da chiaro dopo sbronza… se non altro ero riuscita ad ottenere la faccia stupita che tanto avevo sognato…
“Françoise… non è come sembra.”
Avevo inclinato il viso passando gli occhi dal mio fidanzato alla sconosciuta… le labbra serrate ed il respiro prolungato per evitare di scoppiare in lacrime o peggio, uccidere uno dei due…
“Lascia stare…” …riuscii infine a dire, due sole parole, ruvide in gola come carta vetrata… strinsi la presa intorno al trolley e girai i tacchi senza bisogno di altre spiegazioni… dovevo uscire dal campus universitario il più presto possibile, solo una volta fuori di lì mi sarei concessa di sentirmi una perfetta idiota.
I passi di Tyler mi seguivano incerti per i corridoi… cavolo, doveva davvero essere stata una sbronza epocale se nonostante anni di atletica non riusciva a starmi dietro… meglio così…
“Lasciami in pace!”
“Aspetta! Lascia che ti spieghi!”
Avevo inchiodato i passi davanti all’ultimo portone… “Cosa vuoi spiegare Tyler? Vuoi forse dirmi che non fai sesso con quella lì?”
I suoi occhi fissi al pavimento avevano risposto… “E’ successo, è semplicemente successo… ma questo non vuol dire niente, non ho mai pensato di lasciarti… sarebbe rimasto tutto qui…”
“Ma dici sul serio!?” improvvisamente era salita la voglia di prenderlo a schiaffi…
“Ti prego Françoise, lei non significa nulla per me.. mi sentivo solo e allora…”
Il suono secco del palmo della mia mano sulla guancia di Tyler aveva rapidamente messo fine a quella serie di fandonie… solo? Si sentiva solo?? E io allora? Io che come una stupida mi ero chiusa a vita monastica? Che avevo speso un intero stipendio per quel viaggio? Che mi fidavo ciecamente di lui?
Senza degnarlo di un ulteriore sguardo uscii dall’edificio e trascinai la valigia fino alla strada… giustizia divina volle che dopo una simile umiliazione ci fosse almeno un taxi libero ad aspettare… mi lasciai cadere sul sedile…
“All’aeroporto...”
Immediatamente rovistai nella borsa alla ricerca del cellulare… mai prima di quel momento ero stata tanto felice che una delle mie migliori amiche lavorasse per l’American Airlines…
“Ehi! Tutto bene? Sei riuscita a trovare Tyler?”
Ignorai il suono odioso di quel nome e la voce trillante di Catherine…
“Sto tornando all’aeroporto… devi trovarmi immediatamente un volo di ritorno per New York...”
“Come dici? Ma che è successo?”
“Ti dico solamente che sono stata io a ricevere la vera sorpresa… trovami quel volo ti prego...”
“Ma stai bene?”
“Sì Cathy, sto bene… ho solo bisogno di tornare a casa…”
“Aspetta… non credo che ci siano voli per New York questa sera…”
“Non credi?”
“No… dovrai aspettare domani…ti prenoto un posto sul volo delle dieci...”
“E’ davvero possibile che non parta nulla fino a domani? Ti prego Cathy, non importa quanti lunghi scali dovrò sopportare, non voglio restare in questo maledetto paese un minuto di più!” … uno sguardo veloce al tassista sperando di non aver offeso il suo spirito patriottico…
“C’è un solo volo stasera, ma non puoi prenderlo.”
“Che vuol dire che non posso prenderlo?”
“Credimi, è meglio aspettare fino a domani.”
“Cathy…” …il tono a metà tra l’ammonimento e la disperazione.
“Parte alle sei, ma non è un normale volo di linea… ci saranno delle persone a bordo, persone che sarebbe meglio evitare…”
“La smetti con questi misteri per favore?” …un’occhiata all’orologio… cinque meno dieci… perfetto… “…prenotami un posto su questo famigerato volo e ti prego, fammi saltare la fila al check in…”
Il sospiro di Catherine all’altro capo era stato lungo ed incerto… “…sei davvero sicura di non poter aspettare?”
“Ho appena trovato il mio ragazzo a letto con un’altra… no, non posso aspettare…”
Di nuovo un sospiro… “…allora è meglio che forse ti spieghi prima... questo volo sarà usato per un trasporto speciale...”
“Trasporto speciale?”
“Esatto… in casi eccezionali le forze dell’ordine utilizzano i normali voli di linea per trasferire all’estero i detenuti estradati… e questo è uno di quei casi…”
“Vuol dire che il mio aereo sarà pieno di poliziotti? Beh, nella remota ipotesi di un dirottamento aereo suppongo che la cosa potrebbe tornarmi utile…”
“Non è così semplice Fran… non dovrei nemmeno dirti certe cose…” …l’ennesimo lungo sospiro “…si tratta di una procedura complessa, utilizzata dalle autorità internazionali solo per il trasferimento dei peggiori criminali… non so se mi spiego, assassini, attentatori, capi mafiosi…”
Sollevai le sopracciglia cercando di trovare un senso logico a quel discorso da film d’azione… Catherine tuttavia sembrava davvero preoccupata…
“Ho capito Cathy… vedrò di stare lontana dai poliziotti e dal tizio in tuta arancione…”
“È questo che mi preoccupa Fran… non vedrai alcun poliziotto tantomeno divise carcerarie… saranno tutti vestiti in abiti borghesi e mischiati agli altri passeggeri, compreso il criminale in questione…”
“Mh… avrà almeno le manette spero.”
“No...”
A quella risposta secca mi tirai su dal sedile, dal finestrino riuscivo già a scorgere le piste dell’aeroporto… tornarmene a casa era ciò che più desideravo, ma il tono preoccupato di Catherine stava cominciando a farmi agitare…
“…lo scopo di questi trasporti è passare totalmente inosservati, senza che la stampa o gli affiliati si accorgano di nulla… nessuno penserebbe mai di avere un assassino seriale seduto al proprio fianco su un volo in economy class, giusto?”
“Quindi non c’è modo che io possa riconoscerlo e stargli lontano?”
Catherine aveva impercettibilmente abbassato la voce “… sei davvero certa di non poter aspettare fino a domani?” …l’immagine della ragazza mora con addosso la maglietta sudata di Tyler mi si piantò davanti agli occhi… “…ti prego Cathy, fammi tornare a casa… ti prometto che non mi succederà niente…”
Il tono della mia amica ora ancora più basso… “…ok, ascoltami bene però…” …avevo stretto il cellulare all’orecchio per riuscire a sentirla nell’improvviso caos della stazione aerea… “…non dovrei dirtelo, ma da quello che so le autorità hanno un’idea precisa dell’outfit borghese… jeans, maglietta chiara e scarpe da tennis… l’unico particolare che rende il detenuto riconoscibile è un braccialetto d’acciaio al polso sinistro…”
Sollevai gli occhi rendendomi conto solo in quel momento che il taxi si era fermato, mentre il tassametro continuava a girare…
“Braccialetto ok, starò lontana dai braccialetti… sono già all’aeroporto, ci sentiamo tra qualche ora…” …allungando tre banconote al tassista raccolsi i miei pochi averi e chiusi lo sportello, la comunicazione ancora aperta…
“Sta’ attenta Fran...”
“Grazie Cathy... sei un’amica, davvero…”
Mi tuffai nella folla vociante del Tambo Airport, accompagnata dal solo pensiero fisso di un braccialetto d’acciaio…
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CENTRO DI POLIZIA DI JOHANNESBURG
Il capitano buttò giù il telefono con un gesto di nervosa esasperazione… si passò le mani sulla faccia dopo un’intera notte insonne… la porta dell’ufficio si aprì di colpo…
“Salve capitano...”
“A te Tony…”
L’altro agente sospirò con un sorriso… “…non riesco a credere che l’abbiamo preso davvero… non posso credere che il famoso Mamba sia sul serio ammanettato nella stanza accanto...”
Il capitano scosse la testa… “…credi a me, questo è un onore di cui avrei volentieri fatto a meno…”
Tony aggrottò la fronte… “…ci sono problemi capitano?”
L’altro mandò giù un sorso di caffè nero ignorando per un attimo la mole di carte e documenti sparsi sulla scrivania… “…nessuno lo vuole… tantomeno io…” …Tony si avvicinò afferrando una cartella a caso… “…è nato a Londra giusto? Contattiamo l’ambasciata inglese…”
“Ho appena concluso un’interessante conversazione con Scotland Yard, non hanno la minima intenzione di immischiarsi in questa faccenda...”
Tony si grattò la fronte… “…e se lo processassimo qui?”
Il capitano lo guardò come se gli avesse appena chiesto di ballare nudo di fronte al Presidente… “…sai bene di chi stiamo parlando… non ho nessuna intenzione di attirare su questo paese l’interesse degli Shimamura…”
“Eppure i giapponesi non si sono fatti troppi problemi quando hanno chiuso in cella suo fratello…”
Il capitano scosse la testa… “…quando si ha a che fare con loro è solo questione di tempo… dobbiamo liberarci di lui il più presto possibile...”
“E’ ricercato in più di dieci paesi, qualcuno dovrà pur prenderselo...”
In quel momento il telefono squillò di nuovo, all’altro capo del filo il Capo Bureau dell’Ufficio per il controllo del crimine organizzato di New York…
“Salve Capitano Wilson… a quanto mi dicono ha qualcosa che potrebbe interessarmi...”
Il capitano si schiarì la voce… “…vi interessa?”
“Certo che ci interessa… quella famiglia muove i fili della criminalità americana da troppo tempo e mai come ora abbiamo bisogno di un colpo di scena che riporti l’attenzione pubblica sull’efficienza delle nostre autorità...”
“Già… dimenticavo che siete in campagna elettorale...”
“Quando crede di potercelo consegnare?”
“Anche subito...”
“Bene, in tal caso mettetelo sul volo EHF7873 delle sei… solita procedura…”
“Solita procedura…”
La comunicazione si chiuse senza ulteriori saluti, il capitano si lasciò sfuggire un sospiro liberatorio…
“Se lo prendono gli americani… preparalo per il volo...”
Tony annuì uscendo dall’ufficio ed entrando poco più tardi nella stanza vicina…
L’aria consumata che stagnava tra quelle quattro mura gli riempì le narici, sapeva di sangue secco e sudore… lanciò un sacchetto di plastica verso l’angolo e squadrò con ritrovata presunzione l’uomo ammanettato alla sedia… Joe Shimamura... Il Mamba, l’imprendibile Mamba, killer di precisione e membro di spicco della più potente famiglia filo-mafiosa ancora in circolazione…
Il Mamba sollevò la testa, sfinito dai mille colpi ricevuti e dalla dose massiccia di calmanti iniettati direttamente in vena… il suo viso tuttavia non lo dava a vedere, un’espressione fiera e sicura continuava a campeggiare tra i segni delle percosse… i suoi occhi poi, i suoi occhi scuri fissavano Tony come se fosse una preda, un povero piccolo agnellino smarrito... da far accapponare le pelle…
“Dobbiamo proprio darti una ripulita…” …esordì Tony raggiungendolo… “…te ne vai in America…”
Il Mamba si raddrizzò sulla sedia, sentir nominare gli Stati Uniti era dolce musica per le sue orecchie, decisamente meglio delle carceri afgane o cinesi… si schiarì la gola cercando di ignorare che fosse asciutta come il deserto…
“La telefonata...” …disse con voce roca, Tony aggrottò le sopracciglia… “…prego?” …lui sospirò… “…ho diritto ad una telefonata...” …l’agente si morse il labbro controllando i nervi, per quanto odiasse quel criminale, non poteva comunque negargli un suo pieno diritto legale…
“Bene…” …replicò stizzito avvicinandosi ulteriormente a lui… sapeva di correre un rischio incalcolabile, ma non aveva nessun altro modo di compiere il suo dovere pur rispettando la carta dei diritti… doveva liberargli almeno una mano, consapevole del fatto che, nelle giuste circostanze, la forza di cinque dita sarebbe bastata al killer per spezzargli l’osso del collo in un momento… fortunatamente aveva in circolo una dose di benzodiazepine tale da stendere un cavallo…
Gli porse l’apparecchio telefonico e si voltò… maledetto diritto alla privacy…
Il Mamba attese di essere solo per comporre velocemente il numero impresso nella sua mente… da usare solo nelle emergenze… da usare solo in caso di arresto… da usare una sola ed unica volta…
Dopo due squilli sentì il respiro di suo fratello maggiore rispondere senza bisogno di parole, trenta secondi appena per parlare prima che la telefonata fosse rintracciabile…
“Volo con l’aquila… vedo la libertà…”
La linea cadde immediatamente e il Mamba lasciò cadere a terra anche il telefono, approfittando di quel momento per distendere i muscoli del braccio… incredibile trovarsi in quella situazione, il più brutale degli Shimamura catturato durante la più stupida delle operazioni, un semplice ritiro di crediti nella Repubblica Sudafricana… tutta colpa di Jonah... l’unica cosa che gli aveva raccomandato quella sera era stata la puntualità… nient’altro, solo la puntualità… eppure il fratellino minore non si era smentito nella sua congenita incapacità di prendere le cose sul serio… dieci minuti di ritardo, ben dieci minuti di ritardo! L’avrebbe pagata, questo è certo…
Fortunatamente comunque, in aggiunta ad un fratello immaturo e sconsiderato, il destino gliene aveva fornito un altro, Jet, intelligenza e senso dell’onore sopraffini, un pianificatore perfetto… il Mamba sorrise a se stesso, sapeva già bene come sarebbe venuto fuori da quel fastidioso contrattempo… rischioso, ma necessario...
Tony spalancò la porta della stanza accompagnato da altre tre persone in divisa, raccolse la busta di poco prima e ne tirò fuori degli abiti puliti… un paio di jeans, una t-shirt qualunque, un paio di anonime sneakers…
“Vediamo di fare una cosa veloce… prima ci liberiamo di questo bastardo meglio è…”
Parte 2
Ero riuscita a salire sull’aereo per prima, saltando la fila grazie al nome di Catherine... rincuorata dalla solitudine mi ero trascinata fino ai primi sedili, quelli adiacenti alla cabina del capitano… da quella posizione non avrei visto nessun altro dei passeggeri e quindi avrei evitato di chiedermi in continuazione quale degli sconosciuti fosse l’assassino... trovata la posizione più comoda possibile tirai fuori dalla borsa un libro, determinata a tuffarmi in una realtà parallela per le prossime diciotto ore… diciotto ore a migliaia di metri di altezza con un feroce criminale alle spalle… maledissi Tyler ancora una volta…
Diverse voci riempirono l’abitacolo a poco a poco, uomini di mezz’età, una simpatica signora sulla sessantina con un orribile cappello in testa, una giovane coppia… nonostante l’idea iniziale di estraniarmi totalmente non potei fare a meno di voltarmi e sbirciare più e più volte il portellone dell’aereo… lo stomaco continuava a contorcersi, incredibile quanti viaggiatori avessero optato per jeans e maglietta… tornai a fissare la parete grigia davanti a me, presi a tamburellare con le dita sui braccioli…
“Tutto bene?”
Di scatto mi voltai verso il ragazzo che aveva appena deposto il bagaglio a mano dall’altro lato del corridoio… non potei fare a meno di esaminarlo mentre toglieva anche la giacca… jeans… maglietta grigia… un paio di scarpe da ginnastica consumate ai piedi… scattai sul sedile… che fosse proprio lui?
“Sì…” …risposi incerta “…tutto bene…”
L’altro sorrise… “…anch’io ero terrorizzato all’idea di restare diciotto ore su un aereo la prima volta, ma se riesci a dormire un po’ passeranno molto più in fretta...”
Dormire? E come avrei mai potuto dormire sapendo di avere accanto uno spietato criminale?
Il ragazzo tirò su le maniche della maglia prima di accomodarsi ed allacciare la cintura intorno alla vita… i mie occhi si catapultarono sui suoi polsi… nessun braccialetto… riuscii finalmente a respirare… forse avrei dovuto accettare il consiglio di Catherine...
Cinque ore, centosettantatre pagine ed un pessimo pasto dopo, iniziai a sentire le gambe che chiedevano pietà… provando ad allungarle capii ben presto di non avere abbastanza spazio… senza contare che anche la vescica iniziava a brontolare… inspirai a pieni polmoni, dovevo alzarmi e raggiungere l’altro capo dell’aereo fino alla toilette… dovevo andarci per forza, nonostante l’inevitabile consapevolezza che in quei pochi passi sarei di certo passata accanto al criminale… Ok... posso farlo… devo solo alzarmi e tirare dritto fino al bagno senza alzare gli occhi… ce la posso fare...
Incoraggiata dalla mia stessa voce interna slacciai la cintura e mi misi in piedi, ignorando i dolorosi crampi alle ginocchia… passai le mani tra i capelli, detti una rapida rinfrescata all’abito ormai irrimediabilmente sgualcito, ed iniziai la mia impresa, un passo alla volta, gli occhi tenuti incollati alla moquette…
A metà strada qualcosa bloccò la mia marcia, lo scontro con un altro corpo… costretta a sollevare la testa mi trovai di fronte il sorriso cordiale di un’hostess in divisa blu…
“Tutto bene signora?”
“Sì, devo solo…” …senza specificare altro indicai la toilette con un cenno del viso… la ragazza in tailleur sorrise di nuovo… “…certo, prego…” …rispose educatamente spostandosi per lasciarmi passare… un altro passo appena e stavolta fu un vuoto d’aria a bloccarmi, lo sbalzo dell’aereo mi fece perdere l’equilibrio e finire maldestramente contro un altro dei passeggeri, seduto e beatamente perso nello schermo del proprio pc…
“Oddio, mi scusi!”
Mi sentii immediatamente addosso gli occhi di almeno metà delle persone presenti, l’imbarazzo vistosamente dipinto nel rosso delle mie guance… solita imbranata… subito sulla difensiva, decisi di riprendere la marcia per il bagno a testa alta, dimenticando in un secondo l’accaduto…
Fu solo allora che i miei occhi incrociarono uno degli sguardi fissi su di me… un ragazzo, venticinque anni o poco più, rigido contro il sedile, un fastidioso sorrisino divertito in faccia… deglutii respingendo una nuova ondata di vergogna, avrei voluto riportare il viso a terra, ma non mi riuscì facilmente come avrei creduto. Quello era senza dubbio l’uomo più bello che avessi visto in molto, molto tempo… capelli biondi, non troppo corti, mossi e spettinati, che li ricadevano sulla fronte coprendogli parzialmente lo sguardo… occhi scuri… lineamenti angelici, ma incredibilmente virili… zigomi perfetti e delle labbra… Obbligai me stessa a guardare altrove per un momento e riprendere fiato… labbra quasi disegnate, così intense da… scossi la testa senza rendermene conto, determinata a tornare alla realtà… l’attimo in cui riuscii finalmente a superare il suo sedile sembrò infinito, dopodiché la corsa verso il bagno…
Mi guardai immediatamente nel minuscolo specchio… solita sfortuna… solita maledetta sfortuna… il ragazzo più bello che avessi mai visto è lì, sul mio stesso aereo, intrappolato con me per le prossime tredici ore, ma i miei capelli sono un casino e la mia faccia porta i segni di due voli extracontinentali in tre giorni… senza contare che avrei dovuto preoccuparmi di ben altre cose, vedi il fallimento della mia storia con Tyler o la presenza di uno spietato boss mafioso tra i passeggeri…
Scossi la testa e lasciai scorrere l’acqua sulle mani insaponate, sperando che il liquido freddo lavasse via quei nitidi ed inopportuni pensieri sullo sconosciuto…
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Tenevo la schiena dritta contro il sedile, dovevo evitare di assumere posizioni innaturali e troppo stancanti per mantenermi pronto a scattare… le mani poggiate sui braccioli e l’aria più indifferente che mai… i poliziotti erano sparsi per tutto l’aereo, potevo facilmente individuarli anche a distanza… il resto della marmaglia composto da persone del tutto insignificanti…
Strinsi i denti e tesi i muscoli del collo tornando a contare il tempo… ormai dovevamo già essere sopra l’oceano… ormai doveva mancare poco… trattenni a stento l’istinto di stirarmi, le guardie erano ancora convinte che fossi sedato e dovevo impegnarmi per mantenere tale convinzione… nessuno poteva sapere che durante l’addestramento mi avevano iniettato pressoché qualsiasi tipo di sedativo, droga o veleno, sempre in piccole quantità affinché il mio organismo ne diventasse immune… qualsiasi movimento troppo ampio o veloce avrebbe rischiato di compromettere la copertura…
Inspirai… avrebbero almeno potuto darmi un libro o un lettore mp3… quel viaggio stava davvero diventando noioso… sino a che il piano di Jet non fosse scattato, ogni minuto sarebbe stato lungo il triplo…
L’ingorgo creatosi al centro del corridoio richiamò la mia attenzione, non che qualcuna di quelle persone avesse la minima importanza o attrattiva per me, ma tanto valeva concentrarsi su altro…
L’hostess in divisa blu mi dava le spalle, anche da dietro era del tutto anonima, una bellezza nella media non degna della mia attenzione… fu solo quando l’hostess si tolse di mezzo che qualcosa riuscì finalmente a catturare il mio interesse… qualcuno, ad essere precisi… una ragazza, una giovane ragazza impacciata alle prese con un vuoto d’aria… vedendola crollare addosso al tizio con gli occhiali non riuscii a non sorridere, l’accenno di un sorriso genuinamente divertito…
La sconosciuta si era tirata su e le sue guance si erano accese di rosso, un rosso talmente innocente da attirare la mia completa concentrazione… accantonato il piano per un attimo mi concessi di osservare la totalità della sua figura, senza che alcun particolare sfuggisse ai miei occhi esperti… lunghi capelli dorati, lasciati liberi sulle spalle... pelle bianca e perfetta, così chiara che i suoi occhi azzurri sembravano saltare fuori dal viso, grandi ed incerti… scorrendo più giù ne accarezzai la figura minuta sotto il vestito blu scuro, da come le cadeva sui fianchi ero certo che il sottile strato di tessuto nascondesse misteri altrettanto interessanti…
Se solo non mi fossi trovato in quella situazione, se solo quello fosse stato un semplice viaggio d’affari. Deglutii istintivamente mentre lei mi sfilava accanto scomparendo dalla mia vista… in altre circostanze mi sarei già alzato e l’avrei seguita nella toilette… in altre circostanze l’avrei spinta dentro senza nemmeno dirgli il mio nome… in altre circostanze le avrei già strappato di dosso quell’insignificante abito blu…
Mi irrigidii contro il sedile scoprendo con piacere che, nonostante la situazione, il mio corpo rispondeva ancora benissimo agli stimoli… peccato non poter sfogare quella voglia improvvisa… l’immagine della ragazza mi riempì la mente… spinta contro il minuscolo lavandino, le gambe aperte, avvinghiate intorno ai miei fianchi, le guance tinte dello stesso rosso che le avevo visto addosso poco prima… non più di vergogna, ma di puro piacere… il mio nome pronunciato più e più volte come una preghiera…
Poggiai la testa all’indietro ridendo dei miei stessi pensieri… se ne avessi davvero avuto modo l’avrei presa come nessun altro prima, sicuro che non se ne sarebbe dimenticata… nessuna donna dimentica le mani del Mamba… io, d’altro canto, l’avrei scordata subito dopo, lasciando che il ricordo del suo sapore e dei suoi gemiti si mischiasse a quello di tutte le altre donne passate per il mio letto…
Lo scatto della porta della toilette mi riportò alla realtà, in attesa, con la coda dell’occhio, che la sconosciuta ricomparisse… i suoi passi lenti e leggeri, quasi volesse ritardare l’incontro il più possibile… sollevai l’angolo della bocca in una smorfia compiaciuta, certo del mio effetto sulle donne, la mia arma preferita dopo i coltelli affilati…
L’intenso profumo dolciastro di fiori e vaniglia raggiunse le mie cellule olfattive, riaccendendo in un istante la fantasia erotica… doveva essere quello l’odore della sua pelle… come avevo potuto non notarlo prima? Ed eccola comparire al mio fianco, impossibile resistere alla tentazione di seguirla con gli occhi e sorriderle. .. la sconosciuta esitò appena in prossimità del mio sedile, quasi spaventata all’idea di incontrarmi ancora... Voltai la testa verso di lei, deciso a memorizzare ogni dettaglio prima di lasciarla sfilare via… lei rispose al mio sguardo, un velo d’imbarazzo in viso mentre si sforzava di restare impassibile… i suoi grandi occhi chiari brillarono contro i miei, iridescenti come opali…mai visti occhi così prima… di colpo l’idea che dovesse morire mi chiuse lo stomaco… che gran peccato…
Quasi mi avesse letto nel pensiero la ragazza abbassò lo sguardo, seguendo la linea delle mie braccia sotto la t-shirt, schiudendo appena le labbra rosse, accarezzandomi il braccio sinistro con gli occhi, fino alla mano, fino alla punta delle dita… l’incontro di pochi passi diventato una scena a rallentatore…
Di colpo la magia si interruppe, la vidi spalancare gli occhi ed irrigidirsi, l’imbarazzo divenuto paura in un secondo… spiazzato da un simile repentino cambiamento d’umore, individuai immediatamente il punto preciso che lei stava fissando, la causa di quell’improvviso, incomprensibile spavento… le mie pupille finirono a guardare il mio stesso polso, stretto dentro quell’orrendo braccialetto di metallo… il braccialetto…
Sollevando la testa immediatamente mi accorsi che la ragazza era già in fondo all’aereo, come se dal mio sedile in poi avesse corso verso la sicurezza… socchiusi le palpebre serrando le labbra… lei sapeva… la sconosciuta sapeva del braccialetto e di cosa volesse dire… la ragazza dell’aereo conosceva la mia identità… fissai il sedile davanti quasi potessi attraversarlo ed arrivare fino a lei… non era una poliziotta, di questo ero sicuro, tantomeno un’agente di sicurezza o una diplomatica americana immischiata nel mio caso... era una ragazza qualunque in volo da Johannesburg… come poteva conoscere la regola del braccialetto? E come mai io invece non avevo idea di chi fosse? Morsi piano il labbro inferiore… Jet avrebbe fatto meglio a muoversi col suo piano di fuga, altre tre ore con quel dubbio e avrei finito per avere un terribile mal di testa…
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Ero crollata sul sedile allacciando la cintura immediatamente dopo, quella breve corsa a passi veloci sembrava avermi sfinita… inspirai piano, ripassando a mente ciò che avevo appena vissuto… lo sconosciuto sexy, i suoi occhi addosso, la sensazione di calore improvvisa, l’impressione di essere nuda davanti a lui… il suo mezzo sorriso da cattivo ragazzo, i muscoli scolpiti sotto la maglietta bianca, l’avambraccio teso, un braccialetto anonimo al polso, le mani lasciate riposare sui jeans… cosa avrebbero mai potuto farmi quelle mani? Aspetta… il cervello si era riacceso in un flash… jeans.. braccialetto… maglietta bianca… ragazzo cattivo… braccialetto… braccialetto d’acciaio… assassino… lui… lui è l’assassino… il mio cuore aveva preso a battere come una mitragliatrice ed i piedi mi avevano portata a posto in un secondo… l’atmosfera dell’aereo era mutata immediatamente dopo, l’aria divenuta difficile da respirare… Strinsi gli occhi chiusi cercando di cancellare completamente la fantasia di essere toccata da quelle mani, rimpiazzandola con l’idea che fosse un mostro… fantastico… ero riuscita ad attirare l’attenzione del mostro… probabilmente, mentre io sognavo di rotolare tra lenzuola di seta, lui stava immaginando di squartarmi e dipingere un quadro con le mie viscere… mi venne da vomitare… tirai fuori l’Ipod e decisi di farmi aiutare dalla musica, per quanto possibile…
Ad occhi chiusi lasciai che la voce di Bono Vox compisse il miracolo, permettendo al tempo di scorrere più in fretta, interrompendo il conto mentale di quanti fossero i modi per morire torturata da un assassino psicopatico… il mio petto andava su e giù come stessi dormendo, l’idea che probabilmente si era fatta l’hostess al mio fianco… spalancai le palpebre sentendomi di colpo osservata, la ragazza dell’American Airlines si ritirò quasi spaventata…
“Mi… mi scusi signorina… gradisce qualcosa?”
Roteai in bocca la lingua asciutta “…sì… un caffè macchiato per favore…”
L’altra sorrise ed afferrò immediatamente il bicchiere di cartone, riempiendolo quasi fino all’orlo con la bevanda fumante… me lo porse senza togliersi dal viso l’irritante espressione di cortesia… feci per afferrarlo, ma la mia mano non strinse abbastanza forte la presa, il bicchiere cadde dritto sulle mie ginocchia, il caffè bollente rovesciato in un’onda su tutto il suo vestito… la prima sensazione fu la pelle che andava a fuoco, l’estrema necessità di raffreddarmi il prima possibile… davanti allo sguardo mortificato dell’hostess balzai in piedi cercando di staccare la stoffa bollente dalla pelle sottostante… il fastidio sparì abbastanza velocemente da lasciare il passo alla consapevolezza di avere addosso un vestito completamente impiastricciato di panna e caffè… sbuffai ruotando gli occhi al cielo… possibile che non ne andasse una dritta? Scossi la testa… ora avrei dovuto di nuovo attraversare l’aereo per raggiungere il bagno e darmi una ripulita, l’odore della miscela già diventato fastidioso… con un sospiro vistoso ignorai le scuse superflue dell’hostess e mi allungai per recuperare il bagaglio a mano, salviettine usa e getta e fazzoletti di carta… guardai la porticina lontana della toilette e decisi che stavolta davvero, davvero non avrei distolto lo sguardo dalla meta per nessuna ragione al mondo…
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Eccola di nuovo… la vidi balzare in piedi, la piccola doveva davvero essere imbranata… la sua innocente incapacità, un interruttore per le fantasie più perverse… sorrisi appena guardandola avvicinarsi con sguardo determinato, il suo abito un disastro marrone, la stoffa sintetica appiccicata alla curva del suo seno… la cosa si stava facendo sorprendente, quella ragazza attirava le mie cellule come un magnete, come forse nessuna donna incontrata prima… di nuovo le mie interiora sembrarono intrecciarsi, che grande spreco lasciarla andare giù con l’aereo…
Se solo lo show potesse cominciare in fretta… lanciai un’occhiata al finestrino, si era fatta notte e ormai dovevamo aver passato il confine delle acque internazionali… strinsi la presa intorno ai braccioli cercando di guadagnare di nuovo tutta la concentrazione necessaria… inspirai a pieni polmoni… due volte… tre volte… eccolo… il segnale che tutto stava cominciando…
L’odore dolciastro dell’etere etilico diluito con qualche altro gas raggiunse le mie narici esperte prima di tutte le altre, presi a respirare più lentamente, intervallando venti secondi prima di inalare di nuovo… controllai in maniera impercettibile che tutti i miei muscoli rispondessero ai comandi e rimasi ad aspettare… Jet non aveva smentito la sua naturale inclinazione verso veleni e tossine…
Non appena il tizio alla mia sinistra prese a sonnecchiare, del tutto ignaro dell’azione della miscela sui suoi polmoni, staccai la schiena dal sedile… gli occhi attenti dell’agente accanto a me mi piombarono addosso…
“Devo pisciare…”
Specificai senza troppe cerimonie, l’altro rispose con un cenno della testa… d’altra parte tutta la polizia a bordo si era fatta forte dietro la mia presunta impossibilità di fuga a dodicimila metri di altezza… poveri illusi… mi tirai su lentamente e stirai la schiena smettendo di respirare, poi mi voltai verso la toilette… no… cazzo… la sconosciuta nel bagno… imprecai a denti stretti, non potevo perdere tempo, anche se il mio corpo era allenato, non avrei potuto resistere al gas narcotico tanto più a lungo degli altri… raggiunsi la porta in pochi passi e bussai cortesemente…
“Occupato!”
Imprecai di nuovo… bussai una seconda volta…
“Un attimo!”
Bussai una terza volta, stavolta più deciso…
“Ma che diavolo…”
Non appena girò la serratura piombai nella stanzetta chiudendomi a chiave la porta dietro le spalle… guardandola in viso, sconvolta e pronta a liberare un urlo in grado di svegliare anche i morti, le premetti una mano sulla bocca… lei prese a scalciare nello spazio ristretto, cercando di colpirmi in un qualunque punto doloroso… sospirai per nulla messo in difficoltà dai suoi movimenti scoordinati… stretta alle spalle con l’altro braccio la spinsi contro il lavandino, sbattendole la testa contro il piccolo specchio... i suoi grandi occhi azzurri sgranati come se sapesse di stare per morire… smise di dimenarsi come un’anguilla e potei allentare la presa… il suo seno andava su e giù ad un ritmo incredibile, consumando più aria del consentito… dovevo riuscire a calmarla…
“Tranquilla… non ti farò del male…”
Rimase immobile, nessuna emozione diversa dalla paura le attraversò il viso…
“Ti prego, non urlare…”
Aggiunsi… lei restò un pezzo di ghiaccio sotto le mie mani… la presa attorno alla bocca lentamente meno stretta, le sue labbra di nuovo in grado di muoversi e prendere aria… i miei occhi la tenevano inchiodata al muro, lo sguardo vitreo, ma anche impercettibilmente nervoso… le mie dita si allontanarono dal suo viso…
“Aiut…”
La sua testa si schiantò contro la parete, stavolta in maniera ben poco delicata, la mia mano pressata contro la bocca e l’avambraccio opposto premuto sulla trachea… scelta sbagliata quella di gridare...
“Ti ho detto di non urlare...” …ogni parvenza di cortesia sparita dal tono gelido della mia voce… gli occhi di lei spalancati ed arrossati dall’ipossia… la paura di morire… una visione fin troppo conosciuta per me, tanto scontata che riuscivo benissimo ad ignorarla.. più difficile ignorare il mio corpo premuto contro quello della sconosciuta, l’abito sollevato all’altezza delle cosce, le mani di lei premute in difesa contro il mio torace… un vero peccato essersi incontrati così…
Scossi la testa e le lasciai il respiro libero… pian piano allontanai di nuovo la mano senza distogliere l’attenzione, neanche per un decimo di secondo… le labbra della ragazza restarono serrate…
“Brava…”
Riuscii finalmente a guardarmi intorno alla ricerca del punto prestabilito…
“Che succede lì dentro??”
Due colpi alla porta e la voce dell’agente… imprecai ancora, stavolta a voce alta… il mio primo pensiero rivolto alla sconosciuta, se avesse provato ad urlare, bellissima o meno, le avrei spezzato il collo…lei rispose al mio sguardo senza muovere un muscolo, le dita strette contro il lavandino, le nocche diventate bianche per la forza impiegata…
“Tutto bene…”
“Apri la porta! Adesso!”
Sbuffai... perché diavolo non era ancora svenuto come gli altri?
“Apri Shimamura! So che stai combinando qualcosa!”
Rimasi immobile, fin troppo tranquillo, prendendo a contare a bassa voce… arrivato più o meno ad otto un tonfo sordo si udì al di là della porta… ripresi immediatamente a muovermi, spostando di peso la ragazza verso la porta…
“Ora puoi urlare quanto vuoi...”
Finalmente lei si decise a parlare…
“Che vuoi fare?”
Tirai un pugno al soffitto facendo facilmente saltare il rivestimento, allungai un braccio nel buco cercando di alzarmi sui piedi il più possibile… ne tirai fuori una specie di zaino marrone… la spinsi ancora contro il muro per farmi spazio nella minuscola toilette… lei si trovò di fronte la porta, la sua mano scivolò immediatamente sulla maniglia…
“Fossi in te non lo farei…”
La avvertii senza distogliere lo sguardo da ciò che stavo facendo…
“…a meno che tu non voglia morire...”
“Che cosa vuoi fare?”
“Farò precipitare l’aereo…” risposi… la mia espressione quasi divertita…
“Cosa?”
Controllai che le cinghie del paracadute fossero abbastanza strette e finalmente le rivolsi lo sguardo… i suoi occhi azzurri sgranati dal terrore, sul suo viso il chiaro desiderio di chiedere pietà, la terrificante idea di schiantarsi ed esplodere, la determinazione di non supplicare… no… dopo anni passati ad uccidere ormai potevo leggere qualsiasi espressione negli occhi delle mie vittime… quella ragazza no, non avrebbe supplicato…
Mi mossi lentamente coprendo il piccolo spazio tra noi, di nuovo premetti il mio corpo contro quello della ragazza, stavolta senza violenza… sollevai una mano e lasciai scivolare la punta di un dito contro il suo viso… quella pelle color latte morbida sotto il mio tocco… i suoi capelli soffici come seta… le lunghe ciglia spalancate, decise a non cedermi… l’urgenza di baciare quelle labbra rosse mi colpì come un pugno inaspettato… qualcosa in lei mi teneva incollato, qualcosa che non avevo mai incontrato prima… mai provato… il rimpianto… la consapevolezza che avrei vissuto da quel momento in poi senza poter conoscere il tocco ed il sapore di quelle labbra…
“Non hai paura di morire?”
“Non ho molte ragioni per vivere…”
Mi staccai di colpo… ero un pazzo per pensare davvero di riuscire a farlo… comunque ci avrei provato…
“Ascoltami bene…”
Di nuovo richiamai l’attenzione della ragazza prendendole il viso tra le mani e costringendola a guardarmi…
“…e fa esattamente come ti dico…”
Senza specificare oltre allentai le cinghie del paracadute e la voltai così che la sua schiena fosse premuta contro il mio torace… la strinsi forte a me, premendo sul diaframma quasi fino a toglierle il respiro, allungai le cinghie e le feci girare intorno alla sua vita sottile… dopodiché le afferrai le braccia una alla volta, senza troppa delicatezza feci in modo che passassero sotto le bretelle del paracadute… sì, ero davvero un folle…
“Che… che vuoi fare con me?”
“Sta’ zitta…”
Le ordinai prima di muoversi, forte abbastanza da trascinarla con me senza alcuno sforzo… i piedi di lei sembravano non toccare più terra…
Afferrai la maniglia…
“Appena aprirò questa porta smetti di respirare…”
“Io… non po…”
Prima che riuscisse a completare una frase di senso compiuto feci scattare la maniglia e lei prese a muoversi senza intenzione, totalmente sollevata e spinta da me… intorno a noi sembravano dormire tutti, l’hostess inopportuna sdraiata e scomposta al centro del corridoio… la saltai in un solo passo e spalancai la porta della cabina di pilotaggio… i due piloti in divisa bianca avevano gli occhi chiusi e la testa ciondolante come tutti gli altri… mi sporsi in avanti e spinsi un tasto… un solo unico tasto…
Di colpo, come se fossimo piombati in un gigantesco vuoto d’aria, la pressione nell’aereo aumentò… la ragazza si portò le mani alle orecchie, spalancando bocca e polmoni, riempiendosi le vie aeree dell’intenso odore dolciastro del narcotico, mentre armeggiavo con il portellone… tutto intorno a lei svanì improvvisamente, compreso il suo stato di coscienza…
Parte 3
Mi sentii avvolta in qualcosa di morbido, di caldo e morbido… non riuscivo a capire se stessi ancora respirando o se quella fosse la sensazione della morte… mi sembrava di avere la gola in fiamme e che un treno mi stesse attraversando il cervello… mi pareva di essere schiacciata sotto una tonnellata di cemento… tentai di intrattenere una conversazione con i miei neuroni, cercando di capire se potessero ancora sentirmi... ordinai al mio indice destro di muoversi, almeno un paio di volte prima di percepire che stavo toccando qualcosa di liscio… ordinai alle mie palpebre di sollevarsi, ma la luce al di là sembrò ferirmi come una lama incandescente… mi sfuggì un lamento roco…. se potevo ancora muovermi ed emettere suoni forse non ero morta dopotutto, oppure la mia versione del paradiso faceva ancora più schifo della realtà…
Provai ancora una volta ad aprire gli occhi, uno alla volta, il più lentamente possibile… la stanza era avvolta in una luce gialla, i dettagli difficili da cogliere, il mio corpo disteso sotto lenzuola bianche… era un letto… ero sdraiata in una minuscola stanza sconosciuta… il letto sembrò muoversi di colpo ed emisi un altro gemito infastidito cercando di tenere a bada la nausea…
“Buongiorno…”
La voce sconosciuta mi arrivò alle orecchie come fosse lontana un chilometro… deglutii cercando di riportare la mente ad un piano di realtà accettabile… aereo… assassino… toilette… paracadute… non respirare… assassino… spalancai gli occhi e mi alzai in un istante… la vista sembrò mancarmi per qualche secondo, poi riuscii finalmente a mettere a fuoco dove mi trovavo...
La stanza era davvero piccola, dalla finestra tonda alla mia sinistra entrava la fastidiosa luce del sole, le pareti erano color crema, le finiture erano in legno e l’assassino dell’aereo se ne stava seduto su un’anonima sedia nell’angolo… sulla sua faccia un mezzo sorriso…
Indietreggiai sul materasso fino a spalmare la schiena contro la lettiera… il cambio improvviso di posizione mi fece vedere blu e, nel tentativo di non svenire, mi portai entrambe le mani alla testa…
Lui inclinò il capo… “Vacci piano… è stato un viaggio piuttosto impegnativo per te...” disse con tono sarcastico e divertito, mentre cercavo di prendere ossigeno e allo stesso tempo lo fissavo in assetto da fuga…
Rimasi immobile dopo un paio di lunghi respiri, rivolgendo l’attenzione a me stessa… avevo ancora addosso il vestito macchiato di caffè, mentre i miei piedi erano scalzi sotto le lenzuola… tutta la mia pelle sembrava tirare, come se avessi fatto il bagno nel Mar Morto senza poi spalmare l’idratante… mi portai una mano alla testa, le mie dita rimasero incastrate tra i capelli come fossero un fitto ammasso di paglia…
“Dove sono?”
Lui sollevò le sopracciglia… “Su una barca… nel bel mezzo dell’oceano Atlantico…”
Cercai di muovermi ed uscire dalle coperte… la testa prese a girarmi d’improvviso…
“Io te l’avevo detto di trattenere il respiro...”
Poggiai i piedi a terra ignorando la sua ironia…
“Che mi hai fatto?”
Lui si alzò dalla sedia, aveva addosso abiti puliti e sembrava stare decisamente meglio di me…
“Io niente… ma l’aereo era pieno di gas narcotico...”
Cercai di far quadrare tutti i ricordi e le deduzioni logiche, ma mi arresi ben presto… feci forza sulle braccia per tirarmi su... barcollai vistosamente e lui si avvicinò cercando di afferrarmi… sgranai gli occhi e mi tirai indietro…
“Non mi toccare...”
Lui sorrise di nuovo…
“Ti ho salvato la vita… dovresti essere un po’ più gentile con me…”
“Che ne è stato degli altri passeggeri?”
Lui sollevò le spalle…
Non fu necessario rispondere… spalancai di nuovo gli occhi…
“Oh dio mio li hai uccisi tutti… ucciderai anche me adesso vero? Mi farai a pezzi!”
L’isteria si impossessò di me in un attimo, rendendomi tutta la forza persa…balzai in piedi cercando la prima via di fuga accessibile, il respiro affannato ed il preludio di un lungo pianto negli occhi…
Adocchiai la porta dietro di lui come unica possibile salvezza e decisi di correre verso la maniglia… lui non si mosse nemmeno, bloccando la mia breve fuga con un solo braccio... balzai indietro al contatto e scossi la testa, fermamente decisa a non essere una preda facile… saltai sul letto e passai all’altro lato della stanza, lanciandomi immediatamente contro la porta della cabina… strinsi la mano intorno al metallo, ma prima che potessi fare pressione, la mano di lui si spalmò contro la porta annullando qualsiasi mio tentativo di far forza… provai comunque a tirare con tutta me stessa, arrivando presto alla conclusione che in quel momento le mie risorse erano piuttosto scarse… mandando giù mi voltai verso di lui, trovandomi con la schiena inchiodata all’uscita… avrei voluto intimorirlo con lo sguardo, fargli presente che non aveva rapito la solita ragazzina indifesa, ma non mossi un muscolo né proferii parola… mi teneva premuta contro la porta col suo corpo, senza neanche il bisogno di toccarmi davvero…
Decisi di fare un ultimo tentativo… su quell’aereo l’idea di morire non mi era sembrata tanto male, qualche secondo prima di svenire e poi non avrei sentito più nulla, ora invece, la sola idea di essere torturata, picchiata, fatta a pezzi, forse perfino stuprata… no, non volevo morire così…
Raccolsi tutte le forze e piantai il ginocchio nel basso ventre di lui, non ero certa di aver preso il punto più sensibile, ma tanto era bastato per farlo scansare da me… aprii la porta di fretta e mi precipitai su per la scaletta di legno seguendo la luce, continuando a correre da una parte all’altra del piccolo ponte guardando il monotono blu dell’oceano tutt’attorno… alla fine sbattei contro il parapetto di prua e mi fermai a riprendere fiato guardando le onde… non avevo via d’uscita, nessuna eccetto…
Inspirando strinsi le mani tremolanti attorno al parapetto e mi decisi a scavalcarlo, una gamba alla volta… meglio annegare che soffrire per ore le torture di quel mostro...
“Fossi in te non lo farei…”
Lui mi stava alle spalle, probabilmente già da un po’… la sua voce suonava calma e tranquilla… non mi voltai…
“Perché no? Morirò comunque...”
“Quell’acqua è fredda tesoro, molto fredda… e non dimenticare gli squali… credevo che non volessi finire fatta a pezzi…”
Deglutii continuando a guardare giù…
“Tu cosa mi farai invece?”
“Non ho ancora deciso in realtà…”
Lo sentii avvicinarsi… strinsi le mani attorno al metallo freddo del parapetto… il rumore delle onde poteva già riempirmi le orecchie…
“Scendi da lì adesso…”
Stavolta il suo tono si era fatto autoritario, ma non abbastanza da farmi demordere… lo sentii sbuffare, ormai era dietro di me, se volevo davvero suicidarmi dovevo farlo in quel momento… mossi le dita, ma non riuscii a mollare…
“Ok tesoro, visto che non vuoi proprio starmi a sentire, da adesso in poi faremo a modo mio…”
Mi afferrò per la vita e mi sollevò come fossi fatta d’aria, totalmente indisturbato dai miei tentativi di scalciare, prenderlo a pugni o strillargli nelle orecchie…
Mi buttò di peso sul letto, lasciandomi rimbalzare… cercai di dimenarmi, ma lui mi bloccò col suo peso, stringendomi i polsi sopra la testa… qualcosa si strinse attorno alla mia mano e subito dopo l’assassino sembrò mollare la presa… cercai immediatamente di muovermi di nuovo, ma mi ritrovai incatenata alla spalliera del letto per il polso destro, lui mi stava ancora sopra e dallo sguardo poteva dirsi abbastanza soddisfatto…
Quel mezzo sorriso compiaciuto, i capelli scompigliati per la lotta, i muscoli tesi per restare in bilico su di me senza schiacciarmi… sospirai guardando altrove… doveva esserci qualcosa di molto, molto perverso nel trovare attraente il proprio assassino…
Lui passò la mano sulla mia gamba... mi irrigidii cercando di tenerlo lontano con la mano libera, provando a spingerlo via… era questo che mi aspettava? Essere violentata su una barca in mezzo al nulla? La mano dell’assassino proseguì lenta, accarezzando la linea del mio ginocchio e poi a salire lungo la coscia… il tocco delicato, le sue dita calde contro la pelle, gli occhi scuri ancora incollati al mio viso… non sembrava la carezza di un mostro... chiusi gli occhi sperando che lui non si muovesse oltre… non ero certa di come il mio corpo avrebbe reagito…
“Adesso almeno starai buona...”
Disse tirandosi su di colpo… si ricompose velocemente e tornò a sedersi sulla sedia all’angolo…
“Come ti chiami?”
Esordì… portai le gambe al petto, lui continuava a fissarmi con i gomiti poggiati alle ginocchia… deglutii…
“Catherine...”
Risposi, cercando il primo nome da dire che non fosse il mio… lui sollevò un sopracciglio…
“Non mentire…” mi ammonì seriamente… inspirai profondamente chiedendomi se fosse il caso di continuare la commedia, probabilmente il suo era solo un bluff…
“Catherine, Catherine Martin...” insistetti e lo sentii sbuffare rumorosamente in risposta… si alzò in piedi e si avvicinò con uno sguardo grave, giocherellando con le sue stesse dita come se si stesse preparando ad usarle… sentii le sue falangi scrocchiare e sussultai nel trovarmelo di nuovo tanto vicino, lui si chinò lentamente e mi passò le dita sulla gola, rendendo chiaro quanto il mio collo sarebbe stato fragile nella sua presa…
“Non… mentire...” precisò ancora una volta… glaciale…
Annuii nervosamente e presi coraggio…
“Françoise, il mio nome è Françoise Arnaul...”
Lui sorrise allontanandosi… “Come facevi a sapere?”
Contrassi la mandibola… “Sapere cosa?” chiesi in un mezzo sussurro. Lui sospirò tornando a sedersi…
“Sapevi del braccialetto, sapevi chi sono… come?”
“Io non so chi sei…” replicai istintivamente in difesa… lui chiuse lentamente le palpebre, ripetendo…
“Come facevi a sapere?”
Presi fiato, la mia inferiorità troppo palese per cercare di improvvisare un castello di bugie... e comunque la realtà era già abbastanza ridicola…
“Una mia amica lavora all’American Airlines… è stata lei a dirmi che sul volo ci sarebbe stato un criminale con un braccialetto… mi aveva anche detto di non prenderlo… e avrei fatto meglio ad ascoltarla…”
Lui aguzzò lo sguardo, senza lontanamente cogliere il mio tentativo di ironizzare… forse tentava di capire se stessi mentendo…
“Che ci facevi a Johannesburg?”
Abbassai gli occhi, anche se la mia sopravvivenza era ancora in dubbio, stavolta lo stomaco mi si torse al solo pensiero… tutta colpa di Tyler...
“Ero andata a trovare il mio fidanzato...”
Lui sorrise…
“Sull’aereo hai detto di non avere ragioni per vivere… un fidanzato sembrerebbe una buona ragione invece…”
Tornai a guardarmi le mani…
“L’ho trovato a letto con un’altra” …confessai senza troppi giri di parole.
Lui curvò la schiena per essermi in qualche modo più vicino…
“È per questo che volevi morire? Perché il tuo uomo ti ha tradita?”
Stavolta decisi di sollevare gli occhi ed incontrare i suoi, l’assassino mi stava giudicando… mi stava giudicando una stupida… peccato non sapesse nulla della mia vita…
“Lui è solo l’ultima di una serie di ragioni…”
“Beh…” prese fiato lentamente “…ti consiglio di trovare un buon motivo per vivere allora...”
Avvertii un brivido corrermi lungo la schiena…
“Che… che vuoi dire?”
Lui sollevò le sopracciglia..
“Presto verranno a prendermi e sinceramente…” di nuovo una pausa “…non ho idea di cosa farne di te...”
Deglutii…
“Mi… mi ucciderai?” avrei voluto suonare risoluta e coraggiosa, ma la voce mi tremò come una foglia…
Tenevo il suo sguardo, sperando di leggerci dentro una risposta mentre me ne stavo rannicchiata all’angolo del letto e provavo ad immaginare cosa ne sarebbe stato di me...
Mi si avvicinò… cercai di farmi ancora più piccola, consapevole di avere solo un metro di gioco per via della catena che mi legava al letto… gli occhi dell’assassino mi stavano accarezzando, caldi come il velluto, intensi come nel primo sguardo, quando mi ero concessa di pensare che fosse l’uomo più bello del mondo… adesso invece quello stesso pensiero mi sembrava inaccettabile, ripugnante, dovevo sforzarmi di cacciarlo nell’angolo più remoto della mente… lui poggiò le mani sul materasso e si spostò alla mia altezza, scavando con forza nei miei occhi, tanto intensamente che dovetti abbassare lo sguardo per non sentirmi nuda di fronte a lui...
“No…”
Disse infine con voce bassa…
“Non se mi convincerai a non farlo…”
Tornai a ricambiare istintivamente i suoi occhi, colpita dal tono allusivo delle ultime parole… era così vicino che potevo facilmente notare le poche pagliuzze verdi nel castano delle sue iridi, le piccole rughe d’espressione sulla sua fronte, la linea delle barba che non rasava da giorni ed il rosa perfetto delle sue labbra… cosa mi stava chiedendo? Voleva forse che lo pregassi di non uccidermi? Era quel tipo di criminale? La mia bocca si aprì lievemente per lasciar passare più aria, non era questo che lui sembrava volere… al solo pensiero il cuore prese a battermi in gola, una strana sensazione di calore mi riempì lo stomaco… voleva baciarmi?? Quell’idea suonava assurda date le circostanze eppure pareva alquanto difficile fraintendere la sua espressione, il modo in cui le sue ciglia sbattevano lente mentre i suoi occhi indugiavano tra il mio sguardo confuso e le mie labbra socchiuse…
Mi sentii paralizzata, ogni muscolo del mio corpo si tese all’istante, incapace di reagire davanti ad un uomo che deteneva il potere completo, un uomo che il mio istinto di sopravvivenza rigettava, al contrario della mia pelle... lo sentii avvicinarsi ulteriormente e tutti i miei pori si aprirono cercando di non lasciarmi andare a fuoco, il viso bloccato all’altezza del suo… lui indugiò per un secondo mischiando il suo respiro al mio… impercettibilmente girò la testa, inclinando il collo appena un po’, le sue labbra sfiorarono la mia pelle, accarezzando la linea del mento...
Chiusi gli occhi al contatto, voltando il capo e stringendo le lenzuola nei pugni… potevo sentire il cuore pulsarmi nelle orecchie, scorrermi dentro la testa come un fiume in piena… avrei voluto saltare e colpirlo, avrei voluto trovare quel tocco rivoltante, ascoltando quella vocina nella mia testa che però andava facendosi sempre più lontana… al suo posto un nuovo e sconosciuto formicolio, il risveglio contemporaneo di tutte le mie cellule...
Ma lui si staccò bruscamente da me...
Balzai sul letto come se mi fossi svegliata da un bel sogno, cercando di calmare il freddo improvviso… l’assassino era in piedi e guardava il vuoto, rendendomi impossibile capire cosa stesse pensando adesso… forse non avevo capito nulla, forse la lussuria non c’entrava, forse lui era solo una specie di psicopatico… finii a fissare le mie mani e sembrai realizzare solo in quel momento le mie condizioni, la pelle tirata, le striature bianche dell’acqua salata, il vestito sporco, i capelli ammatassati… ovvio che nemmeno uno psicopatico potesse volermi in queste condizioni… scossi la testa perché ormai la mia mente stava spaziando nel ridicolo, non solo mi stavo preoccupando di cosa lui pensasse, ma iniziavo a sperare che dopo avermi uccisa avrebbe buttato il mio corpo nell’oceano, almeno nessun altro mi avrebbe vista in quelle condizioni…
Lui riprese a muoversi verso la porta…
“Ti porterò qualcosa da bere…”
Disse con indifferenza, come se il piccolo momento precedente fosse già caduto nel dimenticatoio… lo guardai afferrare la maniglia e mi morsi le labbra…
“Aspetta...”
Lui si fermò sulla soglia… si voltò verso di me senza proferire parola… inspirai profondamente e decisi di tentare la fortuna…
“Potrei… potrei almeno lavarmi per favore?”
Osai chiedere con un filo di voce… lui aggrottò le sopracciglia, forse disorientato dalla mia richiesta banale, forse indeciso sulla risposa da darmi... rimase serio tutto il tempo, anche mentre tornava sui suoi passi, facendosi vicino ancora una volta… sentii l’istinto di raggomitolarmi, probabilmente avevo tirato troppo la corda… lui invece non mi guardò nemmeno mentre, con una piccola chiave, apriva la manetta al mio polso… con un cenno della testa indicò la porta di fronte a quella della stanza...
“Non più di dieci minuti… e non cercare di combinare qualcosa perché potrei arrabbiarmi...”
Annuii massaggiandomi il polso libero, aspettando di vederlo andar via prima di poggiare i piedi a terra e correre verso il minuscolo bagno… chiusi a chiave restando appoggiata alla parete per qualche minuto… la prima cosa che mi tornò alla mente fu la voce di Catherine, ma perché cavolo non l’avevo ascoltata? Sbattei la fronte contro la porta… stupida… stupida fino alla fine Françoise...
Infilandomi velocemente sotto il debole getto della doccia cercai di raggiungere contemporaneamente il maggior numero di parti del mio corpo, di certo non volevo indispettire l’assassino impiegando più del tempo richiesto… ficcai tra i capelli il primo shampoo a portata di mano e cercai di tirar via tutta l’acqua salata, quasi fino a graffiarmi la pelle… chiusi gli occhi e mi lasciai ricoprire completamente dall’acqua bollente, lasciando che lavasse via il sapone, lo shampoo e parte della mia incredulità mista all’incapacità di dare un senso a quella situazione… sentii di nuovo in bocca il sapore della paura, il gusto metallico del terrore di morire, mischiato all’odore dolciastro dell’aereo… il blu che riempiva la mia vista, ben presto rimpiazzato dal nero e dall’incoscienza… non riuscivo minimamente a ricordare come fossi finita su quella barca, di certo era stato lui a portarmici, ma come? E perché ce ne stavamo nel mezzo dell’oceano senza che nessuno ci trovasse? Doveva essersi occupato di tutto lui… lui… già.. lui… senza rendermene conto passai una mano tra viso e collo, ricercando il punto preciso su cui aveva poggiato le labbra… mi sentii tremare per un istante… avevo creduto davvero che lui stesse per baciarmi, che l’avrebbe fatto più e più volte… avevo creduto davvero che lui mi desiderasse e che mi avrebbe presa lì, in quel momento, senza sapere nulla più che il mio nome… avevo sperato davvero che quella sarebbe stata la mia salvezza…
Riaprendo gli occhi temei di aver perso la cognizione del tempo e chiusi il rubinetto venendo fuori dalla doccia in tutta fretta… afferrai un asciugamano e mi ci arrotolai dentro, di colpo terrorizzata all’idea di uscire di lì… «No… non se mi convincerai a non farlo...» Le parole si ripeterono nella mia testa cercando un significato, cercando di ignorare il loro implicito contrario… se non fossi riuscita a convincerlo sarei morta…
Lasciai scattare piano la serratura, convinta che me lo sarei presto trovato di fronte, ma tutto ciò che vidi fu il letto sgualcito dell’altra stanza… calmai il respiro e mi guardai intorno nel silenzio, lui doveva essere di sopra… a destra un’altra porta chiusa attirò la mia attenzione, un rumore insolito simile ad un borbottio sembrava venirne fuori… non avevo idea di come fosse fatta una barca, tantomeno quante stanze potesse avere né cosa dovessero contenere, ma iniziai a sperare che in quella camera chiusa ci fossero armi e telefoni satellitari… nella mia testa reminescenze di vecchi film d’azione presero forma, se fossi riuscita a trovare una pistola, un coltello o un qualsiasi corpo contundente avrei potuto colpire l’assassino a tradimento e metterlo fuori gioco… dopodiché avrei chiesto aiuto o navigato fino alla terraferma… annuii e mossi il primo passo a piedi nudi sul parquet, calibrando ogni piccolo movimento per non fare alcun rumore… la tensione era talmente forte che quasi non riuscivo a respirare…
La maniglia della porta venne giù senza intoppi e mi gettai nella stanza… era caldo lì dentro… il borbottio proveniva da una specie di caldaia o scaldabagno nell’angolo… girai su me stessa nella penombra, alla ricerca di qualsiasi cosa potessi afferrare e scagliare contro il mio rapitore… sulle mensole impolverate se ne stavano diversi oggetti sconosciuti, tutti apparentemente innocui… scuotendo la testa ed imprecando silenziosamente contro la mia solita fortuna, mi inginocchiai ad ispezionare l’ultimo ripiano... inaspettatamente mi sembrò di avere tra le mani la chiave della mia salvezza, una radio, uno di quei radiotrasmettitori vecchio modello in cui basta portarsi alla bocca la trasmittente, premere un pulsante e lanciare un SOS… la poggiai su una mensola alla mia altezza ed iniziai a premere nervosamente i tasti, ora che vedevo una via d’uscita non potevo aspettare neanche un secondo… una piccola lucina rossa si accese e mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo… totalmente priva di nozioni sulla radiocomunicazione decisi di girare tutte le manopole e tirar su i cursori poi, tremando e sperando, avvicinai la trasmittente alle labbra, pronta a spingere il pollice sul bottone laterale…
Un fischio stridulo e fastidioso riempì la stanzetta, costringendomi a mollare la presa e balzare in piedi… i miei occhi spalancati si puntarono immediatamente sulla porta, strinsi le mani al petto ed accostai l’asciugamano, pregando con tutta me stessa che lui non avesse sentito… sarebbe stata la fine…
Un colpo secco spalancò la porta, come se l’assassino l’avesse presa a calci per aprirla... Divenni un pezzo di ghiaccio rendendomi conto solo in quel momento, per la prima volta, di chi avessi davvero di fronte… lui era dritto davanti a me, i pugni chiusi e le labbra strette in una linea sottile, i suoi occhi vuoti, il corpo mosso da un tremore generale, come se stesse per venir fuori dalla propria pelle… era arrabbiato… era vistosamente arrabbiato…
Indietreggiai sbattendo ben presto contro il muro… stavo per morire… adesso era certo, stavo per morire…
Lui deglutì rumorosamente muovendosi di un solo passo…
“Ti avevo detto di non farmi arrabbiare…”
Parte 4
“Ti avevo detto di non farmi arrabbiare...”
La breve distanza tra noi fu coperta in un secondo… l’afferrai stretta per la vita tappandole la bocca con l’altra mano e la trascinai fuori senza troppa grazia… appena qualche passo e lei rimbalzò di nuovo sul letto, stavolta sbattuta con forza contro il materasso…
Rimasi immobile mentre chiudevo a chiave la porta…
Lo scatto del coltello arrivò amplificato e forte come lo scoppio di una bomba…
Inspirai profondamente fissando lo stiletto stretto nella mia mano… le lame erano la mia arma preferita, lo strumento di morte che avevo scelto alla fine del mio lungo addestramento… ogni volta che tenevo tra le mani un coltello, un pugnale o una katana, potevo sentire il gelo dell’acciaio impossessarsi di me, annullando ogni ombra di sentimento nei confronti della vittima di turno… l’utilizzo delle armi da taglio rendeva il mio lavoro inevitabilmente più lungo, sporco e complicato, ma vi era un innegabile fascino poetico nel poter scegliere come, quanto e cosa infliggere ai nemici, con la piacevole possibilità di guardarli in viso durante tutto il procedimento…
La ragazza tuttavia non era un nemico della mia famiglia, né una vittima prescelta da mio padre, quell’omicidio sarebbe stato un’eccezione al codice, un atto di puro e necessario sadico piacere… sospirai stringendo le dita attorno all’impugnatura, non potevo biasimare nessun altro che me stesso per quella situazione… sentii in bocca il fastidioso sapore di qualcosa simile al rimorso, come sull’aereo… imprecai in silenzio gettandolo via e decisi di voltarmi e guardare la ragazza…
Stava decisamente iperventilando, inginocchiata sul letto stringeva l’asciugamano al petto con entrambe le mani, così stretto che le sue dita si erano fatte rosse di sangue… Sembrava ancora più pallida, eppure aveva il viso colorato dall’ansia e le labbra scarlatte… i suoi lunghi capelli biondi andavano lentamente asciugandosi in ciuffi scomposti, mentre i suoi occhi azzurri mi fissavano, lucidi e spalancati…
“No…”
Sussurrò appena al mio primo passo, inclinai il viso verso di lei con le labbra leggermente protratte in avanti, sul mio volto l’accenno di un ghigno sardonico…
“Cosa dovrei fare adesso con te, eh?”
Dissi, il tono apparentemente impassibile, il mio sopracciglio destro sollevato, come se stessi davvero aspettando una risposta…
“Dovrei liberarmi di te?”
Un angolo della mia bocca si sollevò in un mezzo sorriso…
“O forse dovrei farti male soltanto un po’?...”
Avanzai di un nuovo passo sollevando la lama, l’acciaio rifletteva la luce del tramonto imminente, spandendo un alone arancione per tutta la stanza…
“…qualcosa che ti ricordi chi è che comanda...”
Ormai ero a pochi centimetri, il coltello puntato verso di lei, così che la punta segnasse una linea immaginaria tra l’impugnatura ed il suo petto, in mezzo alle costole...
Sbattei piano le palpebre, ormai le mie ginocchia toccavano il letto e la ragazza era sempre immobile di fronte a me, come se, ancora una volta, fosse pronta a morire… inspirai l’odore della sua paura e sentii il sangue scorrermi più veloce nelle vene, totalmente combattuto tra la mia natura, l’istinto di uccidere e la voglia immensa, lussuriosa, di spingere la ragazza fino al limite…
Sollevai il coltello senza fretta ed avvicinai la curva della lama al viso di lei, accostando lentamente pelle e metallo… la vidi chiaramente fallire nel tentativo di contenere lo spasmo del suo corpo, stringere le spalle e trattenere il respiro…
“Guardami…”
Lei schiuse le palpebre espirando…
Sorrisi a labbra strette, in quel momento sentirla supplicare sarebbe stata dolce musica per le mie orecchie… solitamente non avrei impiegato così tanto tempo per uccidere qualcuno, ma in questo caso specifico non avevo alcuna urgenza anzi, ogni secondo passato in quel limbo accresceva la mia eccitazione… nel fondo della mia mente la tentazione di prolungare all’infinito quella deliziosa tortura…
Tutta la rabbia era scemata senza che nemmeno me ne rendessi conto e solo in quel momento realizzai che lei mi stava davanti, inginocchiata ed avvolta in nulla più che un asciugamano… le mie pupille scorsero lente lungo la sua figura minuta, accompagnando l’impercettibile carezza con la punta del coltello… l’estremità del metallo, ormai calda del suo tepore corporeo, segnò una linea dritta dalla gola in giù, sbattendo contro la spugna in cui era avvolta…
“Convincimi...”
Chiesi…
“Convincimi a non ucciderti...”
Precisai, la voce bassa e vibrante, la richiesta quasi sussurrata…
Lei sollevò il mento per guardarmi dritto negli occhi…
“Ti prego…”
Iniziò in un filo di voce…
“…ti prego non uccidermi…”
Rimasi saldo nella mia posizione, sollevando appena un sopracciglio… il suo sussurro tremava, tuttavia il tono era deciso… la ragazzina non voleva morire… staccai il coltello dal suo corpo e distesi il braccio, lei era bella, troppo bella, con le guance infiammate da una sorta d’imbarazzo e la presunzione di sembrare più coraggiosa di quanto non fosse…
“Convincimi...”
Insistei... strinsi la presa attorno al coltello ancora una volta, stavolta per cercare di contenermi, e non dal pugnalarla… lei raddrizzò la schiena e si fece più vicina, il respiro le tremava tra le labbra e le sue mani sembravano bollenti… le sollevò lente, chiudendo gli occhi per un secondo, cercando di arrivare a me nel tempo più lungo possibile… mi toccò il viso… sussultai al contatto…
“Ti supplico…”
Ripeté… mi era pericolosamente vicino, ormai riuscivo a sentire il calore del suo corpo e quello del suo respiro…
“…farò tutto quello che vuoi… non uccidermi…”
Sentii tutto il sangue arrivarmi nei pantaloni, ormai l’idea di ucciderla era lontana mille miglia… le sue piccole fragili dita mi stavano toccando, inaspettatamente calde… la sua voce mi stava pregando, dolce come lo zucchero, disperata come il canto di un uccello in gabbia… non potevo più resistere…
“Non è quello che voglio farti…”
Risposi chiudendo lo spazio… la mia bocca si lanciò contro la sua in un bacio tutt’altro che delicato, lei rischiò di perdere l’equilibrio, ma la trattenni premendo il suo corpo contro il mio.
Mi sentii esplodere di aggressiva lussuria non appena le mie labbra l’avevano toccata… erano morbide e sapevano ancora di sale… la volevo, la volevo in quel momento più di ogni altra cosa, ma non potevo permettermi di perdere il controllo, non con un ostaggio pronto a tutto per sopravvivere… sentii la mano di Françoise poggiarsi sul mio petto e mi staccai dal bacio, ancor più eccitato all’idea di riprendere il potere… scossi piano il capo afferrandola per i polsi, tenendoli entrambi serrati in una sola mano, mentre l’altra stringeva ancora il coltello… passai la lama un’ultima volta sulle sue labbra, gonfie ed arrossate per il nostro bacio violento, poi la gettai via in un angolo… ormai non mi serviva più, avrei usato ben altre armi per rimettere la signorina al proprio posto…
Le sollevai i polsi sopra la testa e la baciai di nuovo, cercando di esplorare ogni angolo della sua bocca, quasi fino a toglierle il respiro… l’altra mano ferma sulla coscia della ragazza ed io determinato a non renderle le cose troppo semplici. Il modo in cui lei aveva schiuso le gambe, probabilmente senza neanche accorgersene, era un chiaro segno della sua eccitazione… la ragazzina voleva essere toccata, oh sì… solo che, sorrisi tra me, la ragazzina non aveva ancora pregato abbastanza…
“Vuoi che ti tocchi, non è vero?”
Sussurrai nel suo orecchio… lei si irrigidì, tese le braccia e cercò di scuotere la testa…
“No...”
Rispose, cercando di suonare decisa nonostante la voce bassa… le sfiorai l’orecchio con le labbra…
“Ricordi? Riesco a capire quando stai mentendo...”
Bisbigliando le parole lasciai scivolare le dita sotto l’asciugamano e lei si tese come una corda di violino contro di me... la mia mano continuò lenta la sua risalita, trovando la propria strada tra le cosce, adesso serrate, della ragazza… non stavo cercando di forzare una via, stavo accarezzando la sua pelle, pregustando il calore che riuscivo già a percepire, aspettando che fosse lei a cedere e spalancare le gambe per me...
“Dillo...”
Ordinai, usando la lingua contro il lobo del suo orecchio…
“Dillo…”
Chiesi di nuovo…
“S..sì…”
Riuscii a malapena a sentirla, ma ero certo di aver capito… riportai la faccia davanti a quella di Françoise, prendendole il viso nella mano, stringendo quel poco che bastava per catturare la sua completa attenzione…
“Dillo come si deve...”
Scandii…
“To..Toccami…”
Disse, incapace di guardarmi negli occhi mentre chiedeva… le sue guance erano in fiamme…
“Ah. Ah. Ah…”
Obiettai, accompagnando le parole con la testa…
“…hai dimenticato qualcosa…”
Quella era l’ultima, l’ultima goccia del mio autocontrollo… il gioco era divertente, ma non sarei riuscito ad aspettare un secondo di più…
“…ti prego…”
Sussurrò guardando a terra… la strinsi, poggiando la testa nell’incavo del suo collo, lì dove riuscivo a sentire il battito accelerato del suo cuore, lì dove nessun sospiro o gemito sarebbe potuto sfuggire alle mie orecchie… poggiando un ginocchio sul letto lo spinsi con decisione tra le gambe della ragazza per obbligarla ad aprirle, la mia mano immediatamente pronta a farsi strada verso la meta…
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Françoise chiuse gli occhi aspettando il contatto, ormai totalmente spogliata del suo falso coraggio e della sua morale. Lui però non la toccò, bensì la spinse giù con forza, lasciandola cadere di schiena sulle lenzuola sgualcite. Scomposta, agitata e tremante, era l’immagine più invitante su cui mai avesse poggiato gli occhi. Ogni donna della sua vita era stata una conquista facile, senza sforzi o attese, ogni amante pronta e disponibile, ognuna di loro disposta a soddisfare le richieste più scellerate per poi sparire, senza rimorsi o sprazzi di dignità.
Ed eccola lì invece, la ragazzina dell’aereo, incerta, spaventata, accaldata, in attesa come una vergine la sua prima notte di nozze. Joe rimase immobile in piedi davanti a lei, gli occhi incollati nei suoi, la voglia di esplodere sotto i vestiti. Non riusciva a muoversi, totalmente perso in quel momento di perfezione, l’attimo in cui sai di aver vinto e puoi già pregustare il sapore della vittoria. Il premio gli stava di fronte e lui avrebbe assaporato ogni secondo prima di stringerlo tra le mani.
Françoise sentì i suoi muscoli perdere forza, come se gli occhi dell’assassino la stessero lentamente consumando. Nessun uomo l’aveva mai guardata in quel modo.. Dio mio.. Sembrava davvero volesse mangiarla. Ed una parte di lei, una minuscola parte di lei, sorrise in un angolo buio della sua mente.
Joe sospirò un’ultima volta prima di avvicinarsi, poggiando le mani sulle ginocchia della ragazza, sollevando il tessuto mentre le accarezzava la pelle. Prese a sbottonarsi i pantaloni, deciso ad interrompere il più presto possibile quella specie di incantesimo, sicuro che una volta svuotato, ogni sorta d’emozione che quella ragazzina suscitava in lui sarebbe sparita.
Si spinse tra le sue gambe, pronto a liberarsi dell’asciugamano, pronto a scaricare su di lei tutta la tensione degli ultimi giorni, in qualche modo determinato a punire anche la ragazza per il suo arresto, per l’aereo, per quella stupida scelta, per la sua vita. Per tutta la sua vita.
Al suono improvviso di passi sul ponte Joe si bloccò immantinente. Premendo una mano sulla bocca di Françoise, affinché non avesse la brillante idea di urlare, tese le orecchie verso il rumore e nel giro di pochi secondi riconobbe il peso ed il ritmo di quei piedi. Françoise lo sentì imprecare il suo disappunto tra i denti e tirarsi su
“Non provare ad urlare. Nessuno è venuto a salvarti, è solo mio fratello.”
Lei si tirò su in un secondo, memore di ciò che lui le aveva detto in precedenza. I suoi fratelli non sarebbero stati contenti di trovarla lì anzi, si sarebbero subito liberati di lei. Prese a guardarsi attorno nervosamente, senza capire se fosse più delusa o sollevata per l’interruzione. Se avesse fatto l’amore con l’assassino, forse poi, lui si sarebbe sentito in colpa ad ucciderla. Ragionamento idiota. Gli assassini non hanno sensi di colpa.
Joe sospirò ancora una volta, avvicinandosi ad un cassettone nell’angolo opposto. Ne tirò fuori un ammasso stropicciato di tessuti e colori.
“Tieni. Mettiti qualcosa. E resta qui.”
Ordinò senza darle troppa attenzione, come se avesse completamente dimenticato la sua presenza… del resto altri pensieri occupavano ora la sua mente, primo fra tutti cosa fare del suo ostaggio… conoscendo Jonah, non si prospettava nulla di buono…
“Aspetta!”
Disse lei… lui sbuffò rivolgendole un’occhiata impaziente… lei sollevò le spalle per un istante…
“Non so nemmeno come ti chiami...”
Precisò a bassa voce, lasciando la domanda implicita… le rivolse finalmente attenzione, sentendo nel petto il peso del suo nome, pieno d’orgoglio come ogni singola volta che gli veniva offerta l’opportunità di pronunciarlo… non era per vanità, ma per rispetto, sempre e comunque fiero di portare quel cognome…
“Joe… il mio nome è Joe Shimamura…”
Disse con un lampo negli occhi, sparendo subito dopo… senza aver colto l’ombra di una smorfia di disgusto sul viso di lei…
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Jonah… saliti i pochi scalini lo vidi di spalle, i capelli chiari mossi dal vento e le mani poggiate sui fianchi… anche guardandolo da dietro riuscivo a vedere il suo perenne sorriso compiaciuto… lui si voltò quasi immediatamente, come previsto due lunghe file di denti bianchi riflettevano la luce della luna sul suo viso da bambino…
“Fratello!”
Esclamò con entusiasmo allargando le braccia, quasi si aspettasse un caldo abbraccio di benvenuto… la sua voce squillante, ancora forte di accento inglese, riecheggiò in mare aperto… digrignai i denti afferrandolo per il colletto della camicia e sbattendolo forte contro la cabina di pilotaggio…
“Stupido idiota! Ti avevo chiesto solo una cosa, una soltanto! Tutto quello che dovevi fare era essere puntuale!”
Jonah non smise di sorridere, sforzandosi di aggrottare le sopracciglia…
“Sono stato puntuale! Voglio dire, lo sarei stato… ero già praticamente per strada quando…”
“Quando cosa Jonah?”
“Smirnov...”
Fu come se un’incudine da mezza tonnellata fosse piombata tra noi...
“Alexei Smirnov?”
“Il solo ed unico! Me lo sono trovato di fronte mentre uscivo dal bar per venire a prenderti…”
Mollai la presa su mio fratello e Jonah si ricompose immediatamente…
“…inutile dirti che ho dovuto sprecare il mio prezioso tempo per ripetergli, ancora una volta, che non abbiamo idea di dove sia finita quella cagna di sua figlia…”
Quello era ovviamente un eufemismo… erano stati necessari cinque uomini, due pistole, nonché una spranga di ferro affinché il russo ed il suo entourage mollassero la presa…
Mi passò una mano sulla faccia, senza alcun bisogno di pronunciare quel nome ad alta voce… Nataljia... Nataljia Smirnova... l’unico grande errore di Jet... il peggiore… la donna in questione era effettivamente la moglie di mio fratello, se non altro legalmente… il loro matrimonio era stato pianificato da nostro padre e Smirnov come una qualsiasi altra transazione di lavoro, il modo perfetto per siglare un’alleanza tra potenti famiglie… purtroppo però Jet non era riuscito a trattenersi, si era innamorato della ragazza, sia stato per i suoi grandi occhi scuri o per la crudeltà pura celata dietro il viso d’angelo… ad ogni modo la stronza aveva deciso di sparire due anni prima, fuggendo nel cuore della notte, senza lasciarsi tracce dietro… ero convinto che mio fratello sapesse più di quanto non volesse ammettere riguardo le ragioni di Nataljia, tuttavia lei non sembrava voler essere trovata e alla fine tutti noi avevamo smesso di cercare… tutti eccetto Alexei… quell’uomo era davvero una spina nel fianco…
“Come faceva a sapere che eravamo a Johannesburg?”
Jonah sollevò le spalle…
“Non ne ho idea… suppongo che ci spii ancora...”
Mi afferrai il mento come se avessi bisogno di riflettere…
“Ed io suppongo che ci sia lui dietro il repentino arrivo degli sbirri…”
Sentii le mani stringersi in due pugni chiusi… maledetto il giorno in cui quell’arpia sovietica aveva varcato la soglia della nostra casa…
Jonah sospirò rumorosamente passando le dita tra i capelli…
“Beh…visto che siamo in tema, Jet ci aspetta!”
Esclamò trillando come un ragazzino, entusiasta al pensiero di passare finalmente un po’ di tempo con i suoi fratelli maggiori… pur sembrando strafottente e vanesio la maggior parte del tempo aveva davvero un gran senso della famiglia, esattamente come ogni altro Shimamura…
“Lui dov’è?”
“Comodamente seduto in elicottero, sulla spiaggia di una deliziosa isoletta deserta qui vicino…”
Sospirai, sentendo lo stomaco smettere di contorcersi per un po’… avevo bisogno di rivedere Jet, una grossa dose della sua imperturbabilità mi avrebbe davvero fatto comodo...
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Frugai tra gli stracci che avevo in mano, individuando una specie di prendisole bordeaux ed un bikini nero… non esattamente i miei colori, ma in mancanza di una boutique e di biancheria intima pulita, sarebbero andati più che bene… portai i vestiti al naso e riconobbi profumo di crema solare e cocco… odoravano di vacanze, pensai, come se fossero stati indossati durante un romantico viaggio alle Hawaii… iniziai a pensare alla donna cui potessero appartenere e lentamente unii i pezzi del puzzle, sommando quell’odore e quei vestiti ai cosmetici che avevo intravisto nel bagno… la barca doveva appartenere a qualcuno, qualcuno che senza dubbio non era Joe Shimamura... lentamente, ma chiaramente, iniziai a tracciare le possibili conclusioni, trovando risposta ai miei precedenti interrogativi… l’assassino aveva rubato la barca, togliendo di mezzo i legittimi proprietari… dopodiché aveva navigato il più lontano possibile dal punto d’impatto dell’aereo… o forse i suoi fratelli l’avevano presa per lui, lasciandola a portata di mano dopo il volo in paracadute… senza dubbio qualcuno ci aveva rimesso la vita…
Il suono distante di una risata mascolina mi riportò alla realtà… sospirai infilandomi velocemente costume ed abitino, poi tesi le orecchie al piano di sopra… non riuscivo a cogliere le parole precise, ma si trattava senza dubbio di una chiacchierata amichevole... quello sarebbe stato il momento migliore per tentare una nuova fuga… peccato che tutt’intorno ci fosse solo acqua e non avessi la minima possibilità di riuscire a nuotare per miglia fino alla terra ferma… ascoltai ancora una risata e mi decisi a muovermi, cercando di spiare il nuovo venuto… suonava contento dopotutto, forse non mi avrebbe uccisa immediatamente…
Presa dall’urgenza di capire almeno che faccia avesse, cercai di sbirciare senza far rumore, sollevando la testa al di sopra della scaletta… sembrava solo un ragazzo, notai, più giovane del «mio assassino» ma dai tratti molto simili... capelli chiari e lisci, occhi castani dal taglio vagamente orientale, pelle rasata, tratti delicati, non fosse stato per le folte sopracciglia ed il sorriso beffardo…
Il ragazzo colse la mia presenza quasi immediatamente, interrompendo l’ultima frase a metà e piantandomi gli occhi addosso come macigni… quello non era certo lo sguardo di un ragazzino innocente…
Sollevò le ciglia senza distogliere l’attenzione da me…
“Oh Oh Oh!”
Esclamò, come una specie di raccapricciante Santa Klaus… i suoi piedi si mossero verso la scala, i passi intervallati da sguardi divertiti ed ammiccanti verso l’assassino…
“Cosa abbiamo qui?”
Mi afferrò per il vestito e mi obbligò a venir su per gli scalini… mi esaminò dalla testa ai piedi per poi rivolgersi all’altro con un gran sorriso…
“Hai preso un souvenir?”
Lui restò serio…
Il ragazzo sollevò le mani incapace di togliersi l’espressione compiaciuta dalla faccia…
“Tranquillo fratello, non sto giudicando! Lo so che un uomo ha bisogno di tenere le mani occupate in certe situazioni...”
Il suo tono si era fatto allusivo, tornando a guardarmi... trattenni il respiro sentendomi scrutata come sotto ai raggi x… quella era di certo un’abilità che gli Shimamura avevano in comune, ciononostante lo sguardo del più giovane era forse ancor più inquietante… e perverso…
Lui si avvicinò, passandomi due dita tra i capelli, portandosi una ciocca al naso… inspirò profondamente…
“Ha un buon odore…”
Commentò, rivolto al fratello come se neanche ci fossi... strinsi le labbra e cercai di divincolarmi dalla sua presa…
“E non l’hai ancora domata a quanto vedo...”
Quello ridacchiò al mio tentativo, afferrandomi con forza all’altezza del braccio. Serrò la presa e mi strattonò verso di sé…
“Sta’ buona dolcezza…”
Ordinò, serio di colpo…
Sgranai gli occhi avvertendo la sua mano addosso e le dita che giocherellavano col laccetto del mio bikini…
“Ora basta…”
L’assassino si decise finalmente a parlare… l’altro mollò la presa su di me pur restandomi accanto…
“Oh Joe…”
Sospirò
“…sempre così restio a condividere! Toglie punti al tuo fascino, sai?”
“Ho detto basta Jonah...”
Il tono ancora fermo, gli occhi puntati sul fratello come un’aquila… l’altro sollevò le mani allontanandosi finalmente da me…
“Come vuoi…”
Sospirò, passando i palmi sul colletto della camicia…
“…ad ogni modo, cosa vuoi farne di lei? Come stavo dicendo poc’anzi Jet attende…”
Divenni di pietra… il momento era arrivato ed un sospiro mi sfuggì dalle labbra… un assassino appassionato di coltelli ed il suo terrificante fratellino stavano decidendo della mia vita, le mie chance di sopravvivere erano praticamente inesistenti…
“Se preferisci me ne occupo io...”
Si offrì «gentilmente» Jonah, pronto a tornare sui suoi passi con espressione del tutto ordinaria…
Lui chiuse i pugni…
“No…”
“Ok, pensaci tu allora...”
“Non la uccideremo…”
Sentenziò… sia io che il fratello gli puntammo gli occhi addosso come se avesse appena detto qualcosa di assurdo…
“Non ancora almeno...”
Si sentì di precisare, rivolgendosi esclusivamente a suo fratello…
“Era sull’aereo… sapeva chi ero e perché mi trovavo lì…”
L’altro arricciò il naso…
“Credi sia una spia? La spia di Smirnov magari?”
Mi morsi il labbro per non parlare… non avevo idea del perché l’assassino stesse mentendo, o se davvero fosse convinto di quello che stava dicendo, ma se ciò voleva dire restare in vita ancora un giorno, certo non avrei commesso l’errore di proclamarmi del tutto innocente…
Joe sollevò le spalle, serio ed impassibile…
“Non lo so ancora… la ragazzina non è stata molto disponibile al dialogo, ma sono convinto che presto canterà...”
Jonah non trattenne il sorriso…
“Conoscendo i tuoi modi fratello, non ho dubbi!”
Digrignando i denti, prese a sfregarsi le mani…
“Bene…in tal caso prendi pure il tuo nuovo cucciolo e andiamocene… tutta questa umidità mi rovina i capelli...”
Il più giovane saltò giù dalla barca con agilità, senza nemmeno barcollare, mentre tornava alle redini del motoscafo che l’aveva portato fin lì…
Io e Joe ci guardammo di nuovo senza dir nulla… davvero credeva che fossi una spia? O aveva qualche altra incomprensibile ragione per portarmi con sé? Lui abbassò gli occhi per primo.
“Muoviti Joe! Non abbiamo tutta la notte!”
Indicò al di là del parapetto con un rapido cenno della mano…
“Avanti…”
Schiusi le labbra senza emettere suoni… avrei potuto chiedergli di lasciarmi lì, ma a che scopo?
Guardai davanti a me e strinsi il metallo tra le dita mentre scivolavo sull’altra imbarcazione… così vicina all’acqua, completamente avvolta dall’oscurità e dai suoi rumori, strinsi le braccia al petto… Joe mi fu subito dietro, mollando poi la cima che teneva lo scafo legato alla barca… si sedette accanto a me, ma non mi guardò più, per tutto il tempo di quel viaggio…
Parte 5
“Eccoci qui fratello! Come vedi, contrariamente alle tue supposizioni, sono perfettamente capace di portare a termine un compito...”
Jet non mosse gli occhi dal bersaglio mentre il più giovane dei miei fratelli prendeva posto sull’elicottero… le sue labbra pronunciarono una risposta, ma il resto del suo viso non si mosse nemmeno…
“Trovi sempre il modo di stupirmi Jonah...”
Rimase immobile con le braccia incrociate sul petto, seguendo i nostri movimenti…
Io stavo ricambiando i suoi occhi in modo serio, ma coscienti entrambi che dietro quelle maschere stavamo sorridendo… avrei volentieri abbracciato Jet, se non avessi avuto l’urgenza di trovare una scusa per il mio «bagaglio a mano»…
“Devo essermi perso qualcosa Joe…”
Esordì, lasciando le braccia distese lungo i fianchi, lo sguardo rivolto alla ragazza…
Sollevai gli angoli della bocca…
“Grazie per il trucco dell’aereo fratello…”
Jet rimase impassibile…
“Hai detto Volo con l’Aquila, il che indicava gli Stati Uniti… e non è stato difficile cogliere il tuo sottile riferimento alla libertà, vedi statua della libertà, vedi New York… da lì in poi non ho dovuto fare altro che un paio di telefonate…”
Prese fiato…
“…e adesso…”
Inclinò lentamente la testa a sinistra…
“…potresti gentilmente spiegarmi l’inaspettata presenza di quest’esausta, senza dubbio incantevole, ma sconosciuta giovane donna?”
Le lanciai un’occhiata veloce…
“Era sull’aereo…”
Esordii... Jet sollevò un sopracciglio…
“E tu l’hai presa?”
“Io non l’avevo mai vista prima, ma lei sapeva chi sono… sospetto sia una spia...”
Jet tornò a guardare la ragazza…
“Spia?”
Sospirai…
“Esatto… ho sentito che il tuo amato suocero era a Johannesburg e quindi ho fatto due più due…”
Jet inspirò profondamente, non lasciando trasparire alcuno dei suoi pensieri…
“Una spia di Alexei quindi…”
Stavolta si mise ad osservare la ragazza con più attenzione, tracciando due lenti passi verso di lei… Françoise cercò di guardare altrove… Jet curvò la schiena verso di lei, avvicinando il viso alla sua persona, quasi volesse sentirne l’odore, quasi potesse riconoscere la Russia dal suo profumo… alzò la mano destra, afferrando delicatamente il mento di lei tra pollice ed indice, sollevando il suo sguardo senza alcuna fretta…
“E dimmi…”
Iniziò, gettando i suoi occhi azzurri in quelli di Françoise…
“…questa dolce creatura ha anche una voce? Come ti chiami?”
La vidi annaspare nell’aria per qualche secondo…
“Françoise…”
Jet mosse piano le dita dal suo mento alla sua gola, sfiorando dolcemente il punto preciso in cui il sangue pulsava freneticamente sotto la pelle…
“Non credo che sia una spia…”
Si rivolse a me interrompendo ogni contatto, fisico o visivo, con Françoise...
“Sei sicuro? Come faceva a sapere allora?”
Jet si mosse verso l’elicottero…
“Non lo so… chiedilo a lei, dopodiché sbarazzatene…”
“Mi ci vorranno tempo e mezzi fratello...”
Jet si bloccò sui suoi passi, voltandosi in un unico, fluido movimento…
“Questo implica forse il fatto che vorresti portarla con noi?”
“Voglio solo arrivare in fondo alla questione…”
Jet si avvicinò a me, stavolta rigido e serio…
“Stai quindi sottintendendo che vorresti portare una completa insignificante sconosciuta a casa nostra?”
La sua voce sottolineò le ultime parole, implicando l’assurdità del solo pensiero…
Strinsi i pugni…
“Me ne occuperò io…”
Jet sollevò le spalle tornando a voltarsi…
“Occupatene ora…”
Alzai il tono di voce…
“E da quando sei tu che dai gli ordini fratello?”
Jet emise una specie di sospiro, il suono della sua esasperazione…
“Non lo so fratello… forse da quando ho dovuto tirarti fuori dai guai per l’ennesima volta? Sono stanco di ripulire i tuoi casini…”
“I tuoi casini vorrai dire… se fossi stato in grado di tenerti tua moglie tutto questo non sarebbe successo…”
Jet piombò su di me, rapido ed incombente, come se volesse spaccarmi la faccia a suon di pugni… non si mosse più una volta davanti al mio viso, gli occhi stretti in due fessure come se potesse cavarmi l’anima dalle orbite…
Rimasi immobile, improvvisamente stavo davvero desiderando di picchiare mio fratello, non sapevo nemmeno bene perché…
Jonah saltò giù dall’elicottero con agilità e ci raggiunse…
“Dateci un taglio…”
Ordinò con noncuranza, richiamando l’attenzione di Jet…
“La ragazza gli piace ok?...” sorrise divertito “…lasciagliela portare, tanto sappiamo bene che se ne sarà già stancato tra un paio di giorni…”
Jet mi guardò di nuovo, nessun segno di emozioni sul suo viso…
“Molto bene…”
Esordì riprendendo la sua postura composta…
“…andiamo via da qui...”
Stavo sorridendo per la prima volta dopo giorni interi… amavo i miei fratelli, il solo tipo di amore che conoscevo e che mi era permesso… la famiglia prima di tutto, la nostra unica grande regola, le parole che in ogni momento riecheggiavano nella mia testa… il grande orgoglio e peso dell’essere uno Shimamura… mentre Jonah raccontava della spogliarellista olandese che aveva legato al suo letto qualche sera prima, guardai Françoise con la coda dell’occhio… se ne stava rannicchiata con le braccia strette al petto, gli occhi fissi al suolo… forse l’elicottero le dava la nausea… forse era stremata… forse si era semplicemente arresa… voltai la testa per osservarla meglio… sperai che non fosse questo, che la ragazzina dell’aereo non avesse già ceduto… mi piaceva la sua grinta, il modo in cui mi combatteva, cercando di respingermi e tenermi lontano… volevo che mi combattesse… volevo che mi respingesse…
Atterrammo su quello che doveva essere il tetto di un edificio…
Jet consegnò le chiavi dell’apparecchio ad uno sconosciuto, quest’ultimo, occhiali da sole e giacca nera, pronto a sparire nello stesso cielo da cui eravamo arrivati… Jonah stirò le braccia con una specie di sbadiglio…
“Avrei di gran lunga preferito andare subito a casa… sai com’è.. Jacuzzi, champagne, massaggiatrici cinesi…”
Jet passò le mani sulla giacca del suo completo blu, incredibilmente perfetta anche dopo il volo…
“A tempo debito Jonah...”
Rispose, i suoi occhi chiaramente diretti verso la ragazza… la spinsi più forte verso la scala di servizio, sempre mantenendo il silenzio… doveva essere un palazzo abbandonato, forse una specie di hotel in disuso, almeno a giudicare dal gran numero di porte e dai cartelli verdi che segnavano ogni piano con una grande cifra bianca e le indicazioni per l’uscita di sicurezza… arrivati al numero 3 la trascinai attraverso la porta, lungo un corridoio con la moquette blu…
Aprii per lei una delle tante stanze anonime e la guidai dentro, sempre senza dire una parola… la camera era piuttosto piccola, con la stessa moquette blu e la tappezzeria beige alle pareti… il poco mobilio sembrava essere lì dagli anni settanta, anche se le lenzuola bianche sul letto erano brillanti e pulite…
La porta si aprì di nuovo ed entrarono anche i miei fratelli…
Jonah si piazzò in faccia il solito sorrisetto, indicando il letto con un cenno della mano…
“Direi che qui hai tutto quello che ti serve Joe...”
Sospirai scuotendo appena la testa, Jet si avvicinò di nuovo alla ragazza, porgendole una bottiglietta d’acqua comparsa dal nulla…
“Ho immaginato che potessi essere assetata…”
Lei allungò la mano per accettare l’offerta, ma le tolsi la bibita dalle dita prima ancora che potesse afferrarla davvero…
Inclinai la testa verso mio fratello maggiore…
“Bel tentativo Jet...”
Gli ci era voluto un secondo di troppo per capire, anche se la natura di quell’offerta era più che ovvia… Jet aveva avvelenato l’acqua, impaziente all’idea di liberarsi della mia ragazza dell’aereo… mia… ma perché continuavo a pensarla mia? Sollevai un sopracciglio rivolto a mio fratello, il mio sguardo diceva chiaramente che avrei deciso io come e quando liberarmi dell’ostaggio… Jet non mosse un solo muscolo del viso, mi dette le spalle e prese la porta… dietro di lui Jonah ridacchiava ancora tra sé e sé…
“Buon divertimento!”
Qualche secondo perché il rumore dei loro passi nel corridoio svanisse e poi il silenzio piombò nuovamente sovrano nella stanza…
“Quindi è questo che vuoi? Lasciarmi morire di fame e di sete?”
La guardai immediatamente, come se solo in quel momento prendessi piena coscienza della sua presenza… svuotai la bottiglietta nel lavandino del minuscolo bagno annesso e tornai da lei…
“Mai… non bere o mangiare mai qualcosa che provenga dalle mani di Jet...”
Lei mi guardò per un secondo cercando di dar senso a quel comando… mi mossi verso la porta…
“Ha la tendenza ad avvelenare le persone…”
Françoise abbassò gli occhi senza rispondere nulla…
“Ti porterò io qualcosa da bere e da mangiare…”
Aggiunsi… uscii dalla stanza chiudendomi la porta dietro le spalle… lo scatto della chiave nella serratura secco e netto…
Quando, un po’ di tempo dopo, riaprii la porta lei era immobile nella stessa posizione di quando l’avevo lasciata, voltando solo la testa per avere la non necessaria conferma che fossi io... le porsi una bottiglia e lei l’afferrò senza bisogno di inviti, portandosela immediatamente alle labbra…
Rimasi lì a guardarla, totalmente assorta in quel gesto naturale, ignorando le gocce che sfuggivano alle sue labbra colando giù lungo il collo, bagnando il vestito troppo grande che aveva addosso… beveva come se quella fosse la sua ultima possibilità, come se non avesse mai assaggiato nulla di più buono… ed io me ne stavo lì, incapace di distogliere lo sguardo, assorbito dalla sua aura… la ragazza aveva qualcosa, una sorta di strano potere, l’abilità di mutare davanti ai miei occhi, un momento terrorizzata e un momento dopo splendente, forte, come se nulla potesse toccarla…
Si fermò per respirare, chiudendo gli occhi per un attimo…
“Sai che non sono una spia…”
Esordì…
“…perché mi hai portata qui?”
Fissai la parete davanti a me…
“Perché mi hai salvata dall’aereo?”
La seconda domanda pronunciata con meno decisione…
“Non lo so...”
Risposi, sorpreso dalla mia stessa onestà… ovviamente non potevo dirle che lei mi piaceva, tanto meno che, in qualche incomprensibile modo contorto, sentivo di averne bisogno… la ragazza dell’aereo era bella, coraggiosa… normale… inspirai dandole le spalle dopo aver poggiato un sacchetto del take-away sul comodino… naturalmente, dopo aver saputo il suo nome, avevo scovato ogni possibile fonte alla ricerca di informazioni sulla ragazza… ventidue anni, nata nei sobborghi di New York, una vita del tutto ordinaria fino a sei anni prima… entrambi i genitori morti in un incidente d’auto, era andata a vivere in Alaska con sua zia… ora viveva di nuovo a New York da due anni, pagando l’affitto di un bilocale a Chinatown con un lavoro da cameriera di caffetteria… una donna comune, una boccata d’aria fresca nella mia vita disordinata e solitaria… tutto quello che non avevo e non avrei mai potuto avere…
Non potevo dirle che mi piaceva guardarla, immaginandola dietro un bancone a servire caffè o sdraiata sul divano davanti alla tv… o nuda sotto la doccia… o stesa su un tavolo con me sopra… no, non potevo…
Lei continuò…
“Cosa siete quindi… mafiosi? Killer su commissione? Stupratori?”
Tornai a guardarla, sul mio viso un accenno di sorriso…
“Due su tre, tesoro…”
Aggrottò le sopracciglia… mi mossi lentamente verso di lei, coprendola a poco a poco con la mia ombra…
“Quali?”
Chiese… sorrisi beffardo, di nuovo calato nella mia veste…
“Uccido le persone… e mi piace anche…”
La vidi trasalire…
“Ma quando si tratta di donne…”
Presi a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi…
“…di certo le preferisco consenzienti… e vive…”
Lei si sforzò di prendere un respiro profondo, cercando di indietreggiare il più possibile senza arrivare a sdraiarsi sul letto…
“Io posso anche essere viva, ma non sarò consenziente...”
Il ghigno sul mio viso si aprì completamente…
“Confesso che avevo avuto tutt’altra impressione…”
Sussurrai… davanti ai miei occhi ancora chiara l’immagine di lei, calda e tremante, pronta ad essere presa…
Sollevò il mento…
“Stavo solo cercando di salvarmi la vita…”
Inclinai la testa, indugiando un paio di secondi prima di poggiare un ginocchio sul letto e prendere posto accanto a lei…
“Stai mentendo…”
La sicurezza stampata sul mio viso obbligò Françoise a guardare il soffitto… mi feci più vicino, assorbendo ogni minimo dettaglio del suo volto, cercando conferma ai miei pensieri in ogni più piccolo movimento dei suoi lineamenti…
“Tu mi vuoi…”
Lei riprese immediatamente contatto con i miei occhi…
“Dal primo momento in cui ci siamo incrociati sull’aereo...”
Aggiunsi, senza mai interrompere il nostro contatto di sguardi… le pupille della ragazza si dilatarono di colpo, dimostrazione che avevo colto nel segno… avrei voluto sorridere, congratularmi con il mio ego, ma preferii continuare a fissarla, scavandole dentro, ormai troppo perso per risalire rapidamente a galla…
Lei allungò le mani sul mio torace, spingendomi via…
“Sta’ lontano da me…”
Mi lasciai guidare, per nulla segnato dal suo rifiuto anzi, quella era probabilmente la parte che preferivo, il piacere agrodolce del sentirsi negare ciò che si desidera... il rigetto presupponeva, infatti, che avrei goduto il doppio nell’ottenerlo...
Mi alzai in piedi, avvicinandomi lento alla finestra, sbirciando il mondo tra le sbarre, tanto simili a quelle di una prigione…
“Èpiuttosto difficile capirti ragazzina...”
Silenzio…
“Un attimo sembra che tu non abbia ragioni per vivere, che la tua stessa esistenza non abbia per te alcuna importanza… e l’attimo dopo sei pronta a tirar fuori gli artigli e graffiare…”
Sorrisi tra me…
“…non che non mi piacerebbe sentire le tue unghie conficcarsi nella mia schiena…”
Lei balzò in piedi…
“È solo questo che vuoi, giusto?”
Mi voltai, genuinamente spiazzato…
“Bene…”
Mosse due passi decisi verso di me, afferrando decisa l’orlo del suo prendisole, pronta a sfilarselo senza troppa grazia…
“Avanti…”
Continuò, buttandolo a terra con forza…
“Fa’ ciò che vuoi…”
Riprese fiato a stento
“…togliamoci il pensiero…”
Avvertii ogni sfumatura di rabbia ed acidità nella sua voce, sentendomi colpito per la prima volta… mi presi il tempo di guardarla ancora una volta dalla testa ai piedi, apprezzando ogni centimetro scoperto della sua pelle candida… stavamo bruciando entrambi in quella piccola stanza, lei di collera ed io di… desiderio? Inspirai profondamente, cercando di capire cosa mi bloccasse dal prenderla, sbatterla al muro e farle rimangiare quell’impeto di sfacciataggine… me ne stetti lì, immobile, ad aspettare che Françoise per prima divenisse cenere… le mie mani ed i miei piedi avrebbero voluto muoversi per conto loro, ma qualcosa dentro mi tenne inchiodato al pavimento, qualcosa che uno come me, totalmente sconosciuto ai sentimenti e alle emozioni, non riusciva a decifrare…
“Lo stai facendo di nuovo…”
Riuscii infine a parlare, ricomponendo a fatica il mio autocontrollo, completamente focalizzato sui soli occhi della ragazza…
“Come se nulla avesse importanza…”
In quel momento la ragazzina dell’aereo era come una moneta, un moneta che gira veloce su se stessa, mostrando ininterrottamente le sue due facce ed io ero quello che stava a guardare, cercando di resistere all’urgenza di bloccarla e scoprire quale fosse il suo vero volto… qualcosa in quella donna mi stava incantando contro la mia volontà… dovevo fare in modo che smettesse…
Fu lei per prima a mollare lo sguardo, cercando invano di sprofondare nel pavimento… raccolsi l’abito bordeaux e glielo porsi...
“È ora che tu prenda una decisione…”
Lei afferrò piano il tessuto...
“…Vuoi vivere o vuoi morire?”
Con un sospiro sarcastico si rivestì…
“Come se fossi io a decidere...”
La catturai con un’occhiata seria, bloccandola a metà del suo gesto…
“Certamente sei tu a decidere… siamo noi i soli artefici del nostro destino…”
Mi avvicinai nuovamente alla finestra, svuotato dei pensieri lussuriosi di poco prima… seguii il profilo delle nuvole sopra New Orleans…
“Cosa faresti se adesso aprissi quella porta e ti lasciassi andare?”
Dissi impassibile…
“Dove andresti? Cosa cambieresti se riavessi la tua vita?”
Aggiunsi a voce bassa, come se stessi parlando con un interlocutore immaginario piuttosto che con lei…
“Londra…”
Rispose tornando a sedersi sul bordo del letto…
“Avrei sempre voluto andarci…”
Mi voltai a guardarla, un nuovo e diverso luccichio nei suoi occhi…
“Gran bella città… artistica… eccentrica… affascinante…”
“Ci sei stato?”
La domanda le sfuggì dalle labbra spontanea, come se la nostra fosse diventata una semplice conversazione. Sollevai un angolo della bocca in un mezzo sorriso…
“Non credo ci sia a questo mondo un posto dove non sono ancora stato…”
Ed era vero… dall’Europa all’Australia… dai deserti del Nord Africa a quelli del Medio Oriente… dalle stravaganze giapponesi agli intensi profumi di Cuba…
La suoneria trillante del mio telefono interruppe quell’attimo di silenzio… le voltai le spalle e mi portai il cellulare all’orecchio…
“Padre...”
Risposi, quell’unica parola pronunciata tra le labbra quasi fosse tagliente… il mio interlocutore parlò senza bisogno di risposte per una buona manciata di secondi…
“Bene…”
Fu l’unica altra cosa che dissi prima di chiudere la comunicazione… guardai di sfuggita Françoise come se la sua presenza avesse perso improvvisamente d’interesse… mi avviai verso la porta in silenzio… me ne stavo andando senza dire niente…
“Mi lasci qui?”
Una domanda pronunciata con un brivido d’agitazione… le rivolsi un ultimo sguardo, la mia mente era già ampiamente fuori da quella stanza e da quell’edificio…
“Ho delle cose da fare…”
Lei sospirò…
“Non voglio stare qui… chiusa in questo buco ad aspettare di morire…”
Sollevai un sopracciglio…
“Cosa vorresti? Che ti portassi con me?”
Il tono a metà tra il divertito e l’assurdità…
“Tu sei solo un ostaggio… una prigioniera… una preda…”
Indugiai sulla soglia, stringendo la maniglia con tutta la mia forza…
“E credimi… se hai già paura di me, allora mio padre è davvero l’ultima persona al mondo che vorresti incontrare…”
Conclusi prima di sparire sbattendomi la porta dietro le spalle…
Parte 6
Il cancello della villa si aprì con il solito fischio… il viale proseguiva su per la collina in curve lente e sinuose… le palme sventolavano piano, lasciando intravedere il grande edificio in cima alla strada… casa, così avrebbe dovuto chiamarsi…
Respirai una lunga boccata d’aria, l’umidità del Mississippi mi era già addosso… lasciai scorrere gli occhi sui muri color mattone, interrotti dalle grandi finestre bianche in stile vagamente inglese, completamente fuori dall’impronta europea di New Orleans… al primo piano la grande balconata in ferro battuto era già coperta di fiori e foglie verdi, mentre il colonnato bianco del portico risplendeva al sole, candido e pulito come sempre…
Mia madre avrebbe adorato quella casa, se solo avesse potuto godersela per un po’…
Il suono dei miei passi sul parquet scuro rimbombò nel grande soggiorno vuoto… nessun segno del passaggio di Jonah e Jet…
Facendomi coraggio, proseguii per il lungo corridoio fino alla porta chiusa dello studio... Affrontare mio padre era quella parte di vita che non avrei mai rimpianto se fossi rimasto chiuso in una cella per il resto dei miei giorni… potevo già sentire il suono acido, intriso di superiorità, della sua voce… sbattei piano le nocche contro il legno…
“Avanti…”
Varcai la soglia fissando il pavimento, cercando di ritardare al massimo il momento in cui il caro papà mi avrebbe puntato gli occhi addosso, con chiaro e palese disappunto…
“Vieni avanti Joe…”
Ed eccolo lì… Jack Shimamura III, comodamente seduto sulla sua poltrona di pelle, seminascosto dietro la scrivania in mogano… la giacca nera rispecchiava il suo solito umore, mentre la barba, lasciata lunga, ma perfettamente curata, copriva a metà il ghigno sul suo viso…
“Felice di riaverti a casa figliolo…”
Sarcastico… era solo sarcastico… strinsi i pugni cercando di frenare la lingua, quel trattamento mi era riservato dal giorno della nascita, ormai avrei dovuto esserci abituato… il Signor Shimamura era tutto fuorché un padre amorevole…
Dopo aver ereditato il nome ed il business di famiglia, si era concentrato esclusivamente su quest’ultimo, tentando di ampliare gli orizzonti del loro potere… le origini della casata erano da ricercare in Giappone mischiatesi pian piano alle altre differenti branche della malavita del nuovo mondo…
L’originale Jack Shimamura, se questo era stato il suo vero nome, aveva messo piede sul suolo americano all’alba del primo conflitto mondiale, approfittando della confusione generale per piantare il seme della loro famiglia… inizialmente il piccolo impero criminale aveva raccolto il disappunto di poveri ed analfabeti, dedicati per lo più a rapine ed estorsioni, ma col passare degli anni le tecniche erano state affinate, ed il loro bacino d’azione largamente ampliato…
Oggi Jack Shimamura III teneva le redini di un’intera organizzazione, traendo profitti non solo dai più comuni illeciti, ma per lo più dal riciclaggio di denaro, dal contrabbando, dal gioco d’azzardo e dal traffico di sostanze… non vi era settore in cui non avesse ficcato le mani almeno una volta… anni di scontri ed alleanze l’avevano infine portato a vantare la più grande rete di collaborazione criminale mondiale…
Ciò non vuol dire che non avesse nemici…
Aveva molti nemici…
La grande furbizia ed intelligenza di questo piccolo uomo stava tutta nel non sporcarsi mai le mani in prima persona… c’era sempre qualcun altro che poteva fare il lavoro sporco al suo posto, affiliati, mercenari, corrotti, professionisti del crimine, i suoi figli… già, i suoi quattro bei ragazzi, i quattro soldati meglio addestrati…
Ognuno di noi era stato cresciuto con questo scopo, perfezionato nelle proprie personali inclinazioni, a servizio della famiglia…
“C’è già tuo fratello a marcire in galera…”
Riprese…
“…un altro Shimamura dietro le sbarre sarebbe stato a dir poco inopportuno...”
Gracchiando quelle parole, si sollevò dalla poltrona e raggiunse il mobile bar per versare due dita di Scotch nei bicchieri…
“…qualcuno potrebbe pensare che i miei figli non siano degni di portare il mio nome…”
Lui… era lui il primo e forse l’unico a pensarlo…
Cercai con tutte le mie forze di frenare i nervi, buttando giù in un solo sorso l’alcool che mio padre mi aveva offerto… dovevo solo far finta di non sentire… dovevo solo fingere… D’altra parte quel discorso aveva già raggiunto le mie orecchie milioni di volte, replicandosi e ripetendosi con toni e parole ogni volta diversi… non sarei mai stato abbastanza, non per il giudizio del grande Jack Shimamura III…
C’era una ragione dopotutto, una valida ragione perché lui mi odiasse, ed un’altra altrettanto buona per non avere alcuna considerazione del proprio primogenito… mio fratello maggiore era rinchiuso in una prigione di massima sicurezza in Giappone e mio padre non aveva ancora mosso un dito per liberarlo…
Troppo debole… troppo sensibile… troppo amato… così lo considerava…
Sin dal momento in cui aveva sposato mia madre, Jack aveva deciso che il loro primo figlio sarebbe stato null’altro che un passo obbligato… è nella natura delle donne infatti amare la loro prima creatura con un’intensità senza controllo, che non lascia spazio al dovere e alla disciplina… tuttavia, troppo amore rende questi figli deboli, fragili, in altre parole inutilizzabili… Jack sapeva che sua moglie non avrebbe mai rinunciato al suo primo cucciolo e così glielo aveva lasciato, facendo finta che nemmeno esistesse… tutto il suo interesse ed i suoi progetti si erano riversati direttamente su Jet... poca sorpresa che fosse il suo soldato migliore…
“È stato Smirnov a far saltare il piano…”
Replicai come dato di fatto, senza la minima intenzione di giustificarmi… non c’era spazio per le giustificazioni in quello studio…
Mio padre mi sventolò la mano davanti alla faccia, come se cercasse di scacciare le mie parole…
“Alexei non è il problema…”
Si voltò di spalle e tornò alla sua scrivania, poggiando i palmi sul legno scuro… trattenni il fiato, spingendo tutta l’energia nei muscoli tesi…
“…tu sei il problema…”
Aggiunse Jack, voltandosi in un movimento fluido e mostrandomi il suo mezzo sorriso…
“La tua incapacità mi è costata parecchie migliaia di dollari figliolo… senza contare lo smacco al buon nome della famiglia…”
Si portò il bicchiere alla bocca, bagnando appena le labbra nel liquido ambrato, spendendo una buona manciata dei suoi preziosi secondi assaporandone l’aroma complesso…
“…ma del resto lo sai, non dovresti nemmeno portarlo il mio cognome…”
Concluse con voce pacata, come se avesse espresso il più naturale e scontato dei pensieri…
Strinsi il pugno attorno al bicchiere, talmente forte da aspettarmi una pioggia di vetri sul parquet da un momento all’altro… quanto avrei voluto spaccarglielo in fronte…
“Vattene adesso…”
Trattenni a stento l’istinto omicida, quello stesso che Jack aveva coltivato in me con tanta devozione… nella mia mente potevo già godere la vista delle interiora di mio padre spalmate per la stanza… girai i tacchi senza proferire sillaba…
“Ah, figliolo?”
Figliolo… di’ quella parola ancora una volta e giuro che ti sbudello, maledetto bastardo…
Gli tesi solo l’orecchio, perché se mi fossi voltato, davvero avrei rischiato di perdere il controllo…
“Non andare troppo lontano… se Mick non paga i suoi debiti entro lunedì, avrai un lavoro da fare…”
Meno male… avrei avuto qualcuno su cui scaricare la rabbia… Mick non avrebbe mai pagato ed io mi sarei sfogato facendolo a pezzi… dovevo solo resistere fino a lunedì…
No… non sarei mai riuscito a trattenermi tanto…
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Ero seduta sul letto, rimirando le briciole del panino che avevo divorato poco prima… il mio corpo stava ancora ringraziando…
La porta della stanza si aprì di colpo, sbattuta con violenza alle spalle dell’assassino…
Joe aveva gli occhi annebbiati, i capelli scompigliati e l’espressione sconvolta…
Balzai in piedi, spalancando gli occhi di fronte a tanta rabbia malcelata… ogni millimetro della sua persona trasudava collera, cattiveria, violenza…
Indietreggiai di un passo, valutando l’idea di dire qualcosa…
Lui mi fu addosso prima che potessi parlare, afferrandomi per le spalle e sbattendomi al muro… rimbalzai contro la parete fredda, incapace di opporre resistenza a quell’attacco inaspettato… le iridi scure di Joe erano sparite, totalmente fagocitate dalle pupille dilatate, frutto dell’alcool in cui aveva cercato di annegarsi…
Il suo peso mi inchiodò contro l’intonaco, mentre le sue mani tiravano su il vestito senza alcuna cerimonia… usando i piedi mi obbligò ad aprire le gambe, emettendo una specie di grugnito al mio tentativo di resistenza… premette l’avambraccio contro la mia gola, forzandomi al muro mentre lui, con la mano libera, slacciava la cintura…
Presi a dimenarmi, stringendo le unghie attorno al braccio che mi impediva il respiro, facendolo sanguinare, cercando disperatamente di strapparlo via… l’accenno di umanità che avevo intravisto sembrava sparito, sepolto dietro una furia senza volto…
Afferrandomi ancora una volta con decisione, mi spinse sul materasso…
“No… ti prego no…”
Ignorando completamente la richiesta si buttò sopra di me, per nulla disturbato dai miei pugni sulla schiena…
Tirai indietro la testa, cercando di evitare la sua bocca… con un movimento deciso di bacino aveva preso posto tra le mie gambe, strusciandosi con violenza contro di me...
Cercai di respingerlo ancora una volta, provando in ogni modo a farmi sentire… tutto ciò che uscì dalla mia bocca fu una lunga scia di no, alcuni urlati, altri appena sussurrati…
Riuscii infina a portare le mani al petto dell’assassino e spinsi più forte che potei… il peso di lui oscillò appena… chiudendo gli occhi portai i palmi alle sue spalle e lo chiusi in una specie di abbraccio stonato…
“Ti prego fermati Joe...”
Lui sembrò paralizzarsi di colpo…
Sospirai… le parole erano uscite da sole una dietro l’altra… la scelta di chiamarlo Joe spinta dalla naturale ed istintiva necessità di abbattere qualche barriera in un momento rubato, ma comunque intimo…
Joe riprese parte del controllo, rimase nella sua posizione di comando, spingendo tutta la sua virilità contro di me, rendendo ben chiaro che il momento non era sfuggito… sollevando una mano, strinse il mio viso tra le dita e mi guardò dritta negli occhi…
“Se non mi lasci fare questo, ho paura che potrei farti male davvero…”
Ripresi fiato, scrutando quegli occhi velati… parte della rabbia era scemata, lasciando spazio ad una luce scura, più difficile da decifrare… era come se il suo fosse un bisogno, non fisico, ma spirituale…
Mossi le dita e sentii i suoi muscoli contratti sotto i polpastrelli… non c’era fibra in lui che non fosse tormentata…
In questo eravamo più simili che mai…
Sbattei le palpebre lentamente, portando piano le mani fino al suo polso…
“Non così…”
Sospirai, spingendo delicatamente via la mano che mi teneva il viso…
“…solo non così…”
Ripetei, mentre lui piantava i gomiti ai lati della mia testa, lasciando che fossimo faccia a faccia…
Mi morsi piano il labbro, sentendo che qualcosa stava iniziando a muoversi anche dentro di me… feci forza sugli addominali e mi tirai su, abbastanza da sfiorare le labbra dell’assassino con le mie, stavolta in un gesto lento e delicato… il sapore deciso della sua bocca non mi sembrò più tanto spiacevole…
Lui ripeté il mio gesto ed io risposi al bacio, muovendomi ad un ritmo pacato, riportando piano la schiena sulla coperta, trascinandolo giù con me...
L’assassino affondò nella mia bocca ed io spinsi impercettibilmente sulle sue spalle attirandolo a me, perdendomi in un bacio morbido e caldo, finalmente degno di quel nome…
Lui lasciò scorrere la mano sul mio collo, sulle spalle e poi sul seno, passando delicatamente il pollice sulla parte più sensibile… risposi con un leggero colpo di reni, sorpresa quanto lui della facilità con cui il mio corpo sembrava rispondergli… mi staccai dal bacio per riprendere aria ed infilai le dita sotto la maglietta dell’assassino, svelando una pelle liscia e calda, avvolta su muscoli forti e contratti…
L’azione aumentò presto di ritmo, trovando la mano di Joe sul mio stomaco scoperto, scosso da brevi respiri affannosi… il movimento continuò inesorabile, fin quando le sue dita riuscirono ad infilarsi sotto i confini del bikini… sussultai, quel contatto inaspettatamente piacevole, come se lo avessi atteso da tempo…
Inarcai la schiena schiudendo le labbra… avrei dovuto odiarlo, ma non potevo non ammettere a me stessa che nessuno mai mi aveva toccata in quel modo… avevo dentro solo le sue dita e già mi sentivo sul punto di esplodere…
Lo sentii muoversi, spostando il peso del corpo su un solo ginocchio… l’inconfondibile rumore della zip riempì quel secondo di silenzio… rimasi a guardarlo, persa ancora una volta nello strazio dei suoi occhi… gli accarezzai piano il viso, buttando giù un altro mattone dall’enorme muro tra noi… lo sentii spostare il costume con la punta delle dita ed entrare in me… chiusi gli occhi, stringendo d’istinto i muscoli…
“Apri gli occhi…”
Mi riprese lui, con voce bassa, ma decisa… forse aveva bisogno di guardarmi in quel momento, bisogno di capire dai miei occhi se lo stessi odiando, se lo avrei respinto, se avessi immaginato o desiderato di essere in un qualsiasi altro posto piuttosto che lì, sotto di lui…
Quella consapevolezza spezzò la dolce stasi del nostro avvicinamento… l’assassino allontanò da sé le mie mani e le immobilizzò al materasso con le sue sopra, facendo forza sulle ginocchia per aumentare il ritmo delle sue spinte… nascose il viso nell’incavo del mio collo ed io chiusi di nuovo gli occhi, godendo allo stesso tempo del contatto dei nostri corpi e dei suoi gemiti di piacere, ovattati dalla posizione, ma chiari e continui, come una sorta di sensuale canzone a far da sottofondo…
Lui mi strinse alla vita, attirandomi a sé, rendendo quel contatto il più profondo possibile… si tirò su per guardarmi ancora, osservando le mie reazioni ad ogni spinta…
Incapace di contenersi ancora, premette tutto se stesso dentro di me, congelando ogni altro movimento…
Io ero rimasta immobile insieme a lui, con le palpebre ancora calate e le mani tremanti, casualmente poggiate sui fianchi dell’uomo che mi aveva appena posseduta…
Quello era un momento eterno… da lì in poi tutto sarebbe stato nuovamente un casino…
Joe rotolò piano accanto a me, tirando contemporaneamente giù la maglia e su la zip dei jeans… sentii lo stesso immediato bisogno di coprirmi, già convinta che non avrei pronunciato parola… se avessi detto qualcosa, qualsiasi cosa, l’imbarazzo, la vergogna e forse il rimorso, mi avrebbero assalita, facendomi desiderare di sparire all’istante…
Lui tornò in piedi, sistemando con nonchalance i propri vestiti…
Mi strinsi nelle braccia, cercando di farmi piccola piccola... i miei muscoli interni stavano ancora cercando di riadattarsi al vuoto, mentre provavo a riordinare le idee… il pensiero di aver fatto l’amore con lui…. o meglio, sesso con lui, mi faceva sentire violata, più in disputa con me stessa che con l’assassino… d’altra parte ero stata proprio io a cedere, a farmi prendere senza resistenze… il fatto che Joe avesse abbassato la guardia, che si fosse comportato più come un uomo che come un carceriere, quello poteva essere un vantaggio per me, giusto? O probabilmente voleva dire tutto il contrario… forse, ottenuto ciò che voleva, non avrebbe più avuto ragioni per tenermi in vita…
Quando Joe si voltò nella mia direzione, il suo sguardo indecifrabile mi provocò un brivido improvviso…
Alzai piano gli occhi…
“Mi ucciderai adesso?”
Domandai in un sussurro... lui parve colpito, addirittura quasi ferito per un secondo… sollevò le sopracciglia…
“Credi davvero che io sia un tale mostro?”
Rispose, restituendomi il punto di domanda… abbassai lo sguardo, prendendomi il tempo di pensarci davvero…
“Io…”
Iniziai incerta, quasi in imbarazzo a quel punto…
“…io non so cosa pensare…”
Masticai le mie stesse labbra…
“Se non vuoi uccidermi… allora perché non mi lasci andare a casa?”
Joe sospirò avvicinandosi di nuovo, sedendosi piano sul letto, accanto a me, ma stavolta ad una distanza ragionevole…
“Non posso lasciarti andare… sai troppe cose di me, della mia famiglia, di quello che faccio…”
“Non dirò niente…”
Lui sorrise…
Restò lì in silenzio, senza bisogno di ribadire il suo no… riempii i polmoni fino all’orlo, guardando in qualsiasi direzione tranne la sua…
“Io non capisco… mi hai salvata… più di una volta, ma…perché?”
Gli occhi di Joe me li sentivo addosso, a differenza di me l’assassino non sembrava affatto a disagio anzi, pareva che a stento riuscisse a trattenersi dal sorridere… non che avesse problemi di autostima, quello era chiaro...
“Io…”
Trattenni il labbro superiore tra i denti, valutando se fosse il caso di pronunciare ad alta voce quella scemenza…
“…io ti piaccio?”
Stavolta lui sorrise davvero…
“Sono uno Shimamura… a noi non piacciono le persone… noi non amiamo… e non teniamo a nessuno… i sentimenti sono solo debolezze...”
Mentre parlava il suo sorriso era scomparso, rimpiazzato da una maschera fredda…
Non hai tutti i torti pensai, ma decisi di tenere la bocca ben serrata… mi ero già resa abbastanza ridicola con l’ultima domanda… annuii in silenzio tornando a fissare il nulla…
Joe si tirò su, cercando qualcosa di interessante al di là delle inferriate…
“Sei bella…”
Esordì senza muoversi…
“…sei forte… hai l’aspetto di un angelo… piaceresti a qualsiasi uomo…”
Concluse, senza dare alla sua voce alcun tono particolare, nulla che potesse far trasparire i suoi pensieri…
Sollevai piano il viso, sorpresa ed indecisa… ero il tipo di ragazza che snobba i complimenti gratuiti, ma quelle poche parole erano riuscite a sfiorarmi, del tutto inattese ed inopportune… gli angoli della mia bocca si sollevarono in un sorriso solamente accennato..
“Grazie…”
Risposi, la voce appena percettibile…
Lui si mosse verso la porta della stanza, ma questa gli si aprì contro prima che arrivasse alla soglia…
Jonah sporse la testa col suo caratteristico sorriso stampato in volto… il pullover blue navy ne sottolineava il contrasto tra pelle chiara e capelli scuri, abbinandosi perfettamente alla finitura cromata della mazza da baseball che stringeva nella mano destra…
Si guardò intorno…
“Ammetto di essere deluso… speravo di interrompere una scena ben più interessante…”
Mi lanciò un’occhiata…
“…tipo lei nuda e tu…”
Guardò suo fratello per un secondo… arricciò il naso ed emise un chiaro segno di disgusto…
“No… tutto sommato meglio così…”
Joe roteò gli occhi al soffitto
“Cosa vuoi Jonah?”
Lui giocherellò con la mazza, passandola da una mano all’altra…
“Come avrai intuito, ho interrotto il mio allenamento settimanale per venirti a prendere…”
“Perché?”
“Indovina chi è arrivato in città?”
Joe divenne la personificazione della concentrazione…
“Smirnov...”
Rispose… più un’affermazione che una domanda… Jonah prese a fissarmi, mentre esponeva la questione…
“La notizia della tua sfortunata dipartita si è sparsa in fretta e pare che il vecchio muoia dalla voglia di offrire le sue personali condoglianze al nostro affranto papi…”
“Non verrebbe mai qui… non per questo…”
Il più giovane riportò gli occhi su Joe…
“Lo so…”
Mosse qualche passo nella stanza prima di riprendere…
“Date le sfortunate circostanze, potrebbe sembrare che la scomparsa di Nataljia e la tua morte rendano pari le nostre famiglie… personalmente però, credo che un trattato di pace sia l’ultimo punto al suo ordine del giorno, direttamente sotto «massacrarci tutti» e «far tornare di moda il colbacco»...”
Joe sospirò, palesemente esasperato…
“Quindi?”
“Se ne occuperà il caro papi… noi ce ne andiamo… veloci come la luce…”
Joe annuì…
Mi guardò… ero rimasta in silenzio per tutto il tempo…
“Bene…”
Aggiunse, pronto a seguire suo fratello in capo al mondo… Jonah si schiarì la voce indicandomi con un gesto della testa…
“Che ne facciamo della tua bambolina?”
Joe non mi guardò neanche…
“Lasciamola qui...”
Spalancai gli occhi… morire di stenti in un vecchio palazzo abbandonato?
Jonah aggrottò le sopracciglia…
“Davvero Joe? Ci metterà almeno una settimana a morire… e non è divertente se non possiamo stare qui a guardare!”
Balzai in piedi d’istinto, nel petto il rumore netto di un’esplosione… per qualche assurda ragione stavo davvero aspettando che lui dicesse qualcosa… Joe restò di spalle, senza pronunciare alcun suono…
Jonah si mosse invece verso di me... sollevò un sopracciglio…
“Di certo è un peccato…”
Esitò per un secondo, mostrando un’espressione vagamente simile alla pietà… sparì immediatamente…
“…ma togliamoci il pensiero!”
Concluse sollevando la mazza sopra la testa per caricare il colpo… spalancai la bocca per urlare, ma nulla ne venne fuori… istintivamente mi coprii il viso con le braccia cercando di indietreggiare… Dio…. avrebbe davvero fatto male…
“Aspetta...”
Eccola… finalmente la voce dell’assassino… Jonah bloccò il gesto a mezz’aria, voltando la testa con indifferenza…
“Cosa?”
Joe dovette girarsi e guardare… mi lasciai cadere sul letto, visibilmente sul punto di svenire o vomitare…
Jonah sfoderò un sorrisetto sardonico…
“Ma non mi dire! ...è davvero così brava a letto?”
Joe scosse la testa…
“Non puoi farlo qui…”
Spiegò…
“…l’ultima volta Carmen ha impiegato tre giorni per togliere il sangue dalla moquette… e credimi Jonah, l’ultima cosa che potrei sopportare adesso è il suo fastidiosissimo accento spagnolo nelle orecchie…”
Jonah corrugò la fronte…
“Sono d’accordo…”
Concluse tirando giù l’arma…
“Dove allora?”
“La portiamo all’appartamento… devo comunque fermarmi a prendere un paio di cose…”
Jonah ridacchiò afferrandomi per il polso…
Joe attraversò la porta per primo…
Parte 7
Avevamo raggiunto il centro della città in macchina… adesso era chiaro anche a me che ci trovavamo a New Orleans, ero riuscita facilmente a riconoscerla, benché fossi premuta all’angolo del sedile posteriore della berlina scura, il più lontano possibile dal sorrisetto psicotico di Jonah…
Scesi in una via qualsiasi, Joe aveva abbandonato l’auto per primo…
Dopo una breve camminata per la strada deserta ci trovammo faccia a faccia con un anonimo palazzo di mattoni rossicci… al primo piano l’insegna spenta indicava la presenza di un jazz bar, il Candy Bar… appeso alla vetrina dondolava un cartello rosso con la grande scritta CLOSED in bianco…
Joe spinse comunque sulla porta e questa gli si aprì davanti senza resistenze… entrò tranquillo e spigliato come fosse a casa sua… Jonah lo seguì in silenzio strattonandomi e tenendomi la mano libera premuta sulla bocca…
Non appena la porta si richiuse con un breve ticchettio metallico, una voce di uomo ci accolse da lontano…
“Siamo chiusi!”
Joe sembrò non farci nemmeno caso, raggiunse il retro del lungo bancone in legno e si versò un’abbondante dose di bourbon...
Dal retro del locale venne fuori questo tizio, lo stesso che aveva parlato poco prima… era un ragazzo piuttosto alto, dal fisico scolpito e dalla pelle ambrata, probabilmente frutto di una benedetta unione genetica tra bianco e nero…
“Hey, ho detto che siamo…”
Il suo sguardo torvo si sciolse in un sorriso…
“Joe!”
L’assassino ricambiò l’espressione, abbandonando il bicchiere per raggiungere il ragazzo... scambiarono una specie di stretta segreta da confraternita, concludendo con un amichevole reciproca pacca sulla spalla…
“Si vociferava che avessi tirato le cuoia amico!”
“Così si dice…”
Il ragazzo sbottonò velocemente il bottone più alto della sua camicia bianca e si abbassò per tirar fuori una bottiglia dalla dispensa…
“L’occasione merita qualcosa di speciale...”
Allineando sul bancone tre piccoli bicchieri di vetro da shot, rivolse finalmente l’attenzione a noi altri due... sollevò la bottiglia a mo’ di saluto, accompagnando il gesto con un cenno della testa..
“Jonah…”
Riempì i bicchierini e posò i suoi grandi occhi scuri su di me…
“…uno anche per la vostra ospite?”
Il giovane Shimamura avvicinò la bocca al mio orecchio sinistro…
“Che ne dici tesoro, vuoi farti un goccetto prima del tuo ultimo desiderio?”
Non potevo rispondere perché il palmo di lui era ancora saldamente spalmato sulla mia faccia… mi limitai a guardarlo, stavolta più con sdegno che non paura…
Jonah ridacchiò prima di spingermi con forza all’angolo della stanza accanto al bancone… Mi puntò l’indice dritto in viso…
“Se provi a muoverti o a strillare ti farò soffrire il doppio...”
Abbassai gli occhi senza rispondere, massaggiando la spalla che aveva sbattuto contro il muro a mattoncini… Joe mi lanciò un’occhiata veloce…
Mandarono giù un altro paio di shots lodando, di tanto in tanto, l’amabilità del liquore invecchiato ben trentacinque anni… il barista spostò qualche bottiglia dalla mensola più alta ed aprì una specie di cassettino nel muro, fermamente serrato… ne svelò il contenuto porgendo a Joe due chiavi attaccate ad un cerchietto di metallo…
“Eccoti le chiavi dell’appartamento… lo troverai esattamente come l’hai lasciato…”
Joe le strinse nella mano con un mezzo sorriso…
“Grazie...”
Ero rimasta nell’angolo ad osservare la scena in silenzio, lasciandomi distrarre per qualche secondo dall’atmosfera del posto… le mura in pietra naturale circondavano la piccola sala in parquet lucido, il soffitto aveva la volta a botte ed il grande lampadario di cristalli al centro, tocco elegante benché azzardato, illuminava i piccoli tavoli di legno… all’altro capo della stanza c’era poi il palco, con sopra due sgabelli con l’imbottitura rossa e qualche bottiglia vuota abbandonata… non potei non immaginare un’improvvisata jam session, il suono sinuoso dei sassofoni e l’intensa puzza di sigari e fumo…
“Muoviti bambolina…”
Jonah mi afferrò per il braccio, riportandomi alla realtà con un brivido di freddo… ancora una volta Joe guidò la marcia tenendosi avanti a noi, attraversando il retro del locale fino ad aprire la stretta porta in fondo che dava su una rampa di scale… salimmo almeno trenta gradini nella polvere prima di arrivare al grosso portone in cima… l’assassino sbloccò le due serrature con le chiavi che gli aveva dato il barista ed entrò, aspettandoci al di là della soglia…
L’ambiente all’interno era diverso da ciò che mi sarei aspettata, di certo completamente in antitesi all’apparenza trasandata del palazzo e all’atmosfera jazz del bar al piano di sotto… l’entrata apriva infatti su un salotto con i divani bianchi dallo stile moderno, il tutto ovattato dalla semioscurità…
“Casa dolce casa, eh?”
Esordì Jonah spingendomi dentro ed accomodandosi su uno dei cuscini… Joe richiuse a chiave la porta…
“Non metterti troppo comodo, siamo solo di passaggio...”
L’altro sospirò incrociando i piedi sul tavolino…
“Esatto… prendi le armi, uccidi la ragazza, fuggi più veloce della luce…”
L’assassino sparì dietro una delle porte, lasciandomi in piedi al centro della stanza, vittima delle fantasie sadiche di Jonah... me ne stavo lì, senza muovermi, non avevo più detto una parola da quando avevamo lasciato il vecchio hotel…
“Che succede bambolina? Non vuoi nemmeno provare a pregarmi un po’?”
Mi strinsi nelle braccia…
“Servirebbe a qualcosa?”
Lui sfoderò un ghigno compiaciuto… se non fosse stato per la crudeltà che emanava da ogni poro, lo si sarebbe davvero potuto definire un gran bel ragazzo…
“Intelligente… ottima qualità… sopravvalutata nelle donne comunque…”
Ecco, se non fosse stato per la crudeltà e per l’ostentato presuntuoso maschilismo congenito… non trattenni un chiaro suono di disgusto… Jonah allora aggrottò le sopracciglia e lasciò la sua comoda posizione per venirmi vicino… strinse gli occhi come se mi stesse scrutando a fondo…
“Dimmi… com’è che riservi i modi da gattina in calore solo a mio fratello?”
Incrociai i suoi occhi scuri e deglutii, tirandomi indietro di un passo… nello stesso momento Joe riapparve con una specie di valigia in mano, interrompendo sul nascere l’indagine dell’altro Shimamura…
L’assassino aprì la valigetta e guardò con ammirazione i due pugnali che vi riposavano dentro, avvolti nel velluto blu… uno era più lungo, dalla lama affusolata ed appuntita, l’altro più piccolo, con la lama tonda e l’impugnatura in pelle nera…
“Qualcosa di più pratico magari?”
Jonah gli era già vicino… Joe rimase a fissare le due armi…
“Tu puoi prendere una delle pistole…”
L’altro annuì soddisfatto e si mosse verso il mobile alla sua destra, aprendo un cassetto e scoprendo una ricca collezione di semiautomatiche… le scorse tutte passando sul metallo con la punta delle dita ed infine optò per la Desert Eagle…
Calibrò il peso della pistola nella mano e, dopo aver fatto scattare la sicura, la puntò dritta verso di me... divenni una statua di marmo…
“Ora puoi andare Jonah...”
Ancora una volta la voce provvidenziale di Joe... l’altro ruotò la testa verso il fratello…
“Prego?”
Joe se ne stava di spalle alla scena, passando delicatamente la pelle di daino sui suoi pugnali…
“L’auto ha bisogno del pieno… vuoi pensarci tu?”
Aggiunse con tono distaccato… Jonah strinse le labbra in una linea sottile, spostando velocemente il tono del suo umore da euforico a irritato…
“Ma fai sul serio?”
Finalmente Joe interruppe la sua mansione e si voltò, serio ed impassibile… Jonah abbassò il braccio ed alzò il tono della voce…
“Sei davvero rimbecillito fratello? Guardala…”
Sollevò di nuovo la pistola per indicarmi
“…è solo una troietta qualsiasi!”
Joe sbatté le palpebre lentamente, avanzando a lunghi passi verso Jonah…
“Lasciaci… fratello…”
Scandì una volta arrivato a pochi centimetri dal suo consanguineo… Jonah, in risposta, gli lanciò una chiara occhiata di sfida… adesso, ufficialmente, moriva dalla voglia di uccidermi… mi guardò con la coda dell’occhio per un paio di secondi…
“Non mi fido di lei…”
Joe espirò rumorosamente, tornando sui suoi passi per afferrare uno dei pugnali, quello dalla lama lunga ed affusolata…
“Ci penso io… tu torna a prendermi tra quindici minuti…”
Jonah lasciò cadere gli occhi sulla lama…
“Bene…”
Concluse, sollevando il golf blu per piantare la pistola dietro l’orlo dei pantaloni… di nuovo mi guardò…
“…ma quando torno voglio vedere il suo sangue… molto sangue…”
Precisò e prese la porta…
Joe scosse il capo in silenzio, perso nei suoi pensieri per qualche secondo… sollevò piano il coltello e sospirò, rivolgendomi finalmente gli occhi... Io, vicina al muro, azzerai immediatamente l’impulso di ringraziarlo… le mie pupille si persero, accecate dal riflesso della luce sulla lama…
L’assassino sembrò guardarsi brevemente intorno, poi mosse il primo passo verso di me... riempii i polmoni, sentendo che dietro di me non vi era altro che la parete… incontrai gli occhi di lui…
“Avrei preferito la pistola…”
Sarcasmo… inappropriato, agitato sarcasmo… le parole mi uscirono di getto, spaventata e allo stesso irritata all’idea di dover essere necessariamente fatta a pezzi…
Lui sfoderò un sorriso a labbra strette, altrettanto fuori luogo…
Poggiai i palmi alla parete e mossi in fretta gli occhi, cercando di individuare qualsiasi porta, uscita o arma disponibile nel mio campo visivo… mi gettai velocemente verso destra, ma lui non ne sembrò sorpreso… Joe mi seguì con lo sguardo e si avvicinò ancora un po’, trovando evidentemente divertenti i miei tentativi di fuga…
Mi morsi le labbra per riuscire a trattenermi dall’immensa voglia di chiedere cosa cavolo avesse da ridere… di nuovo mi mossi di scatto, infilandomi dietro la prima porta disponibile… la sbattei forte cercando immediatamente la chiave da girare, ma non la trovai… sollevando gli occhi al cielo decisi di spalmarmi contro la porta e utilizzare la mia misera mole per tenerlo fuori…
“Perché vuoi rendere le cose più difficili?”
Lo sentii chiedere dall’altra parte, la sua voce lontana, come se non avesse ancora lasciato il soggiorno… spinsi la schiena contro il legno e mi guardai attorno… che stanza era quella? Non troppo grande, una sola piccola finestra chiusa, lunghe pareti completamente occupate da librerie, file e file di volumi perfettamente ordinati, due poltrone ed un tavolino da fumo per terminare l’arredamento…
L’assassino amava leggere, a quanto pare…
Sospirai di fronte all’inevitabile realtà, non c’erano mobili che potessi spostare per bloccare l’entrata… lentamente mi scostai dalla porta e raggiunsi il centro della stanza… in altre circostanze avrei adorato poter passare il dito su quella lunga serie di copertine, apprezzando l’odore di carta e cultura… non ero mai stata una grande studentessa, tuttavia c’erano storie che avevo letto e mai dimenticato… tragedie per lo più…
La maniglia si abbassò piano ed io ruotai adagio verso la soglia… Joe mi comparve dinanzi senza fretta, tenendo tra le mani il pugnale e qualcos’altro, una specie di groviglio di corda e… socchiusi le palpebre per mettere meglio a fuoco, corda e nastro adesivo, spesso e scuro…
Bene… ha in mente di legarmi prima…
Lui lasciò cadere a terra il rotolo di nastro e prese a far scorrere la corda tra le dita…
“Non ho mai detto che il coltello fosse per te…”
Precisò, usando la lama per tagliare la giusta misura di fune… sollevai gli occhi nei suoi, ancora una volta incerta su cosa stesse per succedermi… istintivamente indietreggiai, finendo per inciampare in una delle poltrone… maldestramente ripresi l’equilibrio e mossi lo sguardo per capire quale fosse la mia posizione…
“Mettiti pure comoda…”
Aggiunse lui facendosi più vicino… la sua voce ed il suo viso non lasciavano trasparire umana emozione…
Rimasi in piedi…
“Siediti…”
Insistette Joe… chiaramente non era un invito di cortesia…
Mandai giù il magone che avevo in gola, ma rimasi con gli occhi incollati ai suoi per tutto il tempo, cercando la poltrona dietro di me... sentendo la pelle fredda della seduta dietro i polpacci, cercai i braccioli con la punta delle dita e lentamente, molto lentamente, mi accomodai.
Joe sembrò annuire… a piccoli passi raggiunse la seduta e poggiò il pugnale sul tavolo…
Non potei non fissare la lama abbandonata sul legno…
“Non.. non vuoi uccidermi?”
Domandai… lui strinse più forte la corda che aveva in mano, la sua espressione si fece ancor più scura…
“Voglio…”
Rispose tornando a guardarmi…
“Voglio davvero ucciderti… probabilmente non ho mai desiderato tanto uccidere qualcuno…”
Strinsi la presa attorno ai braccioli, attraversata dal freddo della sua voce composta… lui si pose dritto davanti a me, incombente come un lupo di fronte alla preda…
“Ma c’è qualcosa…”
Abbassò lo sguardo su di me…
“…qualche strana, incomprensibile ragione che mi impedisce di farlo…”
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Jonah si spinse in strada sbuffando, ormai il suo umore e la sua giornata erano ufficialmente rovinati… stupido Joe… un idiota rincoglionito succube dei suoi ormoni impazziti… ok, a scanso di equivoci anche lui era solito apprezzare le belle donne, ma questo era decisamente troppo… per gli Shimamura le donne non sono altro che un corpo caldo da riempire e rivoltare, questa è una regola… una regola… non bastava Jet a sbavare dietro quella stronza di una russa? Adesso doveva cominciare anche lui? E per chi poi? Per una bionda qualunque piovuta dal cielo?
Scosse la testa… il nuovo passatempo di suo fratello gli dava decisamente sui nervi… la ragazza aveva il viso d’angelo e di certo s’impegnava al massimo per sembrare una fragile creatura indifesa, ma l’idea che sotto sotto nascondesse qualcosa continuava a serpeggiare nella mente di Jonah... il modo in cui lei aveva risposto al suo sguardo quando erano da soli… lo sdegno che non aveva minimamente nascosto mentre Joe non guardava… il velo d’arroganza nei suoi grandi occhioni azzurri... mh… doveva essere tolta di mezzo, il prima possibile…
Uno scricchiolio improvviso lo rimise sull’attenti… Jonah si irrigidì in mezzo alla strada, guardando rapidamente a destra e sinistra… nulla… assolutamente nulla… raggiunse inconsapevolmente il calcio della pistola con la mano, tutti i suoi sensi allertati dalla netta sensazione di essere osservato… scrutò a fondo i dintorni, ma non colse segno percettibile di presenza umana…
Quel silenzio pastoso non prometteva nulla di buono… meglio sparire in fretta…
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“Voglio davvero ucciderti… probabilmente non ho mai desiderato tanto uccidere qualcuno… ma c’è qualcosa… qualche strana, incomprensibile ragione che mi impedisce di farlo…”
Sentii netta la tensione che risaliva dalla punta dei piedi fino ai capelli… lui era vicino a me, rischiosamente vicino… il doppio pericolo di quella situazione riempiva l’ormai minimo spazio tra noi... all’assassino sarebbe bastato allungare le mani per immobilizzarmi o, peggio, strangolarmi con la sua corda… a me sarebbe bastato allungare le mani per toccarlo ancora una volta, prospettiva per me ancor più terrificante… il ricordo del suo peso addosso era ancora ben chiaro, spalmato sulla mia pelle come una specie di elisir stupefacente… ero attratta dal mio assassino, attratta dal nemico… peccato mortale…
Decisi di spezzare il tutto…
“Quale…”
Scivolai appena sulla poltrona…
“…quale ragione?”
Domandai sottovoce…
Joe inspirò profondamente, curvando piano la schiena fintanto che i nostri occhi furono alla stessa altezza… poggiò i palmi sui braccioli, ad un millimetro dalle mie mani…
“I tuoi occhi…”
Rispose, penetrando adagio nelle mie pupille dilatate dall’agitazione e dall’onda d’emozione improvvisa… avrei voluto distogliere lo sguardo, ma non ci riuscii…
“Non solo il colore…”
Riprese lui, scrutandomi con impegno…
“…hanno qualcosa… è come se stessero per rompersi.”
Sussultai appena…
“Rompersi?”
Sussurrai… di certo aveva scelto un termine piuttosto insolito per descrivere gli occhi di qualcuno…
Joe inclinò appena la testa…
“Come se avessi qualcosa dentro che preme per uscire… come se fossi costantemente sul punto di esplodere…”
Sbattei più volte le palpebre, cercando di cancellare qualsiasi cosa lui stesse leggendo sulle mie cornee… tanta minuziosa attenzione mi rendeva nervosa, ma allo stesso tempo accarezzava la parte più presuntuosa e seduttiva della mia psiche…
“Che cosa vedi?”
Joe sollevò appena l’angolo destro delle sue labbra…
“Riconosco l’infelicità quando me la trovo davanti, ma non è solo questo…”
Si spinse ancor più vicino, lasciando nulla più che una manciata di centimetri tra i nostri nasi…
“…dimmi Françoise Arnaul… qual è il tuo mistero?”
Socchiusi le labbra, il suo calore e la scia del suo respiro lento mi arrivavano addosso…
“Se te lo dico poi vorrai uccidermi davvero...”
Joe sollevò il sopracciglio…
“Qual è il tuo piano allora…”
Si leccò le labbra arrivando a pochi millimetri da me…
“…preferisci restare mia prigioniera per tutta la vita?”
Non dissi nulla, ma strinsi i braccioli con tutta la forza, respingendo l’urgenza di baciare quella bocca… se fosse stato l’assassino a cedere per primo bene, avrei potuto incolpare lui e le circostanze ancora una volta, ma io no, io non potevo arrendermi…
Lasciando in vita quel bacio sospeso Joe spostò le mani sulle mie e si lasciò cadere piano sulle ginocchia… il suo viso adesso era più lontano, ma le sue dita erano pronte a riprendere il controllo della situazione… lasciò girare la corda attorno al mio polso sinistro e strinse, spegnendo sul nascere il mio tentativo di ribellione… lentamente raggiunse anche l’altro polso e lo legò assieme al primo, così che non potessi più muovermi…
Strattonai la corda cercando di produrre una qualche parola di senso compiuto… la mia gola era completamente asciutta e nulla più ne venne fuori che una specie di infantile lallazione… conoscevo fin troppo bene quello sguardo negli occhi dell’assassino…
Lui poggiò le mani sulle mie ginocchia e le lasciò scivolare giù, fino alle caviglie… risalì poi lento e, con un gesto secco, mi obbligò ad aprire le gambe, trovando posto in quel nuovo spazio… le sue labbra si posarono subito sulla mia coscia destra, all’altezza della piega con il ginocchio, lasciando una lunga serie di umidi baci…
Chiusi gli occhi sentendolo risalire verso il centro… il mio centro già in fiamme… avrei dovuto scacciarlo, stringere e scalciare, ma l’eccitazione di quel momento stava sconvolgendo ogni mio pensiero razionale… mi lasciai sfuggire un suono a metà tra sospiro e gemito… ancora una volta, meglio questo che farsi uccidere, giusto?
Una specie di tonfo sordo proveniente dal piano di sotto interruppe la magia… l’assassino si ritrasse e si tirò su di colpo cercando nell’orologio appeso alla parete un qualche punto di riferimento temporale…
Aggrottò le sopracciglia e mi lanciò un’occhiata...
“Tu resta qui…”
Raccomandò tornando alla sua espressione e freddezza di sempre… uscì dalla stanza e si sbatté la porta dietro… lo scatto della serratura mi obbligò a corrugare la fronte e balzare in piedi… afferrai la maniglia con qualche difficoltà, ma trovai la porta irrimediabilmente chiusa… ma dove cavolo era la chiave quando serviva a me?
Ancora una volta mi ritrovai con la schiena contro l’infisso e sospirai… stavo per farlo… di nuovo… sesso con l’assassino… quella storia doveva finire, il prima possibile… dovevo trovare il modo di venirne fuori…
Sollevando lo sguardo trovai risposta alle mie preghiere… nella fretta Joe aveva dimenticato il suo pugnale sul tavolino… sospirando, per una volta di sollievo, mi precipitai verso il mobile, più che pronta ad utilizzare la lama per liberarmi innanzitutto della corda e poi, eventualmente, anche del mio rapitore…
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Il barista, intento ad impilare casse di liquori, sentì ancora una volta il ticchettio della porta del locale e ripeté la sua battuta d’esordio…
“Siamo chiusi!”
Ottenendo nulla più che silenzio in risposta, lasciò la dispensa e si affacciò nella sala… i due corpulenti sconosciuti appena entrati se ne stavano in piedi di fronte al bancone, con i piedi solidamente piantati a terra…
Il barista tese i muscoli e si sforzò di sfoderare un’espressione cortese…
“Apriamo tra un paio d’ore...”
Uno dei due, capelli biondi e lineamenti spigolosi, allentò la cinta dell’impermeabile…
“Non siamo qui per bere…”
Esordì col suo accento spiccatamente russo…
“…dove è il Mamba?”
Il barista si fece serio…
“Siete male informati ragazzi… il Mamba è morto…”
L’altro intruso, grosso e moro, se ne uscì in una risata glaciale, mostrando senza preamboli la sua pistola… il tizio dai capelli biondi insisté…
“Ti consiglio di parlare… subito…”
Il barista indietreggiò, scattando verso la dispensa per prendere le sue armi… gli altri gli furono subito dietro e la breve colluttazione si concluse con qualche cassa rovesciata a terra ed il barista in ginocchio in un angolo…
“Parla…”
Ordinò lo sconosciuto sovietico, afferrandolo per la nuca così che la sua fronte fosse dritta al buco della pistola… il ragazzo mandò giù il sapore di sangue e strinse i pugni… il rapporto che lo legava a Joe era più che un semplice contratto di collaborazione, era un’amicizia, una sincera amicizia che lo spingeva alla più solida lealtà… non avrebbe barattato la sua vita con quella del Mamba, anche perché, a giudicare dalle facce che aveva di fronte, c’era ben poco da barattare…
“Dove è??”
Gridò il russo dai capelli chiari, stringendo la presa ancora più forte… il barista lo guardò dritto nelle pupille…
“Va’ all’inferno bastardo…”
L’altro non si scompose di un millimetro anzi… accennò un sorriso compiaciuto… con un gesto della mano invitò il suo complice a venire avanti e quest’ultimo, presa sicura e faccia di cera, piantò la pistola dritto in mezzo agli occhi del giovane barista…
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Guardai fuori dalla finestra del soggiorno… nulla sembrava fuori posto eppure ero certo che qualcosa non andasse… Jonah avrebbe dovuto già essere lì e tutto esser pronto per sparire… con Smirnov non c’era da scherzare, ogni momento era fondamentale…
Il suono netto dello sparo mi colpì alle orecchie come un pugno… tutti i miei recettori risposero alla stimolo simultaneamente e l’istinto del pericolo mi drizzò come fil di ferro… Corsi ad afferrare il coltello nella valigetta e mi piazzai davanti alla porta dell’appartamento… dovevo essere rapido e silenzioso… voltare a sinistra il più in fretta possibile, raggiungere la scala d’emergenza e correre fuori… contrassi la mandibola e chiusi gli occhi per un momento, accarezzato dall’eco dello sparo… il barista… Jonah… chi c’era lì sotto? Per chi era quella pallottola?
Aprii la porta senza produrre suoni e mi riempii i polmoni, pronto a trattenere il fiato e fuggire…
Non appena il pianerottolo si aprì davanti ai miei occhi, anche le due losche figure mi riempirono la vista, ancora forti dell’adrenalina post-omicidio a sangue freddo…
“Dobryj vecher Mamba...”
Il biondo si prese la briga di salutare nella sua lingua madre, sventolandomi davanti una pistola… raccolsi il saluto e sentii la carica salire, come fossi sul punto di mutare… l’assassino letale si stava risvegliando… contraendo tutti i muscoli, privo di vero timore, mi scagliai contro il primo russo, brandendo il coltello verso la giugulare… l’altro non si sforzò troppo, schivò appena il colpo e si lasciò sbattere al muro, piantandosi tra me e la parete con un tonfo secco…
Lessi immediatamente le sue intenzioni, ma non ebbi il tempo materiale di reagire al secondo agguato da dietro… il sovietico dai capelli scuri mi piantò un grosso ago nel collo e spinse nel mio sistema il liquido giallastro…
Mi sentii invaso da un insopportabile calore improvviso e lasciai presto cadere il pugnale, incapace di reagire mentre il più grosso dei due mi trascinava dentro… sembrava che le mie membra non rispondessero più ai comandi…
Una volta sbattuto sul divano come un sacco inerme, il biondo mi si parò davanti…
“Miorilassante…”
Imprecai nella mia testa contro tutti i santi che conoscevo, il mio corpo era allenato ai farmaci, ma non a simili dosi… sarei stato fuori gioco per un po’, giusto il tempo di smaltire il grosso della tossina.. e farmi massacrare dagli uomini di Smirnov...
“Non avete ancora imparato di non scherzare con mio signore…”
Esordì il tizio dai lineamenti spigolosi…
“Voi avete preso Nataljia…”
Continuò spostandosi sulla destra per lasciar spazio al compagno…
“…noi ci prenderemo te… e tuoi fratelli...”
Il sovietico moro venne avanti caricando il colpo e scaricò un potente gancio destro sulla mia faccia... raccolsi abbastanza forze per non cadere sul fianco, sputando sangue e saliva contro il mio aggressore… l’altro sorrise, aveva appena cominciato…
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Smisi di roteare i polsi liberi non appena mi accorsi del trambusto fuori dalla mia stanza… silenziosamente poggiai l’orecchio alla porta ed ascoltai la voce degli intrusi…
Criminali… altri criminali… russi… crudeli…
Me ne stetti lì, immobile contro il legno, presa d’improvviso dalla spirale dei ricordi… il pericolo, la necessità di restare nascosta, il bisogno di trattenere il respiro per salvarsi la vita… erano tutte sensazioni che avevo già sperimentato nella mia vita, ancora capaci di farmi sentire una bambina indifesa… quasi riuscivo ad immaginarmi ancora dentro quel piccolo bagno immacolato…
Dai colpi era chiaro che stavano massacrando di botte Joe… al suono di ogni pugno chiudevo gli occhi ed ammiravo la forza e la leggerezza con cui incassava il dolore… doveva davvero esserci abituato…
Il mio istinto alla compassione fu presto zittito dal fastidioso accento sovietico di uno degli uomini presenti…
Lo chiamavano Mamba…
E stavano cercando una certa Nataljia…
Nataljia...
Mi spalmai completamente sulla porta e cercai di capire dove quella conversazione a senso unico volesse parare…
Lo scatto della sicura di una pistola rese chiare le intenzioni dei russi… volevano uccidere l’assassino… il mio assassino…
Strinsi le dita attorno all’impugnatura del coltello di Joe e poggiai l’altra mano sulla maniglia… la porta era chiusa, gli uomini ignoravano la mia presenza, se non avessi fatto alcun rumore probabilmente l’avrei scampata… stavolta come allora… purtroppo o per fortuna però, c’era una donna nuova e forte dentro la stanza, non più una bambina spaventata…
Respirai a fondo per tre volte, spingendo il diaframma in avanti, cercando di incamerare più ossigeno possibile…
Era finalmente tempo di fare i conti col passato…
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“Tu oggi muori Mamba...”
Sentenziò il biondo, ancora algido ed impettito nonostante la resistenza di Joe alle loro torture… poco importa che il bastardo non volesse parlare… uno di meno sulla lista… Alexei ne sarebbe di certo stato contento e lui non aveva altra missione che rendere fiero il proprio signore…
Joe rimase impassibile, fissando il bestione che gli puntava la pistola dritta in fronte… i suoi muscoli intorpiditi cominciavano a rispondere, se fosse riuscito a guadagnare qualche altro minuto avrebbe potuto ribaltare la situazione…
Lo scatto della sicura gli fece temere che non ci fosse più tempo…
Così finisce il Mamba, con una pallottola in fronte per colpa di una maledetta troia sovietica… oh Jet, avrai il mio nome sulla coscienza per molto, molto tempo, almeno finché non faranno a pezzi anche te…
“Aiuto!”
La voce di donna, accompagnata da colpi disordinati contro la porta, costrinse il tizio ad interrompere la spinta dell’indice sul grilletto… vistosamente spaesato rivolse lo sguardo al suo complice, ancora immobile con i timpani tesi verso la voce femminile…
“Aprite! Aprite! Fatemi uscire!”
Il russo biondo afferrò Joe per la mandibola, spingendo forte il pollice contro la guancia tumefatta…
“Chi è?”
L’assassino guardò al cielo indeciso… doveva ringraziarla o assicurarsi che facesse una fine degna della sua stupidità? Possibile che fosse tanto sciocca da farsi scoprire e, peggio ancora, pensare che due animali a sangue freddo come quelli l’avrebbero aiutata?
“Nessuno…”
Rispose tra i denti…
Il russo, insoddisfatto, si avvicinò al richiamo della sconosciuta… di certo non si trattava di Nataljia... meglio aprire e liberarsi anche di questo impiccio…
Tirò fuori la sua pistola, ruotò la chiave nella serratura e spinse la maniglia in un movimento fluido, per nulla scalfito dall’idea di dover aggiungere un ulteriore cadavere alla sua già lunga lista…
Aprì, nessuna tremante figura di donna gli si parò davanti, bensì il vuoto… corrugò appena le sopracciglia e mosse un passo verso l’interno, senza avvertire il bisogno di puntare l’arma… grave errore di valutazione…
Dall’angolo Françoise gli balzò addosso come un’arpia, stringendo le unghie della mano sinistra al bavero del suo impermeabile ed affondando la lama, stretta a destra, dritta nella gola del russo… un taglio netto e preciso delle vie respiratorie… il biondo sovietico cadde in ginocchio, pronunciando nulla più che un rantolo… già gonfio per la mancanza d’aria, si portò le dita a gola e viso, macchiandosi gli zigomi col suo stesso sangue… continuando a rantolare, con le sue ultime forze, cercò di afferrare la ragazza sconosciuta che aveva di fronte…
Françoise si limitò ad indietreggiare di un passo, lasciando sgocciolare il coltello sul parquet… alla rabbiosa rassegnazione del russo rispose con un sorriso, un angelico sorriso compiaciuto…
Joe riuscì finalmente a muovere tutte le dita, anche se il resto del corpo rifiutava di tirarsi su e scoprire cosa stesse accadendo nella sua piccola biblioteca… i rumori erano confusi e nessuno aveva ancora sparato né parlato, l’energumeno tantomeno Françoise, non che la ragazzina dell’aereo avesse qualche remota chance di sopravvivere…
Peccato averla persa così dopotutto… una ragione in più per mettere Smirnov al primo posto tra le sue prossime vittime…
Contro ogni sua possibile supposizione, Françoise venne fuori dalla stanza per prima, l’abito sporco di sangue ed il suo pugnale stretto nella mano…
Il suo pugnale. ..
Joe si maledì, credendo ancora che il sangue fosse suo e che la ragazza stesse sfilando dritta incontro alla morte…
“Hey!”
Françoise richiamò l’attenzione del grosso tizio dai capelli scuri nascondendo l’arma dietro la schiena… questi si voltò e rimase interdetto alla sua presenza, a giudicare dai lineamenti e dal candore della pelle, la sconosciuta avrebbe quasi potuto essere una di loro… quasi… il russo sollevò di nuovo la pistola e ruotò la mira verso di lei, pronto ad eliminarla senza secondi pensieri…
Françoise sorrise di nuovo, aguzzando lo sguardo e lanciandosi contro l’avversario col pieno delle sue forze, pronta a far saltare la pistola dalla sua presa con un calcio ben assestato…
Joe sgranò gli occhi davanti alla scena… nella sua posizione di semi-paralisi si concesse, per una volta nella vita, di essere totalmente, incredibilmente, infinitamente sorpreso…
Rimase a fissare con attenzione e perplessità il film che andava consumandosi davanti a sé… non riusciva a capire come fosse possibile…
Françoise, con tre o quattro colpi ben assestati, mandò giù al tappeto anche il secondo uomo… prima che potesse provare a rialzarsi di nuovo, gli piantò un calcio nella nuca e si inginocchiò, pronta a ficcare tutta la lama nel suo torace, sempre senza il minimo segno d’esitazione…
Il russo smise ben presto di contorcersi ed agonizzare, lasciando Françoise immobile, in piedi accanto al suo cadavere… lei se ne stette lì a riprendere fiato, il torace su e giù in lenti movimenti, mentre il dolore dei colpi presi iniziava a scemare…
Joe si irrigidì contro il divano, cercando immediatamente di muovere quanti più muscoli possibile… ennesimo tentativo inutile… le sue gambe non avevano intenzione di camminare…
Françoise si voltò verso di lui sentendolo muovere… i capelli scompigliati nascondevano i futuri lividi sul suo viso… venne avanti saltando il corpo e raccolse lentamente la pistola della sua vittima, accovacciandosi e tornando su per guardare ancora l’assassino, gli occhi di lui appena più aperti del normale e le sopracciglia ravvicinate per l’espressione confusa…
Joe mosse finalmente le braccia, ma non riuscì comunque a tirarsi su… l’incredulità del momento non gli permetteva di affilare pensieri logici…
La ragazzina dell’aereo aveva davvero ucciso i due scagnozzi di Smirnov? Così, come se nulla fosse?
“Aiutami…”
Le chiese… in fin dei conti era in debito con lui, giusto? Sia che fosse una ragazzina innocente che una specie di Mr Hyde al femminile…
Françoise sorrise con un sospiro, la fatica stava lentamente scomparendo, rimpiazzata da una nuova scarica di adrenalina… lasciò roteare la pistola nella mano guardando il pavimento per qualche secondo…
“In realtà…”
Esordì
“…non credo di poterlo fare…”
Joe sollevò il mento diventando una specie di blocco di marmo, i pugni stretti a tentare ancora una volta di rimettersi in piedi…
“Che vuoi fare allora?”
Domandò con voce bassa… gli occhi puntati sull’arma in suo possesso…
Françoise inspirò fino a riempirsi lo sterno, sollevò piano la pistola all’altezza degli occhi di Joe, la tenne dritta di fronte a sé e buttò fuori l’aria…
“Credo che ti ucciderò… Mamba...”
Finalmente in grado di guardarla in viso, fu come scoprire una nuova persona, come se nuovi lineamenti si fossero mostrati sul viso della sua angelica ragazzina, come se un’anima nuova l’avesse abitata di colpo…
Un sorriso genuino, un sorriso compiaciuto, soddisfatto, cattivo…
Quella non era la ragazza maldestra che aveva salvato dall’aereo, il suo non era un mero tentativo di liberarsi e quello non era il colpo di fortuna e ribellione di un ostaggio… il modo in cui si era mossa, forte e precisa, colpendo quei tizi solo nei punti giusti… il modo in cui impugnava la pistola, braccia ferme, ginocchia leggermente piegate, gambe divaricate… la posizione di chi sa come si spara, la sicurezza di chi ha già sparato altre mille volte… la luce nei suoi occhi, divenuti di colpo blu come la notte, il sorrisetto difficile da tenere a freno, la completa mancanza di incertezze...
Il cuore gli si fermò nel petto…
Aveva addosso lo sguardo di un killer…
“Chi sei tu?”
Parte 8
Il cuore mi si fermò nel petto…
Avevo addosso lo sguardo di un killer…
“Chi sei tu?”
Françoise inclinò la testa da un lato…
“Conosci già il mio nome…”
Françoise Arnaul… Françoise Arnaul... Françoise Arnaul... lo ripetei un milione di volte nella mia testa… continuava a non dirmi nulla, non avevo nemici o conoscenti che portassero quel nome, nessuno nella malavita che si chiamasse così… eppure ero certo che la ragazza non avesse mentito…
“Sembri perplesso…”
Riprese lei con tono sarcastico, mettendo giù l’arma per concedersi una postura più comoda
“…per cui proverò ad aiutarti… Françoise è il nome che mio padre mi ha dato, ma gli amici mi chiamano Fenice...”
La vidi muoversi per casa mia come se ci fosse già stata una decina di volte… Fenice... un nome d’arte anch’esso del tutto sconosciuto alle mie orecchie… chi diavolo era la ragazza? Che cazzo stava succedendo? Presi a muovermi cercando in ogni modo di tornare in piedi… chiunque fosse quella specie di automa ricondizionato, di certo non si trattava di un’amica ed il groviglio di domande che rapidamente mi stavano intasando il cervello avrebbero atteso per una risposta… controllo e difesa prima di tutto…
Françoise riapparve con la corda in mano, la stessa che avevo usato con lei… tesi i muscoli delle braccia… non amavo particolarmente l’idea di picchiare a sangue una donna, ma come si dice, a mali estremi, estremi rimedi…
Fenice, se quello era il suo altro nome, si avvicinò di nuovo al cadavere della sua seconda vittima…
“Odio i sovietici… sono così pieni di sé… e per quali motivi poi? Solamente perché bevono fiumi di vodka e riescono comunque ad eseguire un perfetto triplo axel?”
Ne seguii i movimenti senza tener conto del suo sparlare… Françoise si abbassò piano e tastò le tasche del defunto…
“Ma bisogna dargliene atto…”
Riprese, tirando fuori un’altra siringa, perfettamente identica a quella già svuotata dal russo nelle mie vene...
“…sono sempre previdenti…”
“No…”
Intimai, sperando in qualche modo di bloccare le sue evidenti intenzioni… Françoise mi sfilò attorno, prima sbattendo delicatamente la punta dell’indice sulla siringa e poi lasciando uscire dall’ago metà del contenuto…
Presi a respirare affannosamente, quella mancanza di controllo era la peggior tortura che avessi mai subìto… potevo usare le mani, ma non potevo alzarmi ed i miei muscoli erano ancora troppo intorpiditi per poter contare sui riflessi… feci per lasciarmi cadere da un lato e sollevare il gomito, ma Françoise non si scompose… da dietro, con un rapido gesto, mi piantò l’ago nella coscia destra…
Strinsi i denti ignorando il dolore, approfittando della vicinanza per afferrare i capelli della ragazza ed immobilizzarla a pochi centimetri dalla mia faccia… Françoise sorrise trovandosi così vicina a me... quasi subito la mia presa iniziò ad allentarsi e lei concluse la manovra storcendomi il polso con uno scatto brusco… trattenni a stento un lamento e tornai a guardare di fronte…
“Bene…”
Mugugnò lei passandomi la corda attorno a polsi e caviglie, realizzando due grossi nodi a prova di Houdini… soddisfatta della sua opera, tornò a guardarmi negli occhi, completamente affascinata ed esaltata dalla mia candida confusione…
“Non hai ancora capito vero?”
Non mi mossi… lei accennò un sorriso…
“Ti darò un altro indizio allora…”
Inspirò profondamente con una strana espressione in volto, come se allo stesso tempo stesse per svelare il quarto segreto di Fatima ed annunciare il vincitore dell’oscar per il miglior attore protagonista…
“…Heinrich…”
Si spinse avanti quasi fino a poggiare la fronte sulla mia…
“...i Fantasmi Neri...”
Spalancai gli occhi facendo appello a qualsiasi briciolo di energia rimasta pur di muovermi... il Clan dei Fantasmi Neri di Heinrich… la peggior cosa che potesse capitarmi...
Se si dovesse fare una lista dei nemici degli Shimamura… beh, senza dubbio l’elenco sarebbe lungo… tuttavia, laddove si dovesse assegnare un premio per il più subdolo e pericoloso, il vincitore sarebbe senza dubbio Albert Heinrich...
Ultimo membro di una lunga dinastia di assassini tedeschi, Albert era stato espulso dalla sua stessa famiglia per, come lo si potrebbe definire, eccesso di zelo forse? La sua infinita sete di potere e totale irrispetto delle regole, lo avevano visto impersonare perfettamente la cacciata di Lucifero dal Paradiso… al pari del diavolo stesso infatti, Albert aveva deciso di fondare la sua personale organizzazione di killer professionisti, il “Clan dei Fantasmi Neri” per l’appunto…
Scossi nervosamente la testa… non aveva comunque senso… anche gli Shimamura, come chiunque altro avesse un po’ di buon senso, evitavano accuratamente di pestare i piedi ad Heinrich... perché mai mandare uno dei suoi sicari per uccidermi? E questa ragazza poi? Chi diavolo era Françoise Arnaul? Conoscevo a memoria tutti i volti del clan e la ragazzina dell’aereo di certo non ne faceva parte…
Françoise si tirò su e tornò a girovagare per la stanza, stavolta diretta verso la mia giacca appesa all’entrata… ne tirò fuori il pacchetto e l’accendino… accese una delle sigarette e tirò una lunga, piacevole boccata…
Il fumo le uscì di bocca in un sinuoso intreccio grigiastro…
“Aaaah... quanto mi mancava…”
Di nuovo si riempì i polmoni di catrame e nicotina…
“Mi spiace propormi così… secondo il piano avrei dovuto aspettare che ti fidassi di me abbastanza da presentarmi i tuoi, ma devo ammetterlo…”
Stirò i muscoli del collo ruotando lentamente la testa e portando i lunghi capelli sulla spalla sinistra…
“…tutti quei sospiri, quelle lagne, «no, ti prego Joe fermati»... iniziava a diventare davvero frustrante…”
Concluse mimando ed enfatizzando un’espressione disperata… digrignai i denti, la vista era quasi annebbiata ed il mio cervello faceva fatica a seguire il nesso logico delle sue parole… lei sorrise…
“Almeno ho raggiunto lo scopo…”
“Quale scopo?”
Si avvicinò stringendo la sigaretta accesa tra indice e medio, curvò la schiena fino alla mia altezza e roteò l’indice libero davanti ai miei occhi…
“Entrarti nella testa…”
Poggiò il polpastrello freddo sulla mia fronte mentre fremevo, mosso dal barbarico istinto di uscire dalle mie inutili membra… mi uscì di bocca una specie di grugnito…
“No…”
“No?”
Françoise si avvicinò ancora, sfiorandomi la tempia col naso e l’orecchio con le labbra, lasciando una seducente scia di respiro al tabacco…
“Un altro paio di giorni insieme e scommetto che avresti anche ucciso per me…”
Scostai la testa il più lontano possibile e strinsi i denti… lei si tirò su buttando la cicca sul pavimento…
“Non sentirti in imbarazzo adesso, è esattamente così che sarebbe dovuta andare…”
La schiacciò…
“…d’altra parte, ero la stella della classe di recitazione qualche anno fa sai? Certo non pensavo che il mio talento potesse tornare utile in così tanti modi…”
Strattonai le corde con tutta la forza possibile…
“Che cosa vuoi?”
Sbottai… il viso angelico di Françoise divenne duro come la pietra…
“Tuo padre…”
Rispose guardandomi dritto negli occhi…
“Lui mi ha tolto qualcosa anni fa e adesso io mi prenderò quel che ha di più prezioso…”
La sua espressione si sciolse in un misto di fascino ed eccitazione…
“…suo figlio...”
Inaspettatamente sbuffai l’accenno di un sorriso e sollevai il mento nella sua direzione…
“Se è a lui che vuoi fare un dispetto, hai preso il figlio sbagliato…”
Sollevò un sopracciglio, genuinamente incuriosita dalle mie parole… si avvicinò di nuovo…
“Che vuoi dire?”
Cercai di stringere i pugni, bloccato in una sorta di scontro tra incudine e martello… il mio cognome era la cosa più importante che avessi, ma allo stesso tempo l’idea di poterlo rigettare era un sollievo infinito, una specie di via di fuga sempre aperta che, tuttavia, amavo attraversare esclusivamente in solitudine… in quella bizzarra situazione avrebbe finito per rivelarsi un’arma a mio vantaggio…
“Non sono suo figlio…”
Rivelai, lasciando trasparire un’ombra di orgoglio… odiavo Jack…
“…non biologicamente almeno…”
Françoise sollevò le ciglia…in quel momento osservò i miei lineamenti ancora una volta con più attenzione, lasciando scorrere la punta delle dita sui miei zigomi e sulle mie labbra, così diverse da quelle degli altri Shimamura...
“Mh…”
Mugugnò mentre cercavo di ritrarmi, quasi le sue mani fossero acido muriatico…
“…questo spiega gli insoliti tratti caucasici…”
Si tirò indietro di colpo, mettendosi a camminare su e giù per la stanza e giocherellando con le dita…
“Facciamo un riassunto allora…”
Le sue labbra erano protratte in una sorta di broncio, quasi dovesse realmente concentrarsi…
“Tuo padre è un mostro… tu sei un bastardo… e tua madre era una puttana...”
Saltai sul divano come se mi avessero conficcato uno spillo aguzzo nella carne…
“Non osare nominare mia madre!”
Urlai, lasciandola sconvolta per un breve secondo…
“Hey, quanta foga!”
Tornò accanto a me e riuscì a stringermi il viso tra le mani…
“Non preoccuparti… potrai non essere utile come speravo, ma per fortuna abbiamo già anche il fratello numero tre…”
Sorrise di gusto mentre mi dimenavo…
“Dov’è Jonah?”
Françoise inspirò profondamente e mollò la presa spingendomi con poca grazia contro lo schienale del divano…
“Temo che la tua domanda dovrà aspettare…”
Si diede un’occhiata passando i palmi sulle macchie di sangue già rappreso…
“…ho bisogno di una doccia…”
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Jonah sputacchiò cercando di riprendere respiro… le ultime due ore della sua vita le aveva passate con un cappuccio nero in testa, perdendo completamente il senso dello spazio… sforzando le retine per mettere a fuoco il prima possibile, si vide in una stanza vuota con le pareti di mattoni, i polsi legati ed il viso dolorante per le percosse… l’odore umidiccio di muffa e polvere era quasi insopportabile…
“Una vera topaia, non credi?”
Quella voce profonda, dal tono irrimediabilmente sarcastico, lo colpì come una doccia fredda… niente russi, tuttavia nessun sollievo, anzi…
“Il posto perfetto per un verme come te…”
Aggiunse la voce, girando piano in circolo fino a pararglisi di fronte… Jonah contorse le labbra e tese il collo… avrebbe davvero preferito essere col sanguinario Alexei Smirnov…
Incarnato pallido, ma perfetto, capelli scompigliati color ebano e grandi occhi verde bottiglia, il tutto inscatolato su un fisico esile, tuttavia solido come il marmo… ghigno da duro e chiodo di pelle… in due sole parole Matt Ryce, il gemello terribile…
“Dov’è la tua brutta copia?”
Esordì Jonah, lasciando scontrare la sua fastidiosa sicurezza contro quella del nemico…
“Aveva delle commissioni da fare, ma non preoccuparti Shimamura, sono sicuro che riusciremo a divertirci anche da soli…”
Jonah buttò indietro la testa, già esasperato nel vederlo indossare il pugno di ferro… la sua faccia perfetta, merito di madre natura, della settimanale maschera al polline egiziano e due iniezioni di costoso filler biologico, stava per dirgli addio…
Matt Ryce del resto, era ben famoso per i suoi modi poco delicati e per il sarcasmo congenito, unico tratto, assieme al taglio di capelli, che lo rendeva distinguibile da Big J, suo fratello gemello… l’ultima volta che Jonah si era trovato faccia a faccia con i Ryce, circa cinque anni prima, il tutto era finito in una mega rissa per via di un’auto distrutta… la preziosa Mercury Comet del ’65 con i sedili in pelle rossa che Jonah e un altro idiota avevano deciso di rubare… pessima idea… Joe era intervenuto in suo aiuto come sempre, ma se non fosse stato per l’intervento delle guardie di Jack, molto probabilmente i gemelli pazzi avrebbero avuto la meglio…
“Ancora per la storia della macchina? Dopo cinque anni? Andiamo amico, fatti una vita!”
Matt interruppe la discesa del suo gancio destro…
“Giusto… mi hai appena ricordato che dovrei massacrarti anche per quello… amico…”
E detto ciò gli sparò in faccia le nocche tese, squarciando la pelle come fosse carta…Jonah non trattenne la sua protesta, sentendo il sangue scorrergli fino alle labbra, tuttavia smise di preoccuparsi per il conto del chirurgo plastico ed accese il cervello…
“Anche per quello?”
Ripeté le parole del gemello…
“Perché sono qui?”
Matt sfoderò un sorriso obliquo…
“Perché sei un idiota, incapace, senza spina dorsale… ma a parte questo non è stata una mia iniziativa…”
“E di chi allora?”
Il gemello premette i polpastrelli sullo zigomo ferito di Jonah, godendo del suo tentativo di mascherare il dolore pungente…
“Ti dice niente il nome Heinrich?”
Jonah spalancò gli occhi facendo del suo meglio per venir fuori dalla presa di Matt... bastava quella parola per capire che era finito in guai ben più grossi del previsto…
“Sei uno dei Fantasmi Neri adesso?”
Domandò cercando di mantenere un’apparenza più rilassata possibile… non voleva davvero dargli la soddisfazione di riconoscere il suo immenso vantaggio nell’essere parte del clan…
Matt sorrise ancora…
“Cosa credevi? Che il mio talento sarebbe andato sprecato ancora per molto?”
Guardando il nemico brillare di luce propria mentre vantava la nuova posizione, Jonah si dette il tempo di respirare e valutare la situazione… Albert Heinrich ed i suoi Fantasmi Neri erano i più temibili antagonisti che si potesse incontrare, crudeli, decisi, senza scrupolo alcuno… del resto, tutta l’organizzazione basava proprio su tali principi e dalla mancanza di vincoli traeva la forza… dopo essere stato rigettato dalla sua stessa famiglia, Albert aveva infatti rivalutato totalmente il valore dei legami di sangue, trovando nel loro esatto opposto una formidabile risorsa… mentre gli Shimamura poggiavano il loro impero proprio sulla condivisione del dna, i Fantasmi Neri ingaggiati da Heinrich non avevano nulla in comune se non le doti criminali e la gran sete di riscatto… tutti raccolti negli orfanotrofi, nei riformatori o perfino in strada, i suoi ragazzi creavano un perfetto sistema di isole indipendenti… letali nel lavoro di squadra, erano in grado di esprimere il loro pieno potenziale esclusivamente in solitaria, totalmente spogliati della necessità di rispettare o difendere qualcun altro… i Fantasmi Neri non avevano limiti o regole, ciò li rendeva pressoché imbattibili…
“E che mi dici di Big J, fa anche lui parte della squadra?”
“Ovvio...”
Ottimo, pensò Jonah, se non altro poteva ancora contare su un punto debole…
“E non è contro le regole?”
Cercò di indagare, ma Matt parve presto indispettito dalle sue domande… si rivestì della sua glaciale perfezione e riportò l’attenzione sul suo ostaggio, massaggiando la mano in prospettiva di un nuovo pugno…
“Non ci provare Shimamura... sai bene che ucciderei anche lui se fosse necessario...”
Jonah chiuse gli occhi per un secondo… Matt era un osso duro, troppo duro… per capire le motivazioni di una simile personalità antisociale avrebbe dovuto conoscere meglio la storia dei gemelli, ma tutto ciò che sapeva è che i due erano venuti fuori dall’orfanotrofio verso gli undici anni, affidati ad una famiglia da cui erano fuggiti qualche anno più tardi… da quel momento in poi poteva solo supporre che l’istinto di sopravvivenza avesse loro insegnato tutto ciò che sapevano… certo, doveva essere stata davvero una vita di merda per ridurli così…
“Che cosa vuoi da me?”
Decise allora di mirare dritto al punto… Matt si attaccò ad una bottiglia di birra che Jonah non aveva notato fino a quel momento… Dio se aveva sete…
“Voglio solo che tu mi faccia un po’ di compagnia…”
Suonò angelico dopo la sua serie di sorsi…
“…almeno finché non arriveranno gli altri...”
Jonah sentì la pelle d’oca sulle braccia… la faccenda andava complicandosi… chi sarebbe dovuto arrivare? Big J? Un’intera squadra di torturatori? Heinrich in persona?
“Chi?”
Domandò con la gola già secca… il gemello sorrise di gusto ancora una volta…
“Oh, non temere Shimamura, conosci già tutti gli invitati a questa festa…”
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“Sta succedendo qualcosa padre…”
Esordì Jet dopo essere piombato nello studio del padre, la sua impeccabile apparenza segnata da un velo di agitazione… Jack girò sulla sua sedia di pelle e sorseggiò il suo whiskey…
“Alexei se n’è appena andato… temo sia più che consapevole delle nostre menzogne…”
“Appunto…”
Jet avanzò dopo aver sbottonato l’unico bottone della giacca…
“…Joe e Jonah non rispondono alle mie chiamate… dovrebbero essere fuori città ormai…”
Jack abbassò le palpebre scuotendo lentamente il capo… l’incompetenza dei suoi figli minori era come sempre fastidiosa…
“Credi abbiano avuto problemi?”
“Temo di sì padre…”
Lui non parve scosso né preoccupato, ancora una volta si bagnò le labbra perdendosi nei propri pensieri… mosse la sedia e contemplò una foto della sua famiglia appesa al muro… in perfetta armonia di altezze e proporzioni, il capofamiglia sedeva al centro, con accanto la sua signora, avvolta in una camicia di seta bianca, i lunghi capelli ramati raccolti in uno chignon perfetto… attorno a loro i quattro ragazzi, impeccabili nei loro abiti puliti... quell’immagine esprimeva a pieno l’ordine e la gerarchia della famiglia…
“Le donne sono creature semplici figlio mio…”
Jet raggiunse con gli occhi il punto d’attenzione del padre, cercando di star dietro al suo repentino cambio d’argomento…
“…vogliono essere conquistate… vogliono essere possedute, tenute a freno dai loro uomini…”
Jet fece per rispondere, ma si fermò, finalmente in grado di capire a cosa sua padre stesse riferendosi… Nataljia...
“…tuttavia figliolo, hanno bisogno di illudersi di poter prendere le loro decisioni… necessitano di essere soddisfatte nelle loro velleità…”
Lanciò un’occhiata al suo secondogenito…
“…dentro e fuori dalle lenzuola…”
Jet distolse d’istinto lo sguardo… da ormai due anni, ogni notte, si interrogava sui propri errori e tanto bastava, di certo non aveva bisogno che suo padre fra tutti lo accusasse di aver mancato… fortunatamente Jack parve immergersi di nuovo nei propri ricordi…
“Anche tua madre era così…”
Sospirò…
“…timida e delicata all’apparenza, ma selvaggia come una tigre… avrei dovuto costruirle una gabbia molto più grande…”
Si perse nella propria metafora, spandendo sale sulla ferita del tradimento subito… come aveva osato? Portare in casa sua il bastardo di un altro… sperando per giunta che non se ne accorgesse. Jet ne approfittò per tirarsi fuori…
“Perdonami padre, ma credo di dovermi occupare di un altro problema adesso…”
“I tuoi fratelli?”
Jet annuì…
“Cosa intendi fare?”
“Andrò al vecchio hotel e all’appartamento di Joe… voglio controllare che tutto sia andato come previsto…”
Lo Shimamura più anziano rispose con un gesto di assenso…
“Occhi aperti Jet… occhi aperti...”
Jet voltò lentamente le spalle e lasciò lo studio…
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Françoise venne fuori dal bagno avvolta in un morbido e profumato asciugamano azzurro, seguita da una nuvola di vapore al sandalo indiano… Drizzai muscoli e orecchie sentendola arrivare… durante l’ultima mezz’ora avevo sforzato le mie cellule cerebrali per ricordare quel nome, ma la sua ricerca non aveva dato frutti… Fenice doveva essere un nuovo acquisto della compagnia ed io non avevo idea del perché volesse tanto arrivare a mio padre…
La ragazza mi si parò davanti esaminando attentamente uno dei flaconi che aveva scovato in bagno…
“Dovresti usare un vero idratante… questa roba è una schifezza per la pelle…”
Sospirai esasperato… non ricordavo minimante come quel cosmetico da donna fosse finito a casa mia e soprattutto, non poteva fregarmene di meno… Françoise strizzò la confezione e prese a spalmarsi il fluido bianco sulle gambe con pigri movimenti circolari, quasi stesse improvvisando uno spettacolino sexy… sbuffai nervosamente ancora una volta…
“Che c’è?”
Domandò lei innocentemente, sollevando l’asciugamano per stendere meglio la crema…
“Ti piace quello che vedi, non è forse vero?”
Girai gli occhi all’altro lato della stanza, determinato a mantenere la concentrazione… essere stato ingannato era già abbastanza fastidioso, non c’era bisogno che «Fenice» me lo sbattesse in faccia, tanto meno che le curve del suo candido corpo mi distogliessero dai miei pensieri, primo fra tutti l’incolumità di Jonah...
“Guardami…”
Ordinò lei, ma io non mi mossi... allora mi raggiunse e sollevò il piede nudo sul divano, lasciando che un solo angolo di tessuto coprisse l’ultimo spazio tra le sue gambe… riprese ad accarezzarsi cercando di far assorbire la lozione e piegare la mia resistenza…
“Mi è piaciuto sai? Fare sesso con te…”
Vacillai, preso dal ricordo del nostro amplesso e dal profumo del mio docciaschiuma addosso alla ragazza dell’aereo…
“Avrei voluto urlare… chiederti di spingere più forte…”
Riprese lei con tono seducente ed io allora mi voltai, risalendo con gli occhi la linea della sua gamba scoperta fin su alle spalle ed al suo viso pulito… erano state l’ingenuità e la sua infantile ed indifesa innocenza ad attrarmi, entrambe totalmente sparite, ciononostante quell’espressione decisa ed il broncio da poco di buono solleticavano i miei ormoni… se la vecchia pudica ragazzina dell’aereo aveva acceso le mie fantasie erotiche, questa nuova versione, malvagia e lasciva, avrebbe meritato i miei più oscuri, perversi e sadici desideri sessuali… peccato avere le mani legate e cose più importanti a cui pensare…
“Dov’è Jonah?”
“In buone mani...”
Si limitò a rispondere lei chiudendo il flacone…
“Se gli fate qualcosa giuro che…”
“Cosa?”
Digrignai i denti…
“Ti faccio a pezzi…”
Françoise sollevò le spalle allontanandosi dal divano…
“Ho già sentito questa minaccia decine di volte… non hai nulla di meglio?”
Se ne stette immobile al centro del soggiorno per una manciata di secondi poi lasciò cadere l’asciugamano, mostrandomi la schiena nuda e la perfetta rotondità delle sue natiche… dovetti guardare per forza, sorpreso e allo stesso tempo colpito dal piccolo dettaglio di un tatuaggio a forma di F sotto la sua scapola sinistra… aveva il marchio, era davvero una dei Fantasmi Neri...
Françoise mi lanciò un’occhiata voltando il collo…
“E’ possibile che tu abbia dei vestiti da donna decenti qui?”
Non risposi neanche…
Lei sospirò sollevando le spalle e sparì nell’altra stanza… tornò da me una manciata di minuti più tardi… il mio armadio era privo di vestiti femminili, per cui aveva arrangiato una delle mie camicie come fosse un miniabito, tenendo sotto nulla più che una t-shirt scura… accarezzai con gli occhi le gambe nude, inevitabilmente scoperte fin più su di metà gamba.... i miei vestiti addosso ad una donna… era una novità… una piacevole novità, se non fosse che la donna in questione era uno dei Fantasmi Neri e non vedeva l’ora di strapparmi il cuore dal petto…
“Dimmi chi sei e cos’hai fatto a Jonah...”
Ordinai seccamente…
“Una cosa per volta… Jonah è con un mio amico, ma non preoccuparti, presto lo raggiungerai anche tu…”
Apostrofò lei puntandomi l’indice e la vista addosso…
Risposi allo sguardo reggendo i suoi occhi con tutta la decisione possibile… non vi era più timore in quelli di lei… nessuna emozione riconoscibile, se non un profondo stato di eccitazione, forse per la sua nuova posizione di comando, forse per il piano diabolico che aveva in mente… se solo avessi potuto allungare le mani le avrei strappato quell’espressione compiaciuta dalla faccia, rimettendola al suo posto in men che non si dica…
“Chi sei tu?”
Scandii ed ottenni uno sbuffo in risposta…
“Sei ripetitivo…”
“Conosco quelli del clan… tu non sei mai stata con loro…”
“Sbagliato… innanzitutto non conosci affatto tutti i Fantasmi Neri e, secondo, io sono una di loro, da sei anni ormai, il che prova ancora una volta che tu non sai niente sul clan…”
Digrignai i denti… se la ragazza aveva ragione, i miei problemi sarebbero diventati ancor più complessi…
“Vediamo…”
Fenice afferrò una sedia e si accomodò dritta di fronte a me…
“L’incendio che ha distrutto «La Salle de Paris» di New York anni fa… ti dice niente?”
Non mi scomposi… non ero solito seguire la cronaca locale, tantomeno gli affari della microcriminalità della grande mela…
Françoise si leccò le labbra…
“Forse questo lo ricordi… Gordon Miller, della Miller Enterprise… trovato carbonizzato nella sua Porsche dopo un terribile incidente d’auto… credo fosse amico del tuo caro paparino…”
Miller Enterprise, il nome non gli era nuovo… Jack aveva prestato una grossa somma al capo, un’operazione di import-export che avrebbe dovuto fruttare milioni e si era invece rivelata una completa fregatura… l’idiota in questione si era schiantato contro un palo della luce prima che i sicari di mio padre potessero fargliela pagare…
Françoise colse il bagliore di consapevolezza nei miei occhi e sorrise appena…
“Opera mia…”
La guardai stupito, lei riprese…
“E te ne dirò anche un’altra… ti ricordi di Gary e Bruce?”
Gary e Bruce... esecutori materiali delle sentenze di Jack, il primo trovato morto con un colpo in mezzo agli occhi, il secondo sparito nel nulla…
“Sono stata io…”
Aggrottai le sopracciglia…
“Perché?”
Françoise spostò lo sguardo…
“Come se ti importasse… a te non importa di nulla… tu sei come lui…”
Di nuovo mi arrivò vicina, prendendomi il viso nella mano e stringendo con forza…
“…e come lui meriti di soffrire…”
Mi tesi nella sua presa, scavandone lo sguardo alla ricerca di un indizio qualsiasi… la ragazza aveva dentro rabbia e dolore, rimorso e sofferenza… qualunque motivo l’avesse spinta ad unirsi ai Fantasmi Neri, l’organizzazione non era ancora riuscita a succhiare tutta la sua umanità… quel turbine di emozioni era il punto debole che avrei dovuto colpire…
“Che cosa ti ha fatto mio padre?”
Lei si staccò, improvvisamente infastidita…
“E tu perché lo chiami padre?”
Bella domanda…
Françoise si strinse nella mia camicia e mosse qualche passo nella stanza, ritrovando pian piano la sua facciata impassibile…
Mi lanciò un’occhiata micidiale…
“Ucciderò te, tuo padre e i tuoi fratelli… questo è tutto ciò che devi sapere…”
Prese a muoversi verso l’altra stanza, ma la mia voce la bloccò…
“Avete preso me e Jonah è vero, ma Jet è un’altra storia… non riuscirete mai a prendere anche lui…”
Françoise indugiò appena…
Voltò la testa sulla spalla destra, schiudendo le labbra in un mezzo sorriso seducente…
“Non preoccuparti… ho un’arma segreta riposta per lui…”
Rimasi a fissare il punto in cui lei era sparita, rimuginando in silenzio sulla situazione… Jet era più furbo di tutti noi messi insieme, qualunque fosse il tranello non avrebbe abboccato, ne ero sicuro…
Bussarono alla porta…
Mi irrigidii, pressoché certo che si trattasse proprio di mio fratello giunto in mio soccorso… la ragazzina, fantasma nero o meno, non avrebbe avuto chances…
I colpi alla porta si ripeterono, cadenzati e ritmati così da comporre una specie di melodia… Françoise tornò in soggiorno, si riempì i polmoni passando le mani tra i capelli e studiando attentamente la sua figura allo specchio… quella specie di musichetta ed il sorriso di lei spensero in me qualsiasi entusiasmo…
“La nostra limousine è qui…”
Scherzò lei…
Non appena la porta si aprì, il tizio sulla soglia venne dentro con passi fluenti… pelle chiara, capelli d’ebano tenuti su dal gel, grandi occhi color verde bottiglia… imprecai contro il cielo, l’ultimo tassello da aggiungere alla lista delle mie disgrazie… Big J... l’altro gemello Ryce…
Il nuovo arrivato si guardò attorno brevemente, poi rivolse gli occhi a Françoise... il suo sguardo la analizzò da capo a piedi…
“Hai un aspetto orribile…”
Sentenziò, ma in risposta non ottenne altro che un sorriso di scherno…
Spostai gli occhi e mi sforzai di pensare… perché Big J era lì? Era anche lui uno dei Fantasmi Neri? E Matt allora? Se i gemelli erano immischiati nella faccenda forse c’era davvero qualcosa di cui preoccuparsi...
L’ombra di Big J su di me mi riportò al presente… il suo sorrisetto, in perfetta stonatura con l’aria da bravo ragazzo, mi tese ancor più i nervi… odiavo i gemelli Ryce, così come si odia una scheggia di legno conficcata nel dito… detestavo le loro facce pulite e non sopportavo non sapere per cosa stesse quella stupida J... nessuno lo sapeva...
“Andiamo amico…”
Esordì il gemello…
“…il tuo caro fratellino ci attende alla festa…”
Ad un suo schiocco di dita due possenti energumeni entrarono in casa mia e mi sollevarono di peso, trascinando i miei piedi molli fuori dal portone… dietro di me Françoise e Big J…
“Hai lasciato l’invito per Jet?”
Domandò lui a Fenice… lei si arrotolò una ciocca di capelli attorno al dito, fiera ed impaziente…
“Certo… l’invito lo attende… in carne ed ossa…”
Parte 9
Quel posto era una vera bettola, i muri gocciolavano e tutta quell’umidità puzzolente iniziava a penetrarmi nella pelle della schiena… l’effetto del miorilassante era ormai sparito, quindi, ad occhio e croce, erano passate almeno due ore da che gli scagnozzi di Heinrich mi avevano depositato in quella stanza scura… il tizio che avevo di fronte, incaricato di «intrattenermi», si era già stancato da un pezzo di prendermi a pugni ed ora stava lì, con gli occhi incollati al suo telefono e la mente rapita da qualche stupido videogame o sito porno…
Stirai i muscoli del collo, prima a destra poi a sinistra, finendo testa al muro nel tentativo di roteare il capo… ero attaccato alla parete di mattoni e cemento, letteralmente incatenato per i polsi come in una sorta di stanza delle torture medioevale, senza poter far altro che allungare e piegare le ginocchia… il mio cervello era tornato al pieno dell’attivazione e tutti i miei pensieri giravano attorno all’unica idea di uscire di lì, possibilmente intero… continuavo a chiedermi se Jonah fosse da qualche parte nella mia stessa situazione o se la sua assenza significasse che qualcuno di quegli psicopatici aveva osato fargli del male… la sola idea mi fece ribollire il sangue… finii inevitabilmente per fissare il tizio davanti a me ed immaginarmi, a chiari colori, l’intreccio delle sue budella sul pavimento… Poco male che non avessi coltelli con me, avrei squartato tutti a mani nude se fosse stato necessario…
La porta della stanza si aprì di colpo mostrando, nella scia di luce dall’esterno, il nuovo aspetto pulito ed ordinato di Françoise… doveva essersi fatta un’altra doccia perché l’odore di muschio bianco era stato completamente sovrastato da una nuova fragranza di miele e lavanda… stucchevole… i suoi capelli rimbalzavano perfetti sulle spalle ed indossava disinvolta un paio di shorts e una maglietta…
“Vattene Nick...”
Ordinò senza nemmeno guardare l’altra persona nella stanza, i suoi occhi erano fissi, puntati come armi, addosso a me... il tizio eseguì senza fiatare… la porta gli si chiuse dietro e Françoise rimase in silenzio all’angolo della stanza…
Poi, lentamente, mosse qualche passo verso di me, ispezionandomi attentamente con lo sguardo…
Si avvicinò di due passi ancora, guardandomi dall’alto… dalla tasca posteriore dei pantaloni tirò fuori dell’acqua e piano svitò il tappo…
“Scommetto che hai sete…”
Piegò le ginocchia e mi avvicinò la bottiglia alla bocca solo per vedermi ritrarmi e girare il capo dall’altro lato a labbra serrate…
“Credi che sia davvero così vile? Non copierei mai lo stile di uno Shimamura…”
Precisò, mandando giù due sorsi pieni di liquido trasparente… tornai a guardarla, ancora sospettoso, ma assalito da bisogni primari… mossi i polsi cercando ancora una volta di venir fuori dalle catene, ma rinunciai ben presto… Françoise mi si inginocchiò di fronte, incrociando le gambe alle mie, portandomi lentamente la bottiglia alla bocca… il liquido mi scivolò abbondante sulla lingua e sul viso… mi sforzai di mandarne giù quanto più possibile… quel gesto di pietà avrebbe di certo avuto un caro prezzo…
Françoise lasciò cadere il contenitore a terra… Fenice, pensai, Fenice, sforzandomi di ricordare il suo vero nome e non più quello della ragazza che avevo salvato e desiderato. Dovevo dimenticare quel nome per sempre, anche se la donna di fronte a me in quel momento, così vicina ed apparentemente inoffensiva, le somigliava tanto…
“Perché sei qui? Perché non mi uccidi e basta?”
Lei poggiò le mani sulle mie gambe...
“Tu sei stato gentile con me… sto solo cercando di ricambiare il favore...”
“Non voglio la tua pietà...”
“E non ne avrai, sta’ tranquillo…”
Ribatté lei… si tirò su ed afferrò una sedia… per almeno cinque minuti nessuno parlò...
“Quindi era una bugia… ogni tua parola lo era…”
Alla fine fui io a parlare per primo, incapace di resistere alla tentazione di guardarla con sufficienza.
Era un’ovvietà, ma dovetti sforzarmi per non suonare disperatamente deluso nell’ammetterlo ad alta voce… Françoise mi rivolse uno sguardo più attento…
“In realtà non ti ho mai mentito…”
Sollevai il mento… mai come in quella situazione avevo dubitato della mia capacità di leggere le persone…
“…Françoise è il mio nome… e negli ultimi quattro anni ho davvero vissuto un’insulsa vita da cameriera aspettando questo momento, fidanzato traditore incluso…”
Si prese un attimo di pausa…
“…ovviamente sapevo già che si sbatteva un’altra, ma non posso lamentarmi troppo… dopotutto non sono mai stata una fidanzata appassionata...”
Trattenni tra le labbra un commento sarcastico… strano come invece io riuscivo a vedere passione in ogni sua mossa…
“Dimmi come hai fatto…”
La mia richiesta attirò gli occhi di Françoise su di me, lucidi e brillanti come veri lapislazzuli…
“Fatto cosa?”
“Come sapevi che mi sarei trovato su quell’aereo? Come sapevi cosa fare?”
Lei inspirò…
“Tutta la mia vita negli ultimi sei anni, tutto ciò che ho fatto, detto o anche solo pensato, tutto è stato per arrivare fino a qui, ad un solo passo da Jack Shimamura...”
“E’ per questo che Heinrich ti ha assoldata?”
Françoise scosse la testa…
“Lui non mi ha assoldata, mi ha salvata…”
Sollevai un sopracciglio perplesso, nella varietà del lessico umano di certo non avrei mai definito Albert Heinrich un salvatore…
“…negli ultimi sei anni, mentre mi addestravo e vivevo la mia finta esistenza, ho studiato ogni più piccolo aspetto della tua famiglia, seguito le vostre mosse, cercato i vostri punti deboli… ho aspettato pazientemente che arrivasse il momento giusto…”
“Johannesburg...”
Dedussi…
“…non riuscivo a credere che ti fossi fatto fregare dalla polizia, tanto meno che Alexei Smirnov fosse riuscito a farmi un simile favore… il Mamba servito su un piatto d’argento e dietro di lui, inevitabilmente, un fratello dopo l’altro…”
“Non ha senso…”
Scossi la testa…
“…come potevi sapere che ti avrei salvata?”
Qualcosa si accese nelle iridi della ragazza…
“Non lo sapevo… non sapevo nemmeno che ti avrebbero reimbarcato per New York mezz’ora dopo il mio arrivo a Johannesburg… se l’avessi saputo mi sarei di certo risparmiata uno scomodo viaggio…”
Prese fiato…
“…nessuno aveva previsto che Jet avrebbe buttato giù un intero aereo per te… tutto quello che dovevo fare era attirare la tua attenzione… starti dietro… una volta a terra gli altri Fantasmi Neri avrebbero fatto il resto…”
“E come sapevi che avrebbe funzionato?”
Si mosse lentamente raggiungendomi di nuovo… si inginocchiò di fronte a me…
“Perché conosco tutto di te, perfino le tue fantasie più nascoste… e so che tutte o quasi prevedono un piccolo angelo biondo desideroso di sporcarsi le ali...”
Con quegli occhi azzurri gettati nei miei, non riuscii a trattenere un brivido… molto probabilmente quella donna sconosciuta avrebbe potuto cavarmi l’anima e srotolarmela davanti come un libretto d’istruzioni…
“…quello che non potevo immaginare è che ti sarei piaciuta tanto da salvarmi...”
Abbassai lo sguardo, sbuffando nel tentativo di sminuire e deridere quella sua assurda convinzione… riuscivo a sentir chiara la vergogna della mia stupidità, ma non le avrei di certo concesso un balletto di esultanza…
“Il modo in cui mi hai guardata in quel bagno, come se fossi la creatura più fragile ed innocente del pianeta, come se mi desiderassi più di ogni altra cosa al mondo… mi hai fatto desiderare di esserlo davvero…”
Sollevai il viso e me la trovai vicina, di nuovo a pochi centimetri di distanza, candida e delicata come la prima volta che l’avevo vista, con i suoi grandi occhi color oceano sgranati e luccicanti… la sicurezza di pochi minuti prima svanita nel nulla…
Françoise lasciò scorrere i polpastrelli sul taglio ancora aperto sopra il mio zigomo, delicatamente, quasi non volesse provocarmi alcun dolore… trattenni il respiro stringendo le redini della mia psiche… mi stava fregando ancora, giocando con la mia mente come un’abile illusionista… la ragazza che avevo davanti non esisteva davvero, la mia ragazzina dell’aereo non era reale, anche se in quel momento sembrava tornata, nulla di lei era reale, nulla… dovevo convincermi di questo una volta per tutte, prima che la voglia di riaverla riuscisse a sgattaiolare fuori dalle barriere della mia ragione…
Quella donna era un mostro… doveva essere un mostro… una specie di mutaforma in grado di trasformarsi all’occorrenza, ora una spietata assassina, ora un’innocente ragazzina…
Françoise si portò le dita alle labbra…
Mi irrigidii, spiazzato da quel gesto totalmente inaspettato… non potevo farci niente... nonostante fosse il nemico, nonostante desiderassi ora più che mai spezzarle il collo, se lei lì, in quel preciso momento, mi avesse toccato ancora una volta, non avrei potuto essere certo di saper controllare il mio corpo…
Trattenni a stento la voglia di roteare gli occhi al cielo… vendetta o meno, quella donna sarebbe stata la mia fine…
La cosa più sicura da fare era cambiare argomento… immediatamente…
“Che cosa ti ha fatto mio padre?”
Ogni ombra di seduzione le sparì dal viso nell’arco di un secondo… Françoise si ritirò nel guscio come una lumaca quando gli si toccano le antenne… allontanandosi da me il più possibile inspirò a pieni polmoni…
“Ha ucciso la mia famiglia…”
Rispose fissando un punto indefinito oltre me…
Aggrottai le sopracciglia, non avevo idea di cosa c’entrasse la famiglia di Françoise Arnaul con la mia, ma l’ombra apparsa di colpo sul viso di lei non lasciava adito a dubbi… in qualche modo Jack era responsabile della morte di queste persone e la ragazza viveva solo per un unico scopo, ripagare la morte con la morte… vendetta, il più antico dei moventi dopo la gelosia…
“Io ucciderò la sua…”
Aggiunse contemplando il nulla, pregustando il sapore dell’espiazione e lasciandosi colare in una specie di realtà parallela…
“…e poi ucciderò anche lui…”
“Il rapporto della polizia dice che i tuoi sono morti in un incidente...”
Françoise sorrise a labbra strette…
“È quello che volevo credessi, ma non è andata così… i tirapiedi di tuo padre hanno ucciso i miei genitori a sangue freddo, senza pensarci due volte…”
Strinse i pugni e finalmente mi rivolse lo sguardo…
“Vuoi sapere qual è il ricordo che ho più nitido di quella sera?”
Non osai rispondere…
«Non si sfugge dagli Shimamura…»
Ripeté cercando di trattenere il disgusto…
“…così hanno detto… le ultime parole che mio padre ha sentito prima di morire…”
Rimasi in silenzio, bloccato dall’autenticità di quei pezzi di memoria che lei mi stava offrendo e che non riuscivo a collegare… per amore della mia sopravvivenza avrei dovuto indagare, cercare di capire, individuare il punto debole della sua motivazione eppure, consapevole di essere nulla più di un assassino, non avrei mai potuto mancare di rispetto alla morte… anch’io avevo perso mia madre qualche anno prima, l’unico genitore biologico che avessi ed unica persona al mondo che mai mi avesse amato…
Era stata una stupida emorragia cerebrale a portarla via ed io non avevo potuto far altro che accettarlo… il caso, il destino o Dio, se così lo si vuol chiamare, non sono certo nemici che puoi rincorrere e massacrare… nessuna vendetta per me...
Guardando il vuoto negli occhi di Françoise in quel momento qualcosa si mosse dentro di me... se l’assassino di sua madre avesse avuto un nome ed un volto, anch’io avrei spaccato le montagne pur di avere giustizia…
Cosa avrei potuto mai dire o fare che potesse farle cambiare idea? E perché poi? Jack meritava di morire, per mano di Françoise e di almeno un milione di altre persone…
“Perché vuoi uccidere anche noi?”
Lei sospirò, come se fosse ovvio…
“Morire e basta sarebbe troppo semplice… voglio che prima sappia cosa vuol dire restare soli al mondo…”
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Jet spinse la porta del locale seguito da due dei suoi uomini più fidati, troppo nervoso e preoccupato per notare le guardie di Smirnov che lo seguivano ormai da ore…
Il suo olfatto allenato non mancò di cogliere immediatamente l’odore di sangue stagnante che riempiva la sala… ogni nervo nel suo corpo si tese, ormai era certo che qualcosa fosse andato storto ed il cadavere scomposto del barista, imbrattato delle sue stesse cervella, ne fu la conferma…
Salì le scale due gradini alla volta, la pistola stretta nella mano destra…
Dentro l’appartamento di Joe la puzza di morte divenne quasi insopportabile… un altro cadavere… lo raggiunse di fretta, sollevato alla scoperta che non si trattava di uno dei suoi fratelli… quella faccia sconosciuta portava chiari i lineamenti del suo tormento… russi…
Notando i segni netti di un’arma da taglio se ne sentì sollevato… doveva essere opera di Joe, il che poteva solo dire che suo fratello si era difeso… tirò fuori il telefono dalla tasca della giacca e compose nuovamente lo stesso numero… nessun segnale all’altro capo… idem per il cellulare di Jonah...
Senza trattenere l’esasperazione, si rivolse ai suoi compagni…
“Controllate il palazzo…”
Loro si mossero e lui rimase lì, fermo ed inerme, totalmente perso nelle supposizioni… dove diavolo erano finiti? Era così assorto nei propri pensieri che solamente dopo un secondo si rese conto di non essere solo… la presenza era palpabile, vicina, respirava la sua stessa aria in maniera quasi impercettibile…
Strinse l’impugnatura dell’arma e si voltò di scatto, più che pronto a fare fuoco…
Lei…
Il mondo di Jet smise di girare… il freddo, crudele, intoccabile Jet riuscì chiaramente a sentire il crack del suo cuore di ghiaccio sotto la camicia di cotone italiano…
Lei era lì…
In carne ed ossa davanti ai suoi occhi…
“Sei anche più bello di quanto ricordassi…”
Il dolce suono della sua voce gli piombò addosso come un treno in corsa… due anni, due interi anni di nottate in bianco, tutte spese a chiedersi dove fosse finita ed eccola lì, comparsa dal nulla come un fantasma, come se non se ne fosse mai andata via davvero… i lunghi capelli, scuri e mossi, le incorniciavano il viso, la pelle chiarissima sempre perfetta ed i suoi grandi occhi marroni che sembravano volerne saltar fuori, contornati dal pesante trucco nero…
Nataljia...
Sua moglie…
“…tu?”
Lei sorrise, riempiendo la stanza di luce e togliendo a Jet ogni forza rimasta… in quel momento non era più uno spietato assassino, tantomeno un soldato addestrato alla peggior guerra… era solo creta, morbida creta nelle mani di una donna…
Gli fu chiaro più che mai… è proprio questo che intendono dire quando descrivono l’amore come la peggiore delle debolezze…
Nataljia, stretta in un paio di aderentissimi pantaloni neri, si mosse a passi lenti verso di lui, costringendolo ad abbassare pistola e difese senza che nemmeno se ne accorgesse…
“È davvero passato troppo tempo…”
Aggiunse, lasciandogli notare di non aver mai perso il marcato accento sovietico… lui non mosse un muscolo, tramutato in pietra dal tocco delle sue dita sottili sul collo della giacca… poteva sentirla… era reale…
Lei era reale…
“Dov’eri?”
Nataljia sollevò le iridi scure, accarezzando quel viso che credeva d’aver dimenticato…
“Perdonami Jet...”
Sussurrò… lui chiuse gli occhi per un solo istante…
“Per cosa?”
Anche l’altra mano di Nataljia si posò sul suo petto, leggera e morbida contro il lino del vestito…
“Per tutto quanto…”
I loro corpi si sfiorarono… il suo profumo gli riempì le narici… gelsomino... lo stesso di sempre…
“…ma soprattutto…”
Per l’ombra di un secondo sentì il suo respiro sulle labbra…
“…per questo…”
Concluse stringendo la presa attorno al bavero della giacca e facendo forza… il ginocchio destro di Nataljia gli si piantò dritto tra le gambe, togliendogli di colpo la vista… tramortito dal dolore non si accorse nemmeno della sua maestria nel togliergli di mano la pistola…
Un rapido cenno verso la porta ed altri tre, forse più, gli furono addosso… Jet sentì lo scatto consecutivo di almeno tre semiautomatiche… sollevò piano lo sguardo… lei era ancora lì…
“Che stai facendo?”
Teneva la sua pistola tra le dita, ma senza puntargliela contro…
“Ti spiegherò tutto Jet…”
Gli girò intorno a debita distanza…
“…ma prima dovrai venire con me…”
Jet seguì i suoi movimenti, registrando con la coda dell’occhio ogni minimo particolare... quattro uomini armati, di certo non russi… vicini, ma pur sempre troppo lontani... nonostante avesse con sé un’arma di riserva sarebbe stato impossibile raggiungerne anche solo uno senza lasciare agli altri il tempo di sparare…
Ma gli avrebbero sparato sul serio? Nataljia avrebbe davvero lasciato che gli sparassero?
“Dove?”
Domandò dopo l’attenta valutazione di ogni via di fuga…
“Dove i tuoi preziosi fratelli aspettano…”
Spalancò gli occhi… se c’era Smirnov dietro quest’attacco e quello di Johannesburg, e se c’era anche Nataljia in mezzo, avrebbe solo potuto dire che sua moglie era tornata al padre già da un pezzo… perché continuare quella faida allora? Perché Smirnov era in città? Perché sembrava non voler dar loro pace?
C’era un solo modo per scoprirlo… seguirla…
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Il russo vestito di nero, appollaiato sul tetto come una poiana annoiata, strinse gli artigli attorno al binocolo al primo cenno di movimento… più figure di quante ne fossero entrate stavano uscendo dal palazzo…
Ruotando l’obiettivo mise a fuoco la silhouette di Jet… non c’era dubbio che fosse lui… la donna che gli sfilava accanto d’altra parte… consumò il tasto dello zoom cercando di arrivarle il più vicino possibile…
Quei capelli e quel viso, stampati nella sua memoria…
Nataljia Smirnova, la figlia perduta del suo signore, camminava a passi svelti nel centro di New Orleans accanto al suo indegno marito…
Che fosse tornata? Che gli Shimamura la stessero tenendo nascosta?
Spinse immediatamente il tasto della trasmittente…
“Signore?”
All’altro capo il famigerato Alexei Smirnov
“Sono tutti morti?”
“Non ancora signore…”
“Allora perché sprechi il mio tempo Dimjtri?”
“Nataljia signore…”
L’improvviso silenzio dall’altro lato fu il segno del suo completo interesse…
“Perché osi nominare mia figlia?”
L’altro mandò giù calibrando le parole… due sillabe di troppo ed avrebbe pagato lui le conseguenze di quella scoperta…
“È viva… ed è qui signore, a New Orleans… con il figlio di Shimamura...”
Non poteva vederlo ma riuscì perfettamente ad immaginare la collera che riempiva ogni cellula del suo corpo… il solo sentir nominare Jet aveva annullato ogni gioia nel sapere viva la sua unica erede…
“Seguiteli… dovunque vadano…”
Quella non era questione per i suoi scagnozzi… una tale rivelazione meritava il suo intervento in carne, ossa ed esercito completo…
“Dimjtri?”
“Sì signore?”
“Perdili di vista e pagherai con la tua testa…”
Parte 10
Jet sospirò silenziosamente, lasciando scivolare la cravatta di seta nel tentativo di ottenere un perfetto nodo Windsor… ad ogni modo non era la sua apparenza a preoccuparlo, bensì il peso di quella responsabilità che lo attanagliava ormai da settimane… sposare una donna per far piacere a suo padre… forse era davvero troppo… non che credesse nell’istituzione matrimoniale, tantomeno nella storia dell’anima gemella, ma l’idea di legarsi a qualcuno solo per siglare un contratto riusciva a renderlo nervoso… Nataljia Smirnova, l’ultima ed unica volta che l’aveva vista avrà avuto non più di dodici anni, uno sguardo di pudore ed ansia sul suo giovane viso, nulla più che le sembianze di una bambina spaventata… altri dodici anni erano passati da quella «vacanza di famiglia» a San Pietroburgo e adesso non aveva idea di cosa aspettarsi, o di cosa dire, o di cosa fare…
“Vuoi farlo davvero?”
Sarà stata la ventesima volta in quella sola ora che Joe ripeteva la domanda, incapace di credere che Jet volesse sposarsi… sposarsi… non riusciva nemmeno a pensare quella parola senza il desiderio di vomitare…
Jet sistemò il colletto evitando di rispondere… Jonah si aggiunse alla conversazione…
“Joe ha ragione… non vediamo questa ragazza da un secolo! Voglio dire, potrebbe essere grassa come una balena o magari calva…”
Jet sollevò un sopracciglio…
“…vuoi davvero andare a letto con una balena calva?”
Il maggiore scosse la testa, ma senza dubbio anche lui ci stava pensando, seppur in altri termini… suo padre aveva buttato giù un contratto, aspettandosi un matrimonio ed ovviamente dei sani nipoti che perpetrassero il nome degli Shimamura… ciò voleva dire che avrebbe dovuto dormire con questa donna qualunque fosse il suo aspetto attuale e, soprattutto, qualsiasi fosse il suo stato d’animo… probabilmente la ragazza era disperata o spaventata e gli sarebbe toccato consumare i suoi doveri coniugali con un corpo freddo ed immobile, solamente per accontentare Jack, come sempre…
“È per la famiglia.”
“È solo per lui!”
Ribatté Joe
“…è solo per i suoi sporchi scopi e lo sai bene…”
Non era nemmeno troppo chiaro perché quell’idea gli bruciasse tanto… suo fratello sposato ad una russa, una russa sconosciuta che avrebbe un giorno ereditato l’intero mercato malavitoso del metano e del petrolio… il matrimonio… inutile negare l’ovvietà, se Jack non avesse sposato sua madre nessuno di loro sarebbe stato lì, eppure l’idea di ripetere i passi dei suoi lo disgustava… silenzi senza fine… discussioni agguerrite… gerarchie intoccabili… fotografie di sorrisi fasulli appese alle pareti… come biasimare sua madre per aver dormito con un altro?
Nataljia avrebbe prima o poi fatto lo stesso, sbattendosi l’autista o il giardiniere alle spalle di suo fratello, finendo per sfornare un altro piccolo bastardo come lui… Jet lo avrebbe odiato, maltrattato, umiliato, trasformandosi lentamente in una nuova copia di Jack... la storia trova sempre il modo di ripetersi…
La porta della stanza si spalancò, riportando tutti alla realtà… Jacob, relegato al ruolo di annunciatore, rivolse loro un cenno del capo…
“Di là ti aspettano…”
Il taciturno primogenito, capelli lisci, naso appuntito e spalle larghe, non aggiunse nulla di più… stare in secondo piano rispetto a Jet aveva dei lati positivi dopo tutto, ad esempio il potersi scegliere una donna da solo… non che Jack fosse minimamente al corrente della sua liaison con la figlia della governante…
Jet annuì… era il momento di compiere l’ennesimo dovere… con un po’ di fortuna Nataljia si sarebbe rivelata una moglie silenziosa e lui avrebbe trovato abbastanza improrogabili impegni da non doverle stare vicino troppo a lungo…
Ignorando Joe e lo scuotere del suo viso, raggiunse a testa alta il grande salotto… il camino era acceso e l’argenteria brillava sulla tovaglia damascata, segno che suo padre voleva far colpo… e che a lui non era concesso sbagliare…
“Ecco qui il fortunato!”
Tuonò Jack raggiungendolo sulla soglia…
“Vieni figliolo…”
Poggiandogli una mano sulla spalla, proprio come un vero padre avrebbe fatto, lo condusse al centro della stanza dove Alexei sorseggiava vodka pura senza ghiaccio… un gentile omaggio portato dalla sua terra… ogni aspetto di quella situazione ricordava fastidiosamente le dinastia monarchiche… il magnate russo sgranò lentamente un sorriso, quasi fosse un gesto innaturale…
“Jet…”
Gli porse la mano, gelida come la neve nonostante il fuoco acceso… il giovane rispose alla stretta con altrettanta energia…
“Sto per affidare a te il mio più prezioso tesoro…”
Jet si limitò ad annuire… il ghigno forzato sul viso pallido del sovietico lasciava intendere tutt’altro avvertimento… gli avrebbe fatto patire amare sofferenze se non avesse garantito l’incolumità e la soddisfazione della sua unica figlia, sangue del suo sangue…
“…vieni figlia mia…”
Dall’angolo della stanza, fuori dal rifugio offerto dalla grande libreria di quercia, si rilevò la tanto attesa promessa sposa… lunghi capelli scuri sulle spalle minute, grandi occhi d’ebano, lunghe ciglia nere ed una piccola bocca a cuore, carnosa e perfetta su quel viso bianco come latte…
Avanzò abbassando appena lo sguardo, le gambe tornite esposte fino al ginocchio, la vita sottile ed i fianchi rotondi, abbracciati dal raso del vestito nero… pareva fosse vestita per un funerale piuttosto che per una festa di fidanzamento, non fosse per i piccoli bottoni in madreperla lasciati aperti sulla scollatura… il seno piccolo e rotondo si lasciava facilmente immaginare…
Nessun dubbio, la piccola Nataljia era cresciuta bene…
Jet deglutì davanti a quella visione… si sarebbe aspettato di tutto, ma mai quel vuoto al cuore…
Nataljia gli improvvisò un inchino di fronte, mostrando il giusto rispetto al futuro suocero…
“Felice di rivedere voi…”
Azzardò, con l’accento di chi, nonostante l’altissima educazione, non parla spesso la sua seconda lingua…
Jet sentì la gola secca e le mani umide, come mai gli era successo prima, nemmeno quella volta che aveva versato cianuro nel bicchiere dell’ambasciatore cinese, proprio nel bel mezzo del gran gala alla Sotheby’s… la pronuncia marcata, il suono quadrato di qualche vocale in più, non toglieva alcun fascino a quella visione celestiale… la sua futura moglie…
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“Spero non sia necessario incatenare anche te…”
Il suono della sua voce non era cambiato, tantomeno l’abitudine di raccogliere continuamente i capelli sulla spalla sinistra… Jet rimase in piedi, braccia tese sui fianchi e spalle al muro, così da poter monitorare tutti i 180 gradi della sua visuale…
Nataljia aveva lo stesso aspetto, lo stesso fuoco negli occhi, le stesse movenze sinuose, tuttavia sembrava una persona del tutto diversa… continuava a tenergli gli occhi addosso, ma ogni singola volta che rischiava di incrociare quelli di lui, il suo sguardo cambiava immediatamente direzione… strano, vista la sicurezza con cui gli si era avvicinata nell’appartamento di suo fratello…
Lui, d’altro canto, non riusciva a proferire parola…
Al di là della porta Joe e Jonah attendevano buone nuove seduti su scomode sedie impagliate, le mani legate dietro la schiena… entrambi segnati in viso dalle percosse subite, si erano intesi alla perfezione con un solo sguardo: nessuna inutile conversazione, nessuna parola di troppo, nessun segno di ribellione o cedimento…
Joe rivolse un nuovo sguardo ai gemelli con la coda dell’occhio… rispetto alla sua prima sistemazione quella sedia sembrava morbida come piume d’oca sotto il suo sedere ed aveva almeno due buone ragioni per sentirsi sollevato: prima che lo trascinassero lì, lasciato finalmente solo, era riuscito a concedersi qualcosa come un’ora di sonno rem… fondamentale… seconda e più importante ragione, Jonah era ancora vivo, tutto intero ed accanto a lui… ora non restava che trovare una falla nel piano dei Ryce e non vi era dubbio che ve ne fosse almeno una, specialmente conoscendo la loro impulsività…
L’atmosfera era troppo rilassata lì dentro… era appoggiato alla parete con tutto il proprio peso, la gomma del suo scarpone destro raschiava l’intonaco cadente… Matt dava loro le spalle, tenendo le mani in tasca mentre sussurrava qualcosa alla sua copia… nessun altro nella stanza, nessuna traccia di Françoise… Joe strinse i denti di riflesso, non era proprio il caso di pensare a lei adesso, soprattutto dopo l’ultima conversazione… con tutto quel desiderio di vendetta e quei meccanismi mentali contorti, la ragazza dell’aereo era ormai una causa persa…
La morte dei suoi genitori tuttavia, raccontata attraverso pezzi di flashback che lui poteva solo immaginare, aveva inevitabilmente risvegliato i nitidi ricordi di un’altra dipartita…
Riusciva ancora a vederlo perfettamente, il volto di sua madre addormentato, il suo corpo steso a terra, stranamente privo della sua compostezza, in mezzo ad una nuvola di pillole per il mal di testa sparse sul tappeto… si era avvicinato lentamente urlando il nome di Jet, per la prima volta in vita sua terrorizzato da qualcosa… le si era inginocchiato accanto allungando piano la mano, invocando più e più volte «mamma» a mezza voce… era ancora calda e morbida… i lunghi capelli ramati stesi sul pavimento, il pallore della morte che pian piano si prendeva le sue labbra… in quel momento infinito aveva urlato anche il nome di suo padre, desiderato perfino la sua presenza purché qualcuno condividesse quel dolore, quel taglio al cuore che non poteva, non riusciva a sopportare…
Dopo l’arrivo del fidato medico di famiglia ed una seduta privata in stanza da letto cui Jack aveva voluto partecipare da solo, il verdetto era stato inoppugnabile… morte naturale per emorragia sub aracnoidea, fatale e del tutto imprevedibile… pur essendo uno Shimamura, un uomo senza amore né sentimenti, quella scena l’avrebbe tormentato per sempre…
La porta si aprì di scatto, spingendo dentro un tizio in completo scuro…
Jet…
I fratelli minori tesero i muscoli contro il legno, Jet era lì presente, senza segni di percosse né catene ai polsi… dietro di lui il ticchettio di tacchi sul pavimento, una donna dai lunghi capelli scuri che avanzava con la sicurezza di una top model, una scarpa firmata dietro l’altra… sollevò appena lo sguardo con la sfida tra le ciglia…
Nataljia Smirnova... ancora più troia di quanto ricordasse, stretta nella sua tenuta da film sadomaso…
Non aveva senso, ma comunque resistette alla tentazione di parlare… con Jet non era necessario… come se non fosse abbastanza si aggiunse alla scena Françoise, sfilandogli davanti con gli occhi al pavimento e le sue belle gambe avvolte nei jeans slavati… i suoi stivali di pelle marrone la portarono fino all’angolo…
“Ecco… vivi e vegeti…”
Nataljia rivolse loro un cenno disinteressato, mantenendo gli occhi su Jet… l’attenzione di quest’ultimo totalmente catalizzata al centro della stanza…
“Liberali…”
Lei si concesse un sorriso sardonico…
“Non così semplice…”
Stavolta Jet si voltò a guardarla, sforzandosi di patire la sua concreta presenza…
“Che cosa vuoi?”
La stanza era affollata, piena di persone nervose che consumavano ossigeno, eppure la scena pareva svolgersi tra due attori solamente…
“Chiama tuo padre…”
“Perché?”
“Fa’ venire qui tuo padre e ti prometto che almeno uno di tuoi preziosi fratelli uscirà da qui sulle sue gambe…”
Il tono ancora caldo ed avvolgente nonostante le minacce… Jet strinse i pugni…
“No…”
Nataljia sollevò il viso, scontrandosi con i suoi occhi per la prima volta, ardente dello stesso risentimento che alimentava il marito…
“Non ti fidi?... io mantengo sempre mie promesse…”
“Non sempre...”
La risposta fu immediata ed inevitabile, sfuggita alle sue labbra con uno spasmo di muscoli addominali… più o meno fasulla che fosse, aveva comunque infranto la più solenne delle promesse… finché morte non ci separi… probabilmente era convinta che con uno come lui la morte non si facesse attendere poi tanto…
Quella piccola provocazione le rimbalzò di fronte, facendo tremare le morbide curve del suo labbro superiore… c’era così tanta rabbia dentro di lei, così tanto risentimento nascosto dall’ostentazione, un bruciore ancora insopportabile… Jet non poteva vederlo, non ne era capace, non si era mai neanche minimamente accorto che fosse lì…
“Chiama Jack.. myж…”
Nataljia era sempre stata la più brava dei due ad individuare i punti deboli… non a caso la scelta di chiamarlo «marito» in un russo suadente, così come era solita fare nell’intimità della loro stanza, quando il riverbero dell’orgasmo abbassava le loro difese, facendoli sembrare la più comune delle coppie…
I suoi fianchi stretti tra le mani, la pelle liscia appena un po’ umida dopo la prolungata frizione tra i loro corpi, i suoi lunghi capelli mossi che gli solleticavano il petto, le ginocchia di lei incollate alla vita, il respiro ancora accelerato e quel sorriso… quel sorriso…
“Moй myж…”
Nataljia lasciò scorrere le dita sul viso di Jet, indugiando con l’indice sulle sue labbra schiuse…
Jet inspirò accarezzando il suo seno con gli occhi ancora una volta, concedendo a sé stesso il più disarmato dei momenti… la donna che suo padre aveva scelto per lui riusciva a svuotargli corpo e mente, riempiendolo di pensieri che non avrebbe mai pensato di avere… la fredda sconosciuta venuta dall’est portava il fuoco dentro…
“Moя Жeha…”
Rispose lui contraendo gli addominali per tirarsi su, gambe intrecciate tra le lenzuola ed occhi allo stesso livello, chiaro contro scuro… Nataljia sorrise di nuovo come ogni volta poiché adorava sentirlo usare la sua lingua natia, perché riusciva a sentirsi a casa… il sorriso sparì presto lasciando spazio all’emozione del momento, insicura, fragile ed inaspettata… gli poggiò le mani sulle spalle, avvicinando lentamente la bocca a quella di lui, prendendola in un bacio lento e delicato…
Poteva succedere davvero? Innamorarsi di qualcuno che non abbiamo scelto? Innamorarsi?
La vibrazione del telefono contro il legno del comodino distrusse il momento… Nataljia abbassò gli occhi spostandosi nella sua parte di letto, Jet allungò il braccio per afferrare il cellulare…
“Padre…”
Una breve attesa silenziosa…
“…va bene… arrivo subito…”
Sempre così, le telefonate di Jack non duravano più di trenta secondi… le sue richieste erano sempre dirette e mai, mai, si era posto il problema di chiedere se Jet avesse qualcosa di più importante da fare…
Non che Jet avesse qualcosa di più importante da fare…
Nataljia tirò su le lenzuola che lui aveva scostato e si coprì fino alle spalle… Jet infilò calzini e pantaloni dandole le spalle…
“Che succede?”
Lui raggiunse l’armadio scegliendo una camicia pulita color panna…
“Non lo so…”
Rispose… ogni mattone del suo muro era già tornato al proprio posto… si infilò la giacca e passò il pettine tra i capelli, rimettendolo nel suo esatto posto sulla mensola di marmo del bagno… girò attorno al letto e le si avvicinò, curvando la schiena per poggiarle un bacio sulla fronte…
“Torno più tardi…”
Non poteva darle indicazione migliore… Nataljia sprofondò nel materasso dopo lo sbattere del portone, trovandosi sola col resto della sua giornata ancora una volta…
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“Chiama Jack.. myж…”
Era riuscita a scurirgli lo sguardo…
“Perché?”
Non gli piaceva ripetere le domande… indicò i suoi fratelli ancora una volta…
“Perché loro sono l’unica cosa di cui ti importa…”
Sollevò il sopracciglio destro…
“…non è vero?”
Jet strinse i pugni trattenendo l’istinto di afferrarla per il collo e sbatterla al muro…
“Fallo venire qui o muoiono subito…”
A quelle parole Big J si scostò dalla parete, brandendo un coltello finora nascosto sotto la maglietta… afferrò Jonah per i capelli e mostrò le sue chiare intenzioni… il minore degli Shimamura non si scompose, mentre Joe gli digrignava i denti accanto…
Quella scena gli spostò un nervo di troppo… Jet espirò rumorosamente e fece per muoversi verso il gemello dai capelli pieni di gel…
“Io ti…”
“Fermo…”
Lo interruppe Matt con indifferenza, abbandonando l’angolo per andargli vicino, ruotandogli intorno fino a raggiungere il fianco di Nataljia... le avvolse la vita con un braccio, un gesto semplice che svelava una certa confidenza…
“…ti consiglio di valutare bene la prossima mossa…”
Concluse avvicinando il viso alla chioma di Nataljia, inspirando il dolce antico profumo di gelsomino… lei non si mosse di un millimetro, tesa per la situazione, ma a suo agio nella presa del nemico… Matt sorrise osservando la reazione di Jet con la coda dell’occhio, godendo della rabbia pura che gli andava dipingendo il viso… non troppo inconsciamente sperava che l’altro cedesse alla tentazione e gli fornisse una buona scusa per scatenare la rissa… il suo amore per il sangue non aveva limiti, non gli sarebbe dispiaciuto mandare tutto a monte per lo scrocchio di ossa rotte sotto le sue nocche anzi, avrebbe volentieri organizzato una parata per sbattere in faccia a Jet ciò che gli aveva preso… quel presuntuoso...
“Porta qui quel coglione di tuo padre…”
Jet non aveva occhi che per lei mentre lentamente tirava fuori il cellulare dalla tasca… tutta quella vicinanza tra Ryce e Nataljia gli aveva portato alla mente un’immagine insolita, uno strisciante crotalo adamantino… cosa non avrebbe dato per avere una dose del suo veleno da sputare in faccia a Matt, cosa non avrebbe dato in quel momento per guardare la sua faccia perfetta decomporsi tra atroci dolori, lasciandolo dissanguare senza pietà…
“Padre, ho bisogno di te qui… vecchio deposito di Lennon... capannone 21...”
Era fatta… con la speranza che Jack portasse con sé un intero esercito…
Matt sorrise di nuovo…
“Padre…”
Ripeté accentuandone il suono per schernirlo…
“Dev’essere alquanto castrante dover ancora sottostare alle regole del vecchio…”
Di nuovo passò le sue sporche mani tra i capelli della russa, attorcigliando una ciocca attorno al dito e premendo il suo corpo contro il fianco di Nataljia…
“…non mi sorprende che tua moglie abbia cercato qualcosa di meglio…”
Colpo basso… Joe assisteva alla scena dalla sua postazione, sperando che suo fratello non abboccasse all’amo… per quella troia non valeva davvero la pena… Jack non si sarebbe mai presentato da solo e le corde attorno ai suoi polsi iniziavano già ad allentarsi per il lento movimento continuo… sarebbe arrivato anche a slogarseli se fosse servito ad uscire vivo da lì… non poteva certo dare la soddisfazione della sua morte a questi vermi… i suoi occhi si spostarono su Françoise, unica anima nella stanza che non aveva ancora aperto bocca… era visibilmente nervosa, rigida come un palo contro la parete… poteva vederlo anche da lì, bramava quel finale, bramava l’arrivo di Jack più di ogni altra cosa al mondo, del resto di loro non le importava assolutamente nulla…
Il Mamba si prese un attimo per riflettere, arrivando alla conclusione che quel misero piano faceva acqua da tutte le parti… per quanto i gemelli fossero stupidi, non potevano aspettarsi davvero che Jack si presentasse da solo ad un invito inaspettato, benché fosse venuto dal suo figlio preferito… quattro contro quattro, un incontro alla pari, solo che… si guardò di nuovo attorno… Matt e Big J non avevano remore né scrupoli, probabilmente erano pronti a scagliarsi in mezzo a qualsiasi mischia... Françoise era una bomba ad orologeria arrivata all’ultimo minuto di conto alla rovescia, un elemento del tutto inaffidabile… Nataljia d’altro canto… non che avesse una qual si voglia ammirazione per le abilità della cognata, ma senz’altro l’effetto sorpresa poteva rivelarsi a loro vantaggio, lasciando il tempo ad uno degli altri tre di sparare un colpo in più…
Ma dov’era Heinrich in tutto questo? Non era forse sua l’idea di base di far fuori Jack e prole? Possibile che lasciasse organizzare ai suoi soldati un piano tanto scadente? A meno che… gli balenò nel cervello l’idea che anche Albert Heinrich fosse lì, attorniato dai migliori cecchini, comodamente seduto da qualche parte ad aspettare l’istante perfetto per la sua entrata in scena… ecco, quello sì sarebbe stato un buon piano… Jack poteva aspettarsi parecchie grane, ma non avrebbe mai pensato che fossero i Fantasmi Neri a pestargli i piedi…
Doveva muovere le mani in fretta, dislocando il pollice dalla sua sede naturale per liberarsi il più velocemente possibile… il tutto senza fare alcun rumore, restando ai margini della scena come fino a quel momento…
“Brucia vero?”
Matt non mostrava intenzione d’interrompere la sua tortura, suonando i nervi di Jet in un ritmo veloce e sguaiato, fatto di sorrisetti ammiccanti e strusciatine alla sua donna… Nataljia restava immobile, forte di una ritrovata sicurezza… era anche la sua vendetta dopo tutto…
“Sarà questa l’ultima scena che ricorderai…”
Aggiunse, passando volgarmente la lingua sulla guancia della donna, lasciandogli esclusivamente immaginare quante altre confidenze si fosse preso con la sua consorte… Jet raggiunse il limite, pur essendo un eccellente freddo calcolatore, il suo orgoglio ribolliva nero e pastoso come catrame… era pronto a scagliare ogni sua arma, pronto a massacrare quell’essere ripugnante… strinse i pugni e si piegò su se stesso in un rapido movimento fluido… dietro di lui la canna di una pistola si tese tra le sue scapole, tenuta dritta e ferma tra le mani della giovane Fenice, l’insignificante biondina che suo fratello aveva ripescato nell’oceano e che lui avrebbe dovuto uccidere immediatamente… c’era da ammetterlo, tra tante capacità e specialità cui erano stati addestrati, proprio nessuno aveva speso una parola con loro sul come comportarsi con le donne… che venisse da lì il pessimo gusto nello sceglierle?
Joe piantò gli occhi sulla scena… non c’era certo da affidarsi all’autocontrollo di Françoise, totalmente sul punto di esplodere non avrebbe pensato due volte prima di far secco Jet...
“No!”
Le urlò, bloccando il suo dito sottile sul grilletto… Françoise sussultò appena, spostando la mira dal maggiore verso il Mamba… tutta la stanza sembrò tremare, satura di tensione ed eccitazione… qualcosa doveva succedere lì dentro…
Françoise inspirò profondamente sollevando appena le ciglia… i suoi grandi occhi azzurro cielo sembravano quasi riuscire ad attraversarlo da parte a parte… aveva condiviso qualcosa con quell’uomo che tanto odiava, singoli momenti in cui aveva concesso a piccoli frammenti di sé di venire a galla… ora le sembrava quasi di riuscire a sentire qualcosa, qualcosa di simile ad un’emozione vera, una sensazione che non avrebbe potuto decifrare… Joe Shimamura era l’unica persona a cui avesse raccontato la sua storia… Aveva sempre pensato che il mondo sarebbe crollato se avesse confessato a qualcuno di aver sofferto, di sentire la mancanza dei suoi genitori come una bimba spaurita ed indifesa… eppure il mondo girava ancora, incasinato come sempre…
Una cosa doveva comunque riconoscergliela, aveva avuto abbastanza umanità e rispetto da non riderle in faccia… non le aveva risposto neanche, nonostante il prezzo da pagare fosse la sua stessa vita… sorprendente…
Françoise sistemò il peso del proprio corpo sulle assi del pavimento allargando leggermente le gambe e decise che avrebbe sparato… adesso, lì, senza aspettare Jack, senza ripensamenti… non poteva sopportare un secondo in più di quell’umano sentire, non poteva tollerare l’idea che il suo subconscio stava suggerendo… non l’avrebbe lasciato vivere… no… riusciva a renderla debole… non l’avrebbe lasciato vivere…
Trattenne il respiro e strinse la pistola…
Joe deglutì… stava succedendo tutto in un secondo, ma sembrava scorrere come un film al rallentatore… la sua mano destra stava lentamente scivolando fuori dal triplo nodo, ma le era comunque troppo lontano, non l’avrebbe mai raggiunta in tempo…
La ragazzina dell’aereo si era rivelata la peggior scelta della sua vita… l’unica buona azione della sua esistenza che gli si ritorceva contro… che ironia… tutto per aver ascoltato uno stomaco ed un cuore che credeva ormai morti da tempo, fino all’attimo in cui Françoise Arnaul gli aveva attraversato la vista…
Gli venne da sorridere ed abbassò lo sguardo…
Solo allora riuscì a notarlo… il minuscolo puntino rosso luminoso che tremava appena addosso a Françoise, più o meno all’altezza del suo fegato… un mirino laser…
Calcolò in una frazione di secondo l’angolazione e la distanza… veniva da dietro di lui, dal piccolo lucernaio che lasciava filtrare una lacrima di sole… qualcuno li stava osservando, qualcuno la teneva sotto tiro…
Possibile che Jack fosse stato tanto rapido e previdente?
Françoise si accorse del repentino cambio d’espressione ed allentò ancora una volta la presa sul grilletto, seguendo con gli occhi lo sguardo di Joe rivolto al suo ventre…
Puntino rosso… immediatamente puntò le pupille al lucernaio, facendo gli stessi calcoli di Joe in una frazione di secondo…
“Ma che…”
Non finì nemmeno la frase… i suoi muscoli scattarono d’istinto e saltò in avanti, finendo dritta contro la sedia di Joe, facendolo cadere e liberandolo dell’ultimo pezzo di corda senza nemmeno accorgersene…
Il proiettile diretto al suo fegato esplose in un mezzo boato e si conficcò nel muro, scatenando in un secondo la più inaspettata confusione… Jack? Heinrich? Un’altra trappola?
Qualcosa si scagliò contro la porta chiusa della stanza, mettendo in seria difficoltà il legno della sua struttura… un tonfo e un altro ancora, accompagnato dallo scricchiolio del rovere… le facce di Matt e Big J confermarono la loro estraneità alla situazione e Jet non attese un secondo in più prima di approfittarne… doveva trattarsi di Jack, solo lui avrebbe potuto seguirli fin lì…
Concluse il movimento iniziato poco prima e dall’interno del calzino sinistro tirò fuori una specie di capsula metallica… premuto solo un tasto la lanciò a terra e l’aggeggio iniziò immediatamente a sputare denso fumo grigiastro dall’odore pungente… ne aveva sempre un paio con sé, nascoste nei posti più impensati, pronto a lasciarle esplodere per sparire dalle situazioni scomode come un vecchio mago o il ninja di un film di serie B…
A lui quell’odore non dava alcun fastidio, lasciandogli fiato e vista più a lungo che ai Fantasmi Neri... si scagliò contro Matt mollandogli un pugno sul naso ben assestato, mentre con l’altra mano afferrava l’avambraccio di Nataljia in una stretta presa…
Joe riuscì finalmente a tirarsi su, la mano sinistra era ancora intrecciata alla corda, ma poteva bastargliene una per rubare il coltello di mano a Big J e concludere l’opera silenziosamente iniziata da Jonah… anche l’altro fratello balzò in piedi, bloccato nelle sue intenzioni dallo spalancarsi della porta… tre tizi incappucciati di nero si gettarono nella stanza coi fucili puntati, accolti dalla nuvola di grigio…
Non è così che vestono i soldati di Jack...
La rissa fu inevitabile, seppur scatenata nella semi cecità… Jet voleva solo uscire dì lì il prima possibile, ma uno degli sconosciuti gli bloccava l’uscita e probabilmente una sola mano era davvero troppo poco per fermare un kalashnikov… poco male, non avrebbe mollato Nataljia per nessuna possibile ragione al mondo, nonostante lei continuasse a graffiargli il polso nel tentativo di liberarsi…
Jonah mise definitivamente a terra Big J, correndo in aiuto del fratello maggiore preso a disarmare un altro degli imbucati… quest’ultimo respinse Joe con un calcio, allontanandolo abbastanza da potergli puntare il fucile in fronte… ci fu un solo secondo di panico, uno appena prima che Françoise sparasse il colpo decisivo con la sua pistola, dritto nella tempia dello sconosciuto…
Joe rimase di sasso… sbaglio o la ragazza dell’aereo gli aveva appena salvato la vita?
Françoise puntò l’arma verso l’uscita… le bruciavano gli occhi e non vedeva molto più che sagome in movimento, tuttavia doveva fuggire in fretta e quella era la sola via di fuga possibile… se avesse preso Jet tanto meglio… se fosse stata Nataljia beh, comunque non erano mai state troppo amiche…
Sparò tre colpi, uno dietro l’altro, guardando cadere la sagoma scomposta del suo ostacolo… la porta fu libera e tutti, senza distinzione di sesso o fazione, si precipitarono fuori dalla nuvola… qualcuno riuscì a passare subito, qualcuno forse no…
Jet sbatté contro un corpo duro e gelido appena fuori dalla soglia del capannone 21… Nataljia smise di tirare verso la parte opposta…
Pochi secondi per riabituare gli occhi alla luce e gli fu di colpo chiaro chi fossero quelle persone… quel maledetto viso spigoloso…
Dietro le spalle di Jet, Nataljia allentò la presa sulla mano che la teneva prigioniera, il suo tocco non più ostile, ma deciso, come se gli si stesse aggrappando per sfuggire da un nuovo pericolo, ben più temibile di un matrimonio fallito…
Fu proprio lei a parlare per prima..
“Oteц…”
Sussurrò tra i denti...
Oteц, parola russa che sta per «Padre»…
Parte 11
“Oteц…”
Jet mosse un istintivo passo indietro, mollando lentamente la presa sul braccio di Nataljia... Lei avanzò tremolando, con gli occhi sbarrati e l’espressione di una bimba scoperta a rubare i biscotti dal vaso sul frigorifero... tutta la sua sicurezza, tutta la sua arroganza e l’insolenza si sgretolarono all’istante, incenerite dagli occhi scuri e pesanti di suo padre, avvolto in un cappotto nero dal colletto sollevato… il vento sembrava soffiargli attorno senza il coraggio di sfiorarlo…
Si gettò sulle ginocchia, prostrata dinanzi a lui…
Jet la guardò piegarsi su se stessa come una foglia accartocciata, con la testa bassa ed i capelli che sfioravano l’asfalto… quella rapida caduta era più di quanto avesse mai visto di sua moglie…
“Perdonami padre…”
Le uscì un filo di voce e Jet socchiuse le labbra… era davvero tanto terrorizzata o semplicemente una grande attrice?
Alexei abbassò lo sguardo sulla figlia, serio e muto come una tomba… analizzò la sua figura interamente e si sentì disgustato dal suo aspetto volgare, dagli abiti da prostituta, dall’uomo che si portava dietro… mosse un solo passo, allungando la pallida mano per sollevarle il mento… incredibilmente riuscì a farsi più cupo di quanto già non fosse, ulteriormente offeso dal trucco pesante sul viso della sua bambina, educata con sforzo e pugno fermo come degna erede del suo impero, protetta come una novizia fino all’ultimo momento…
Col dorso della mano destra le tirò uno schiaffo in viso, tanto forte e tonante da farle perdere l’equilibrio… Jet sobbalzò contro la propria volontà nel vederla crollare sui palmi, ignorando totalmente il cellulare che aveva preso a vibrare nel taschino interno della giacca…
L’atmosfera cambiò in un solo istante… Alexei si avvicinò di nuovo a Nataljia, stavolta fluido nei suoi movimenti… si abbassò alla sua altezza ed afferrandola piano per le spalle la sollevò per stringerla in un abbraccio… una stretta rigida, muta, ma pur sempre paterna…
“пpoctиtе mehя oteц…”
Lo pregò di nuovo, stavolta nella loro lingua, ricercando un’ulteriore intimità cui, chiaramente, non erano soliti...
“ты moя kpobь…”
Rispose lui tornando dritto davanti alla figlia… Jet doveva ammetterlo, non era mai stato un brillante studente di russo, ma gli arrivò chiara alle orecchie la parola «sangue», il liquido rosso che scorre nelle vene, che pompa nel cuore e che conserva l’eredità degli antenati… per persone come loro il sangue è il più forte dei legami, un vincolo che nulla può spezzare, nemmeno l’alto tradimento…
Fu solo allora che il magnate sovietico si rivolse a lui, dopo aver ridato a Nataljia il posto che le spettava di diritto, la sua destra…
“Sei un uomo morto Jet...”
Cadde il silenzio, venuto giù col macigno di quella sentenza… a fare da unico sottofondo il cupo bzzz che continuava a vibrare contro il petto di Jet…
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Stavo correndo, sentendo come se stessi correndo per la mia stessa vita… più i miei piedi battevano sul cemento, più le mie anche ruotavano, più forte sentivo ogni segno di stanchezza e fatica lanciato dal mio corpo… l’aria fresca mi penetrava le narici tagliando come lame nel petto, la gola era ormai secca, ma i miei occhi continuavano imperterriti a seguire la sagoma saltellante di Jonah poco avanti a me...
Sentivo i passi veloci di mio fratello, mischiati al suono dell’aria tagliata dal suo corpo e ai lontani rumori della città… dietro di me tutto sembrava arrivare più attutito… avrei voluto esser certo che Jet stesse tenendo il mio passo a poca distanza, ma voltarsi sarebbe stata una perdita di secondi ed energie non necessaria… tesi appena l’orecchio ricercando il tonfo secco delle scarpe toscane di Jet sul terreno, ma riuscii a captare solamente il rapido ticchettio di passi ben più corti e ravvicinati… tacchi di donna, tacchi spessi e suole di gomma, non certo gli stiletti di Nataljia...
Françoise...
La scena di poco prima si ripropose nel retro dei miei occhi… la mia materia grigia sarebbe schizzata dappertutto non fosse stato per l’intervento della ragazzina… la precisione del colpo alla tempia non lasciava dubbi, aveva mirato dritto con lo scopo di uccidere… non era stato un caso… sì, ma perché?
Con l’irritante consapevolezza di non saper capire, senza il tempo né la voglia di arrovellarmi il cervello, pressoché sicuro che dopo quell’esperienza avrei tenuto a debita distanza Françoise Arnaul e qualsiasi altra sconosciuta al mondo, cambiai bruscamente direzione, trovando riparo tra pile di casse e pallets…
Presi il tempo di respirare a pieni polmoni mentre ascoltavo il ticchettio farsi più vicino… Fenice avrebbe dovuto scegliere scarpe diverse se sperava di passare inosservata… non appena sentii che stava per sfilarmi vicino allungai il braccio, tendendo i muscoli perché le sembrasse di impattare contro un muro di pietra…
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Mi sentivo il cuore nelle orecchie… le gambe avanzavano da sole, i capelli andavano annodandosi nel vento polveroso del deposito di Lennon… tutto a monte… un’altra volta tutto da rifare… se mi fossi fermata in quel momento di certo avrei vomitato, ne ero sicura… tutta la rabbia e tutta la tensione sarebbero venute dritte fuori dal mio stomaco…
Fu come un colpo secco contro il diaframma… all’improvviso mi sembrò di perdere il fiato e la nozione dello spazio, come se mi fossi spiaccicata sull’asfalto… un secondo prima di chiudere gli occhi fui certa di non avere davanti niente più dell’orizzonte… qualcosa mi afferrò alla vita, spostando il mio peso dalla strada e sbattendomi nell’angolo più lontano di quello spazio angusto, tra casse e scatoloni…
Tornai a respirare tirandomi su, ignorando totalmente il dolore all’osso sacro sbattuto sul cemento…
“Non così in fretta…”
Riconobbi quella voce all’istante, prendendomi tutto il tempo necessario per sollevare il viso… Joe mi guardava dall’alto, gambe leggermente divaricate e l’aspetto più sconvolto che gli avessi mai visto addosso…
“Che vuoi?”
Sputai tirandomi su, mettendo il piede sinistro avanti all’altro in un’istintiva posizione di difesa… Joe si mosse lentamente, avanzando a passi silenziosi e con la mascella serrata, costretto ad abbassare il mento per tenere gli occhi alla mia altezza… non mi mossi di un millimetro, aguzzando lo sguardo contro il suo… labbra e pugni stretti...
Non era cosa nuova la vicinanza tra noi, fosse per toccarsi l’uno contro l’altro o cercare di strapparsi le carotidi a morsi… probabilmente era questa la ragione per cui nessuno di noi due sembrava troppo sulle spine… conoscevo ormai a memoria le tre rughe che si stringevano sulla fronte di lui quand’era arrabbiato e non mi facevano più alcuna paura…
“Mi hai salvato la vita…”
Non riuscii a trattenere un sorriso mentre abbassavo il viso… non uno vero, bensì la smorfia di un paio di secondi, sarcastica e lievemente offensiva…
Mi spinse indietro con un gesto deciso, di nuovo contro un muro, di nuovo con poca grazia…
“L’hai fatto…”
Ribadì con un tono ben più deciso, pronto a scattare…
Rimasi seria…
“Perché mai avrei dovuto?”
“Non lo so…”
Intavolò la sua risposta facendosi nuovamente avanti, forte della mancanza di vie d’uscita da quel buco…
“…perché ti piaccio forse?”
Riuscì a dirlo senza sorridere, consapevole che in un modo o nell’altro stava citando le mie stesse parole… rimase con gli occhi fissi nei miei… mantenni lo sguardo fermo, ma le mie palpebre si chiusero ed aprirono velocemente…
Tesi le braccia lungo i fianchi e piano scossi la testa…
“No…”
Mi sollevai sulle punte perché gli fosse chiaro…
“…è perché ti odio…”
Parlai tra i denti, rimarcando quanto stessi stretta in quella perfetta circostanza…
“…e sarò solamente io ad ammazzarti...”
Si leccò le labbra muovendo gli occhi da una pupilla all’altra, addolcì il tono di voce…
“Sai…”
Mi respirò sul viso…
“…l’odio è quasi sempre l’inizio di una storia d’amore…”
Scattai immediatamente, piantandogli un gomito in bocca perché si rimangiasse all’istante quelle parole assurde… non gli avrei permesso di prendermi in giro come un’idiota… se voleva una dimostrazione dei miei sentimenti tanto meglio…
Joe indietreggiò per nulla sorpreso…
Riuscì a fermare un altro pugno prima che gli arrivasse allo zigomo, bloccando la mia mano nella sua... per la terza volta mi scaraventò contro il cemento con uno spintone deciso…
Balzai in piedi e gli caricai contro, spingendo sulle gambe per fargli più male possibile… Joe intercettò il colpo e riuscì ad evitare il mio piede prima che gli arrivasse agli stinchi… prendendomi per il polso e la spalla, mi obbligò ad una rotazione del busto e per l’ennesima volta mi spinse all’angolo…
“Troppo lenta…”
Mi suggerì, bloccando il ginocchio che mirava alle sue parti basse…
“Troppo prevedibile…”
Aggiunse… tornai a guardarlo negli occhi prendendo un lungo respiro, la rabbia stava offuscando le mie capacità… mossi lo sguardo rendendomi conto solo in quel momento dei pochi centimetri tra il viso del Mamba ed il mio... poco più in basso i nostri corpi si toccavano già ed io, fino a quell’istante, non me n’ero resa conto, come se per la mia pelle ed il mio subconscio fosse una cosa del tutto accettabile…
Ingoiai quel momento…
“Troppo vicino…”
Ribattei trovando finalmente la forza di spingerlo via… un pugno nello stomaco ben assestato e riuscii a passare dall’altro lato dello spazio, libera di fuggire verso il nulla… Lui tuttavia non sembrava dello stesso avviso, pochi secondi gli erano bastati per tornare all’attacco...
“Joe!”
L’urlo arrivava da di fronte… misi a fuoco ed individuai il minore degli Shimamura che si muoveva nella nostra direzione… con la coda dell’occhio mi accorsi che Joe aveva rallentato e ne approfittai per voltare verso destra e sparire una volta per tutte…
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“Joe! C’è una macchina che ci aspetta, corri!”
Mi suggerì Jonah con un gesto della mano ed io, per qualche secondo ancora, rimasi indeciso su quale direzione seguire… alla fine optai per il dritto e seguii mio fratello verso il SUV scuro… forse non l’avrei più vista… forse, nella più rosea delle ipotesi, la ragazza dell’aereo sarebbe rimasta solo un dolce ricordo amaro, una manipolatrice bastarda che mi aveva momentaneamente incasinato il cervello… già, momentaneamente, poiché ero più che deciso a dimenticare, sia il suo viso che gli inaccettabili pensieri ispirati dalla sua pelle candida e dalla sua arroganza… Françoise Arnaul, una psicopatica, un mix esplosivo di almeno tre diverse personalità, tutte ugualmente incasinate: un soldato assassino al servizio di Heinrich, una bambina mai cresciuta, triste per la morte dei genitori, un’innocente cameriera fasulla, in una vita fasulla, recitata senza arte né parte… una trappola, una trappola dai lunghi capelli biondi…
“Ancora dietro a quella troia?”
Mi ero meccanicamente seduto sul sedile di pelle ed avevo sbattuto lo sportello, tenendomi alla maniglia mentre l’auto partiva a tutto gas… Jonah mi guardava incerto, visibilmente irritato, quasi incredulo…
“Ho un conto in sospeso con lei…”
“Abbiamo…”
Mi corresse cercando di guardarsi nello specchietto retrovisore…
“…taglierò la gola a lei e a tutti gli altri, compresa la russa…”
Sottolineò mentre passava il dito sui lividi che aveva in viso… drizzai la schiena…
“Dov’è Jet?”
Guardai dietro l’auto e nessuno ci stava seguendo… un brivido mi attraversò da capo a piedi…
“Avrà preso un’altra strada… il vecchio ha mandato più di una macchina…”
La risposta non servì a farmi rilassare…
“Ha mandato più di una macchina…”
Ripetei tra i denti con tono sarcastico… ovviamente lui non ha mosso il culo dalla sua preziosa poltrona…
“Dammi il tuo telefono…”
Mi rivolsi all’autista del SUV che ci stava portando a tutta velocità verso casa… quello mi ubbidì senza fiatare ed io composi il numero… squilli a vuoto… se non altro stava squillando… spinsi di nuovo il pollice sul tastino verde… ancora squilli a vuoto…
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Jet rimase immobile… negli ultimi due anni della sua vita aveva sentito quelle parole almeno un centinaio di volte… Smirnov l’aveva accusato di aver ucciso sua figlia, di averla fatta sparire, di non aver saputo proteggerla… perfino di averla venduta come una schiava per riuscire ad infilare un piede nel mercato mediorientale del petrolio… per la prima volta non gli sarebbero servite arringhe difensive, l’unica prova che poteva scagionarlo era lì, in piedi accanto a loro…
“Nataljia è qui… in salute nondimeno…”
Ribatté con un cenno della mano destra a sottolinearne l’ovvietà… l’altro si leccò le labbra…
“Tua famiglia rovina tutto ciò che tocca…”
Poteva dargli torto dopo tutto? Una madre morta e depressa, una moglie fuggita, un fratello a marcire in galera ed altri due abbandonati a loro stessi, un padre tiranno ed un esercito di persone asservite e terrorizzate… tutti con lo stesso futuro segnato…
“Guardala…”
Smirnov guidò gli occhi di Jet verso la figlia… due sole lacrime cadute le segnavano il viso di nero, ma lì dove Alexei vedeva solo immoralità e delusione, lui continuava a vedere la bellissima donna che aveva scaldato il suo letto… quant’era ancora chiaro nella sua testa il ricordo di quel calore. .. com’era stato strano, seppur sorprendente, sentire quella sensazione lottare contro l’abitudine al gelo, il freddo che aveva patito da bambino tutte le volte che un temporale o un brutto sogno l’avevano spinto fino alla stanza dei suoi… «Non essere codardo Jet... torna subito in camera tua!» così diceva suo padre…
E Jet non era certo un codardo…
“…tu hai fatto questo di mia figlia!”
Il suo tono si era sollevato di colpo, la sua ultima frase quasi un urlo… i preliminari erano ufficialmente conclusi…
Del tutto inattesa la sua discendente ruppe il proprio voto di silenzio…
“No padre…”
Poggiò lenta una mano sulla spalla del più anziano…
“…non è stato Jet...”
Smirnov la guardò senza muovere un muscolo in viso, impietrito davanti alla figlia così apertamente disdegnata…
“Io sono scappata…”
Concluse sottolineando il soggetto, in attesa di un altro schiaffo meritato… tutti gli sforzi, tutto il mistero, un’intera guerra messa in piedi solo ed esclusivamente a causa sua...
Jet sollevò le dita, ma solo per chiudere un bottone della giacca… Smirnov meritava l’espressione inebetita che adesso campeggiava sul suo viso spigoloso… chi è causa del suo mal pianga se stesso…
Per quale strana ragione Nataljia avesse deciso proprio in quel momento di sputare finalmente la verità? Non voleva nemmeno chiederserlo…
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“Dov’è vostro fratello?”
Domandò Jack guardandoli entrare nello studio con la coda dell’occhio, la sua attenzione rivolta al distruggi-documenti che ingoiava, una alla volta, le prove dell’ultimo appalto truccato…
“Speravamo fosse già qui…”
Rispose Jonah senza aggiungere altro… Jack infilò un sottile foglio rosa nella fessura e rimase a fissarlo mentre la macchina lo divorava…
“Andate a darvi una ripulita… puzzate come animali…”
Ordinò lasciando cadere la questione, quasi non avesse alcuna importanza…
Joe sbatté i palmi sulla scrivania richiamando la sua considerazione…
“Maledetto bastardo!”
Era stanco, furioso e preoccupato, ma di sicuro non provava vergogna per il pensiero che voleva uscirgli di bocca… se Jack fosse andato al deposito ed i Fantasmi Neri l’avessero fatto a pezzi, lui avrebbe brindato assieme a loro col miglior champagne in circolazione…
“Tieni a freno la lingua Joe…” ribatté l’altro con tono calmo ed un’occhiata di sufficienza “…tuo fratello sa badare a se stesso…”
“È sempre e solo colpa tua…”
Rispose… il tono più pacato, ma il disprezzo sempre più evidente… se fosse successo qualcosa a Jet… se fosse successo qualcosa a Jet mentre il suo surrogato di padre si compiaceva del proprio riflesso nel bicchiere di bourbon, allora beh, avrebbe fatto lui stesso un favore ai Fantasmi Neri, ai russi e probabilmente all’intera umanità…
“C’è Heinrich dietro tutto questo, non Smirnov…”
Jonah decise di intromettersi, seppur inopportuno, cercando di contenere il fratello… da come pulsava freneticamente la vena della sua tempia sinistra, mancava davvero poco perché esplodesse…
Jack sorrise con apparente gusto mentre sfregava i palmi sul panciotto… si avvicinò al minore dei suoi figli, sangue del suo sangue, e finse d’osservare con apprensione il grosso taglio che occupava la sua guancia…
“Devi farti sistemare figliolo…”
Con una pacca sulla spalla lo spinse impercettibilmente verso la porta dello studio…
“…non vorrai certo rovinarti la faccia… sei quello che mi somiglia di più qui dentro…”
Ed era vero… i lineamenti di Jonah ricordavano in maniera evidente quelli di suo padre alla sua età e sicuramente Jack godeva nel vederlo orgoglioso, ambizioso, al limite del superbo, così come avrebbe voluto che fossero tutti i frutti dei suoi lombi…
Il minore lanciò un’occhiata non corrisposta a Joe… non era certo fosse una decisione saggia lasciarli soli, ma il sottile invito di suo padre era, come sempre, nulla più che un’imposizione… annuendo in silenzio prese la porta…
“Quanto a noi…”
Riprese accarezzando la folta barba che gli copriva il mento…
“…se non fossi l’incapace che sei Joe, sapresti che Albert si trova in Germania in questo momento… a Berlino precisamente…”
Gli rivolse un sospiro di sufficienza…
“…e sapresti anche che, dopo l’ultima volta, vige tra noi un mutuo tacito accordo di rispetto… almeno finché gli lasceremo campo libero giù al confine…”
Un accordo? Joe non era a conoscenza di un simile patto e ad ogni modo non credeva nemmeno un po’ alla buonafede del padre…
“E tu ci credi? I gemelli Ryce erano lì e Nat…”
Jack tornò a dedicarsi all’alcool per qualche istante…
“Io non credo… io so…”
Lo interruppe prima di scuotere il capo con fare quasi giocoso… Joe inspirò profondamente al centro della stanza, i suoi nervi stavano per esser messi a dura prova…
“La tua ingenuità è disarmante figlio mio…”
Non passò inosservato il modo in cui quella parola rotolava giù dalla sua lingua, solo per schernirlo…
“…davvero credi che io non sappia tutto quello che stai per dire?”
Volò l’ennesimo sguardo di sfida reciproca…
“Ho mandato degli uomini ad indagare, sperando che facciano un lavoro migliore del vostro.. ma posso già assicurarti che Heinrich non c’entra niente col piccolo eccesso di zelo dei suoi leccapiedi…”
Joe aguzzò lo sguardo mirando ad un punto qualsiasi sulla parete opposta, non che stesse davvero concentrandosi su quel che aveva davanti… se Heinrich non era il mandante di quella sciarada, allora si trattava davvero di una maldestra vendetta personale o forse sarebbe meglio dire una doppia vendetta, vista la concomitante presenza di Françoise e Nataljia... quanto ai gemelli invece, probabilmente era bastato che tutt’e due si sfilassero le mutandine per far loro accettare di buon grado l’ammutinamento…
Le donne, che brutta razza! Il commento gli venne spontaneo, cosa mai non riuscirebbe ad ottenere una donna con un bel didietro e grandi occhi azzurri? Proprio lui era stato il primo a cascarci come un idiota…
“Quanto a Nataljia…”
Riprese il vecchio recuperando il suo interesse…
“…credo che Jet abbia ben capito come dovrà comportarsi con lei d’ora in poi…”
D’ora in poi? D’ora in poi?! Non erano abbastanza tutti i casini che quella troia aveva già procurato? Pretendeva forse che Jet se la riprendesse?
Quasi fosse riuscito a leggergli nel pensiero Jack precisò…
“E la sua ricomparsa ci toglierà finalmente Alexei dai piedi…”
Una lampadina si accese nel cervello di Joe… ecco chi aveva mandato quei sicari al deposito, ecco la ragione per cui, nonostante i kalashnikov alla mano, non avevano sparato… Smirnov non aveva mai smesso di seguirli e sapeva che sua figlia era in quella stanza...
Un brivido di adrenalina lo mise in allarme…
“Se Smirnov ha preso Jet potrebbe…”
Jack lo zittì con un cenno della mano, quasi stesse dicendo la più insignificante delle stupidaggini…
“Come ho già detto pocanzi, tuo fratello è in grado di badare a se stesso…”
Quel tono indifferente fece saltare Joe sul posto, strinse i pugni e si rivolse a suo padre con lo stesso sdegno dovuto al più banale servitore…
“Se succede qualcosa a Jet io giuro che ti…”
Jack drizzò la schiena ed arruffò le piume come un pavone irritato, gelando Joe con una sola occhiata…
“Ti consiglio di ponderare la tua prossima scelta di parole Joe…”
Una specie di ghigno gli comparve in volto…
“…da che tua madre è morta non ho più alcun obbligo verso di te, anzi… forse dovrei decidermi a schiacciarti come l’insetto che sei…”
Il tono monocorde era una delle armi che avevano reso Jack quello che era… sembrava non provare più nulla, in nessun momento… i suoi nemici lo trovavano terrificante… Joe d’altra parte, era più che abituato al suo disprezzo e sebbene non fosse riuscito a finire la frase, l’intenzione restava la stessa… qualora Smirnov avesse anche solo torto un capello a suo fratello, Jack si sarebbe ritrovato coi suoi stessi occhi in bocca…
Joe allargò le braccia…
“Perché sono ancora qui allora?”
Domanda velatamente ironica, ma a dirla tutta se l’era sinceramente chiesto parecchie volte… Jack sembrò cambiare d’umore, tornando ad essere il genitore orgoglioso dei suoi soldati col perenne ghigno in faccia…
“Perché devo ammetterlo figlio…”
Di nuovo quella parola fuori posto, di nuovo quella cadenza… si allontanò tornando alla scrivania dove un’altra pila di documenti lo attendeva…
“…tu sei un artista con i coltelli, così come tuo padre lo era con i pennelli…”
Lasciò cadere quella frase così, tra un foglio e l’altro, come non avesse detto nulla d’importante… Joe si gelò all’istante, completamente travolto da emozioni contrastanti… Suo padre, il suo vero padre, un pensiero che raramente gli attraversava il cervello, un’ombra nella sua vita che odiava di cuore, quasi quanto il rimpiazzo senza coscienza che ora aveva di fronte…
Il suo nome era Steven, un pittore che sua madre Annie aveva conosciuto a Londra durante una mostra… una relazione proibita durata un paio di mesi, giusto il tempo necessario per mettere in cantiere la sua inutile esistenza… detestava Jack per averlo ucciso a sangue freddo dopo l’infausta scoperta, ma ancor più disprezzava quell’altro per non aver lottato, per non averli portati via da Londra e dai maledetti Shimamura… forse semplicemente non gli importava nulla di sua madre, tantomeno di lui…
Eccola di nuovo, quella terribile rabbia che gli caricava dentro e gli formicolava nelle mani… Jack non si lasciò sfuggire la scintilla nei suoi occhi, fiero di essere perfettamente riuscito nell’intento desiderato… piegò un foglio tra le dita e se lo infilò nel taschino della giacca…
“A proposito di coltelli… c’è qualcuno che non ha pagato questo mese…”
Joe annuì benché sembrasse totalmente calato in altri pensieri… uccidere questo tizio o chiunque altro, solo questo gli serviva adesso… dopo tutto lui era il Mamba e come tale doveva tornare a comportarsi…
Si sentì una mano poggiata sulla spalla…
“Fa’ questo favore al tuo vecchio e poi va’ pure a cercare Jet se vuoi...”
A scopo raggiunto il tono di Jack era diventato più gentile e sul suo viso campeggiava un mezzo sorriso di soddisfazione…
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Entrai nella stanza 7b del motel Louis nettamente in ritardo e visibilmente stremata… neanche m’aspettavo che dopo quell’epico fallimento Matt mi facesse recapitare un messaggio per dirmi dove s’erano nascosti… tra i Fantasmi Neri solitamente non funziona così, se uno resta indietro gli altri se ne fregano alla grande…
La camera puzzava di vecchio e di stantio, mentre le pareti a righe avranno avuto almeno quarant’anni, se non altro a giudicare dagli strappi della tappezzeria… l’arredamento nel complesso non era male, soprattutto il tavolino rococò che faceva bella mostra delle sue gambe storte accanto al minifrigo degli anni ’80…
Ero riuscita a sentire i lamenti di Big J già fuori dalla porta e adesso eccolo lì, con le gambe stese e la schiena poggiata alla testiera del letto, sudato fradicio e con un asciugamano insanguinato spinto contro il fianco…
“Quel figlio di puttana mi ha accoltellato!”
Precisò davanti al mio sguardo perplesso… Matt ci raggiunse poggiando una mano sulla mia spalla e porgendo al fratello una birra gelata…
“Non preoccuparti… l’ho già rattoppato per bene… e tu smettila di lamentarti come una femminuccia!”
Preoccuparsi? Non mi sarei certo strappata i capelli se Big J avesse perso un rene o un paio dei suoi sette metri d’intestino…
“Vieni qui Fenice...”
Il gemello ferito richiamò la mia attenzione ed io, senza ancora dire una parola, mi avvicinai al letto… Big J allungò una mano umidiccia e cercò la mia, stringendola come nel più naturale dei gesti. Gli occhi mi caddero dritti su quell’unione di dita e a stento trattenni il bisogno di ritirare il braccio il più in fretta possibile… certo, lui era un bel ragazzo, con grandi occhi verdi e pettorali scolpiti, ed io ci andavo a letto di tanto in tanto, ma questo non ci rendeva certo una coppia o qualcosa del genere…
“…ho davvero bisogno di un po’ di conforto...”
Da come aveva sussurrato la parola sarebbe stato chiaro perfino ad una monaca di clausura che col termine «conforto» non intendeva certo abbracci e carezze… sollevai il sopracciglio in un arco perfetto, la sola idea mi faceva vomitare… senza contare che non se l’era guadagnato comunque, dato il fallimento palese del piano…
Inspirai… a pensarci bene, ultimamente anche il solo guardarlo mi faceva vomitare…
“…me lo merito dopo quello che mi ha fatto il tuo amico…”
Continuò a perorare la sua causa mollandomi la mano per indicare la profonda ferita al fianco destro, i due gonfi lembi di pelle tenuti insieme da una cucitura maldestra e sangue secco tutt’attorno…
“Fammi vedere…”
Dissi, cogliendo al volo l’occasione per cambiare argomento… senza preoccuparmi troppo dei suoi lamenti, spinsi le mani gelide sulla pancia del ragazzo e testai quanto il lavoro di Matt, improvvisato con filo da sarta ed un ago bruciato con l’accendino, potesse tenere…
Una gran bella ferita, Big J avrebbe dovuto ritenersi fortunato di non essere finito a far terra per i vermi… di nuovo passai le dita sul taglio… era opera del Mamba dopotutto…
Mi tornò immediatamente in mente l’ultima conversazione al deposito… avrei dovuto spaccargli i denti per la sua arroganza… credeva di piacermi il pallone gonfiato… avrei mai più sentito qualcosa di così ridicolo?
“Lo ucciderò quel coglione…”
Concluse lui ed io sospirai tornando dritta accanto al letto… scossi la testa, ma non sentii il bisogno di intavolare una conversazione con Big J sull’argomento… ammazzarlo era una soddisfazione che spettava a me, a me soltanto… senza degnare il gemello d’ulteriore nota indirizzai i passi stanchi verso il bagno…
“Dove vai adesso?”
Si lamentò Big J ancora una volta, come un bambino… tirai dritto verso la mia meta…
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“Ti prego! Ti prego basta! Pagherò! Giuro che pagherò!”
Ormai dalla sua bocca veniva fuori una soluzione continua di suppliche e promesse, impastate tra saliva, sudore, lacrime e paura… era diventato difficile capire cosa stesse dicendo, ma comunque a me non importava più… se mi fossi fermato in quell’istante, il magro signore dalla pelle olivastra e dalla barba incolta avrebbe di certo tirato fuori dalla cassa il doppio dei soldi pur di salvarsi la pelle… tuttavia a me non interessava portare a casa quei quattromila dollari, io ero lì per un solo motivo, tornare a godermi la magia di una morte qualsiasi… per questo motivo ero nel retro di quel negozio da quasi un’ora, godendosi l’attrito tra la punta del mio pugnale e la pelle del tizio...
“Ti supplico… ho dei figli… dei nipoti…”
Ora stava piangendo, cosa che un uomo non dovrebbe mai fare… giusto Joe? Poco importa che tua madre sia morta da un giorno all’altro o che le uniche due persone a cui tieni davvero si stiano trasformando sempre più nel padre che odi… poco importa che tu di figli non ne avrai mai, tanto meno nipoti… e come potresti? Serve una donna per quello, servono amore, rispetto, pazienza, responsabilità… quale donna al mondo potrebbe mai amare un mostro come te? Quale donna potrebbe mai capire?
L’immagine di Françoise mi passò davanti agli occhi come un flash… sociopatica, sola, arrabbiata… disperata…
Scossi la testa ed ammazzai quel pensiero, senza nemmeno rendermi conto che nello stesso istante avevo spinto il coltello dritto nel petto dell’uomo dinanzi a me… lo sfortunato inadempiente mi boccheggiava davanti, cercando di afferrare le ultime gocce d’ossigeno della sua esistenza… mollai la presa e feci un passo indietro restando a guardare…
Quello era il momento, l’unico istante in cui finalmente avevo il controllo… potevo decidere se finire le sofferenze di quel disgraziato o lasciarlo in agonia fino all’ultimo… tenevo la sua vita tra le mani, la sola cosa al mondo che potessi controllare…
Tutto il resto mi scorreva attorno senza poter essere fermato, Jack per primo… eppure, anche se un benaugurato giorno il capofamiglia si fosse tolto di mezzo, ci sarebbero comunque stati i miei fratelli… non avrei mai abbandonato Jet, senza il mio continuo cinismo e le iniezioni di buonsenso sarebbe potuto diventare uno zerbino al servizio di Nataljia in men che non si dica… per non parlare di Jonah, la sua mancanza di limiti e congenita immaturità gli avrebbero riservato nulla più che il posto d’onore in un penitenziario di massima sicurezza…
L’uomo rantolò un’ultima volta e cadde giù, sbattendo il viso sul pavimento polveroso… Sospirai quasi deluso, preso dai miei mille pensieri mi ero perso il momento migliore, l’esatto istante in cui la vita abbandona il corpo e sparisce in un gelido soffio… guardai dall’alto la mia ultima vittima e quasi sbuffai, ripulire la scena è senza dubbio la parte più noiosa… mi abbassai sulle ginocchia e rivoltai il corpo del povero cristo, imbrattando le mani nel denso liquido rosso...
Ero già sul punto di trascinarlo via quando il mio telefono prese a squillare… lasciai andare le gambe molli del cadavere e mi pulii le mani sulla maglietta senza troppe cerimonie… sul display lampeggiava un numero sconosciuto…
“Pronto?”
Esordii con tono minaccioso, non era certo un buon momento per importunarmi...
“Fratello…”
Raddrizzai la schiena…
“Jet… dove sei? Stai bene?”
“Sto bene…”
“Dove sei?”
“Nella grand suite di un hotel a cinque stelle…”
Aggrottai le sopracciglia…
“Di che diavolo stai parlando?”
“Il caro Alexei mi ha offerto la sua ospitalità…”
Rispose, celando il chiaro sarcasmo con tono sereno…
“Mi prendi in giro? Se quel bastardo ti…”
“Sto bene Joe…”
Mi interruppe con decisione…
“…io e Smirnov abbiamo delle cose da chiarire… farò ritorno presto…”
“Dimmi dove sei Jet… vengo immediatamente…”
Il tono determinato non servì allo scopo… Jet interruppe la conversazione lasciandomi in un nuovo stato di rabbia ed inutilità… se il tizio non fosse già morto avrebbe certo sofferto il doppio delle pene a questo punto…
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Nataljia avanzò in silenzio con la mano destra tesa in avanti, nella chiara attesa di vedersi restituire il telefono… Jet assecondò la richiesta…
Nel vederla voltargli le spalle e dirigersi nuovamente verso la porta non riuscì però a frenare la lingua…
“Hai avuto la tua occasione…”
Nataljia fermò il piede a mezz’aria e lentamente lo riportò giù, voltando il busto verso di lui... sollevò le sopracciglia come a chiedere di spiegarsi meglio… Jet avanzò di un passo soltanto…
“Potevi farmi uccidere da tuo padre, avresti comunque raggiunto metà del tuo scopo... perché mi reggo ancora in piedi?”
Lei allineò le gambe rivolgendogli ora la sua piena figura… stava resistendo all’urgenza di arricciare le labbra, il che lasciava trasparire la sua rabbia malcelata… rimase in silenzio per un tempo difficile da calcolare…
“Perché sei scappata da me?”
Ecco, finalmente le sue labbra l’avevano chiesto…
Nataljia strinse i pugni e poi abbassò gli occhi scuotendo lentamente la testa… Jet temette, nel più inverosimile dei suoi pensieri, che Smirnov le avesse tagliato la lingua per punirla… di nuovo fece per andarsene, ma Jet insistette, pronto perfino a far crollare la sua elegante corazza per qualche minuto…
“Nataljia di’ qualcosa per l’amor di dio!”
Si girò di nuovo, veloce e rigida come una colonna di marmo…
“Non capirai mai!”
“Capire che cosa?”
Lei invase il suo spazio personale in un secondo, il mento sollevato e l’espressione furiosa…
“Io sono stata cresciuta per essere una regina!”
Sbottò mentre il suo viso si contorceva in un’espressione di disgusto…
“Tu hai usato me come una delle tue proprietà!”
Si tese ancor di più…
“Come una proprietà di tuo padre!”
Finì di urlare, lasciandolo colpito e perplesso di fronte al suo disprezzo…
“Io avrò quello che mi spetta…”
Aggiunse abbassando la voce e aggiungendo qualche centimetro di spazio tra i loro corpi…
“…in un modo o nell’altro…”
Jet sentì la bocca dello stomaco serrarsi davanti alla dichiarazione del suo fallimento… ogni pensiero, ogni dubbio, ogni rimpianto passato per la sua mente in quei due anni era reale… la donna che si era concesso di amare ricambiava i suoi sentimenti con un odio intenso quanto il suo amore… Nataljia disprezzava la sua fedeltà, la sua lealtà, la sua totale devozione, ogni dote che per quasi trent’anni aveva costantemente rivolto alla famiglia… e forse mai a lei…
“Che vuoi fare?”
Fu la sua nuova domanda pronunciata sottovoce, ma il tempo delle risposte era già finito… Nataljia indietreggiò ulteriormente…
“Arrivaci da solo…”
Concluse…
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L’acqua era così calda che la mia pelle stentava a resistere, il vapore tanto intenso da impastarmi il respiro, eppure rimanevo sotto il getto, grattando la spugna contro la schiena nella più innaturale delle posizioni… volevo togliere quel finto tatuaggio a tutti i costi… ero arrabbiata e nervosa per il risultato dei miei sforzi, letteralmente incazzata per non essermi guadagnata quello stramaledetto marchio dopo ben sei anni di servizio… l’ultimo tentativo di ribaltare la situazione non era certo andato a buon fine… quando mai mi sarebbe ricapitato di avere tutti i fratelli Shimamura alla mia mercé? Mai, appunto… potevo solo sperare che Albert riuscisse ad apprezzare lo sforzo…
Ma perché cavolo non avevo semplicemente ucciso Joe alla prima occasione?
Joe e il suo maledetto modo di guardarmi...
Joe e i suoi odiosi occhi scuri, in grado di spogliarmi senza nemmeno toccarmi...
“Fenice? Hai finito?”
Matt batté insistentemente contro la porta chiusa…
“Non ti ho portato qui per farti prosciugare l’intera riserva idrica di New Orleans!”
Digrignai i denti e chiusi il rubinetto in un gesto stizzito…
“Che vuoi?”
Uscii dalla stanza qualche minuto più tardi con i vestiti appiccicati addosso ed i capelli ancora gocciolanti...
Matt ghignò osservandomi con attenzione…
“Sei sexy quando fai la maleducata…”
“Non pensarci nemmeno… mi fai ribrezzo...”
Ribattei senza filtri tra lingua e cervello…
“Come mai sei così di buon umore?”
L’altro sorrise puntandomi gli indici contro…
“Sexy ed anche intelligente…”
“Arriva al punto Matt...”
Gli sfilai davanti senza dargli ulteriori attenzioni e raggiunsi Big J, letteralmente steso dal cocktail di birra ed antidolorifici…
Il gemello mi lanciò una cartellina marrone…
“Tieni…”
La sfogliai velocemente tra le dita… fotocopie di una cartella clinica o qualcosa del genere…
“Che cos’è?”
L’altro sembrò emozionarsi ulteriormente…
“Non avrai mica pensato che non avessi un piano B?”
Esaminai le pagine ancora una volta, cercando il nome del paziente cui appartenevano…
“E chi sarebbe Annie Foster in tutto questo?”
Matt si bagnò le labbra con la lingua e si avvicinò…
“Foster era il suo nome da ragazza…”
Mi indicò un punto preciso a pagina sei…
“…prima che diventasse…”
I miei occhi furono più veloci della voce di Matt...
Annie Shimamura...
A quel punto fu facile fare due più due e quel fascio di fotocopie divenne immensamente interessante, specialmente gli ultimi due fogli...
“Dove li hai presi?”
Lui gongolò gonfiandosi il petto…
“Ho i miei mezzi bambolina...”
Continuai a leggere avidamente, curiosa e al tempo stesso raggelata da quello che il rapporto tra le mie mani lasciava intendere…
Matt ghignò di nuovo…
“Che dici, come pensi che la prenderà il tuo amato Mamba?”
Parte 12
Freddo… faceva un freddo terribile e nonostante la sciarpa stretta attorno al collo continuavo a sentire i brividi percorrermi le ossa… avevo visto vento, pioggia e neve anche a New York, ma nulla di paragonabile alla miseria dell’Alaska… tutt’attorno le persone sembravano starci dentro benissimo ed io continuavo a non capire come fossi arrivata fin lì, seduta sui gradini gelidi di un cinema chiuso, sperando di morire prima della prossima seduta di psicoterapia…
Ancora una volta spinsi il pollice sulla rotella dell’accendino sperando che la fiamma riuscisse a sopravvivere… avevo quella sigaretta in bocca da quasi mezz’ora ed ormai sentivo il sapore del filtro sulla punta della lingua… non mi piaceva fumare, era solo un modo come un altro per sentirmi più grande e più forte dei miei diciassette anni…
L’orologio della chiesa in lontananza segnava le dodici e venti, ancora un paio d’ore prima di poter tornare a casa e fingere che un’altra giornata di scuola fosse finita… casa… non sarei mai più tornata a casa…
Ancora una volta vidi la flebile fiammella spegnersi all’istante davanti ai miei occhi...
“Hai bisogno di accendere?”
Una voce sconosciuta attirò la mia attenzione dalla sinistra… un uomo sulla trentina dai capelli chiarissimi, avvolto in un cappotto non troppo pesante, lasciato aperto sulla camicia a righe bianche e blu, se ne stava con le mani in tasca ed un mezzo sorriso in faccia… come faceva a non morire assiderato?
Sentii la schiena drizzarsi ed il panico affacciarsi sotto i mille strati di abiti invernali… non mi piacevano gli sconosciuti… non più…
Lui tirò fuori le mani e le sollevò prima di farsi più vicino… mi porse un accendino verde di quelli che vendono a cinquanta centesimi… rimasi impietrita, senza saper decidere se fuggire a gambe levate o cedere al mio imminente attacco di cuore…
Lui sembrò sorridere di nuovo… si sedette sul mio stesso gradino, qualche metro più in là...
“Non sei di qui, vero? Ti si legge scritto in faccia che vorresti essere da tutt’altra parte…”
Esatto… vorrei essere a casa mia, a New York, litigando il coprifuoco con mia madre mentre aspettiamo che il polpettone sia pronto e che mio padre rincasi dal lavoro…
Ingoiai la mia stessa saliva stringendo la borsa tra le mani...
“Mi scusi…”
Iniziai in un mezzo sussurro…
“…ma non parlo con gli sconosciuti...”
Lui allargò il sorriso mostrando i denti bianchi…
“Saggia abitudine…”
Scivolò sul cemento facendosi più vicino, allungò la mano destra…
“Il mio nome è Albert...”
Lo guardai finalmente negli occhi, così azzurri da sembrare quasi trasparenti… qualcosa nel suo sguardo e nella sua sicurezza abbassò il mio livello di panico…
“Potresti comunque essere un serial killer…”
Risposi senza accettare la stretta, sorpresa della mia stessa audacia…
L’altro sollevò un sopracciglio…
“Potrei…”
Abbassò la mano poggiando il palmo sul gradino freddo e sporco…
“…ma lascia che ti dica una cosa…”
Tentai di scivolare via, ma rimasi inchiodata al mio posto…
“…a volte le persone meritano di morire…”
Inclinò la testa addolcendo lo sguardo…
“Sono comunque certo che non fosse il caso dei tuoi genitori...”
Spalancai gli occhi…
“Come fai a sapere dei miei genitori?”
Lui sembrò ignorare l’ovvia domanda, soffermandosi sul panorama di fronte…
“Io so molte cose Françoise Arnaul...”
Al suono del mio stesso nome, nome che non avevo mai rivelato allo sconosciuto, il cuore mi si gelò nel petto… non si sfugge dagli Shimamura...
Mi avevano trovata… avevano scoperto la mia esistenza ed ora mi avrebbero tolta di mezzo…
“S…sei uno di loro?”
Gli domandai in un sussurro, la bocca secca e la lingua attaccata al palato… lui esplose in una risata genuina, quasi avessi detto la più assurda stupidaggine… pochi attimi dopo gli piombò in faccia un’espressione a metà tra il disgusto e l’esaltazione…
“Io odio gli Shimamura… esattamente come te…”
Quel nome pronunciato ad alta voce mi provocò un brivido ancor più gelato del vento che mi soffiava in viso… la paura, il terrore, la rabbia, ogni singola fastidiosa emozione si prese nuovo spazio tra le mie viscere…
“Se ti dicessi che puoi avere la tua vendetta…”
Lo sconosciuto riprese a parlare, abbassando il tono benché non ci fosse nessuno attorno…
“…che io posso aiutarti a vendicare la morte dei tuoi genitori…”
I suoi occhi brillavano, la sua voce liscia e morbida come il più abile dei venditori…
“Che cosa risponderesti?”
Mi stava fissando ora, esaminando, in attesa di una mia replica…
Mandai giù, accarezzata da quella proposta, lasciando fluire per qualche secondo i miei pensieri più reconditi… per quanto fosse sbagliato desideravo la morte di quelle persone, lenta e dolorosa, la desideravo più di ogni cosa.
Scostai lo sguardo da quello di Albert e mi parve di tornare improvvisamente alla realtà... Scossi il capo…
“Sono solo una ragazzina…”
In quella parola tutto il mio senso d’impotenza… lo sconosciuto si fece qualche centimetro più vicino, la sua voce ed il suo caldo respiro mi arrivarono dritti all’orecchio…
“Ma non sarà sempre così… presto sarai una donna…”
Con la coda dell’occhio lo guardai ancora, terrorizzata dall’evidenza di come quelle sue parole riuscivano ad incantarmi, alla stessa maniera di un flauto magico…
“…una donna forte, coraggiosa, indipendente… e bellissima lasciami aggiungere…”
La prospettiva sembrò riscaldarmi di colpo…
“Ti insegnerò tutto quello di cui hai bisogno...”
I nostri occhi si incrociarono, l’azzurro intenso dei miei totalmente divorato dai suoi… le parole dello sconosciuto stavano leccando le mie ferite, le stesse che cercavo di nascondere, le stesse in cui il mio terapeuta sembrava voler ficcare le dita ad ogni costo... Albert riusciva a vederle e mi stava offrendo la più miracolosa delle cure…
“…e quando verrà il momento, sarò al tuo fianco mentre la tua vendetta si compie…”
La sola vaga fantasia di quel momento accese in me la voglia di sorridere, cosa che non capitava ormai da mesi… esterrefatta lo guardai alzarsi e scendere l’ultimo gradino…
“Chi sei tu?”
Domandai… Albert sorrise allungando la mano verso di me…
“Vieni con me e ti spiegherò ogni cosa…”
Avrei dovuto sentirmi terrorizzata alla sola idea, eppure quell’uomo pareva conoscermi meglio di chiunque altro… con poche semplici parole mi aveva detto tutto ciò che il mio cuore e le mie orecchie bramavano sentire…
“Che cosa ti è rimasto ancora da perdere?”
Nulla…
Non ho più nulla da perdere…
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Entrai nell’appartamento scuotendo la testa… quel ricordo continuava a tormentarmi... da quando aveva parlato con Matt, dopo quell’inaspettata scoperta, frammenti della mia infanzia e della mia vita prima della Salle de Paris continuavano a presentarsi senza alcun invito… dentro la mia mente si combatteva una continua battaglia…
Avevo in mano la più tagliente delle armi, eppure non riuscivo a convincermi ad usarla…
Cercando di non far rumore passai la soglia e mi guardai attorno… mi sarei aspettata una grossa macchia sul pavimento e l’odore di sangue stantio dappertutto, tuttavia ogni cosa sembrava brillare, avvolta in un dolciastro odore di limone ed aceto di mele…
Fissai il punto preciso in cui avevo ucciso il secondo russo… quasi riuscivo ad immaginarle, due cameriere in uniforme francese curvate sul pavimento, impegnate a spazzolare via ogni traccia di sangue.,, non mi sarei aspettata nulla di meno da gente arrogante e pomposa come gli Shimamura...
Girai attorno al divano rivivendo il momento in cui mi ero rivelata… impagabile…
Ripensandoci meglio forse ero stata un po’ troppo teatrale… troppo drammatica… troppo volgare…
Eccoli di nuovo… i ricordi della mia infanzia stavano influenzando il mio giudizio… lo sguardo deluso di mio padre, lo stesso identico sguardo che avrebbe avuto sapendo che adesso ero così, un'assassina sola e senza remore, una donna senza innocenza e senza pudore…
Scossi la testa ancora una volta… dovevo liberarmi di quelle emozioni e tornare lucida… Joe sarebbe presto tornato ed io non ero certa di come giocarmi quell'ultima mano… Guardai i fogli tra le mie dita ancora una volta prima di piegarli e nasconderli sotto uno dei cuscini del divano… un simile colpo di scena meritava una degna introduzione…
Girai su me stessa e mi avviai verso il mobile bar, forse un po' d'alcool avrebbe sciolto quella tensione… potevo finirlo, sferrare un colpo talmente potente da destabilizzare la sua intera esistenza… le fondamenta della famiglia Shimamura si sarebbero sgretolate, un lento ed inesorabile processo di autodistruzione, uno spettacolo da non perdere…
Il cuore mi batteva forte e le mani si muovevano da sole nel tentativo di strappare quella carta a strisce il più in fretta possibile… l'odore dei waffles appena staccati dalla piastra mi riempiva il naso e si mischiava al pungente odore d'abete… l'albero che avevo scelto insieme a mio padre troneggiava in salotto, completamente ricoperto di palline luccicanti e decorazioni… il più bell'albero di Natale che avessimo mai realizzato…
“Mamma! Mamma!”
Alla vista di quella scatola rosa, la casa per le bambole che avevo tanto desiderato, mi sentii la persona più felice del mondo… cos'altro mai potrebbe desiderare una bambina di sette anni?
Mi portai le mani alla fronte… Basta! Smettetela!
Mandai giù mezzo bicchiere di whisky e finalmente quella scena sparì dalla mia mente…
“Già ti mancavo?”
Scattai sull'attenti voltandomi verso la porta… Joe ne stava appoggiato allo stipite con un sorrisetto in faccia ed i vestiti imbrattati di sangue… non è così che immaginavo di vederlo arrivare, non come uno appena uscito dal set di un film splatter…
Di colpo mi si chiuse lo stomaco…
Lui varcò la soglia del proprio appartamento a passi lenti, scrutando ogni angolo del suo campo visivo…
Indietreggiai d'istinto, lasciandogli il tempo di realizzare che eravamo soli… il mio sguardo non riusciva a staccarsi dalla maglietta insanguinata che aveva appiccicata addosso, dai capelli scompigliati, da quelle mani che non molto tempo prima avevano ucciso qualcuno…
Quanto era sbagliato, se non perverso, volerle toccare?
Quanto era sbagliato, se non patetico, sentire la colpa di ciò che stavo per fargli?
Joe si rese presto conto che non c'era nessun altro…
“Che cosa vuoi?”
Esordì...
Mi leccai le labbra, fino a quel momento presa dall'idea perfetta di come quella scena avrebbe dovuto compiersi… la lingua mi si bloccò tra i denti… mi parve di sentire la voce di mio padre dritta nell'orecchio, come fosse davvero lì… scossi il capo, non era il momento per inutili sentimentalismi…
Joe sollevò il sopracciglio, in attesa di una risposta...
Sospirai forte e ripresi la postura fiera e sicura… leggere quei documenti ed immaginare cosa fosse successo aveva risvegliato i miei demoni personali… inutile provarci ancora, se non potevo zittirli, li avrei usati contro di lui…
“Mio padre era un impiegato… uno qualsiasi… uno di quelli che nessuno nota...”
Lui sembrò genuinamente perplesso…
“...mia madre invece lavorava part-time in una casa di riposo per arrotondare… volevano che avessi il meglio… che diventassi il meglio…”
Senza troppo pensarci mi versai un altro dito di liquore e mandai giù, guardando con la coda dell'occhio l'espressione disorientata del mio nemico… prenditi il mio dolore Shimamura... prenditelo… io ho preso il tuo, l'ho trascinato fin qui e l'ho nascosto sotto un cuscino… proprio come avrei fatto con un cadavere…
“Volevano che andassi alla New York University e che diventassi un medico...”
ripresi, riuscendo finalmente a guardarlo…
“...erano fieri di me…”
Quell'ultima affermazione riuscì a smuovere Joe dalla sua immobilità…
“Perché mi dici queste cose? A me non importa…”
Strinsi i pugni…
“Non tutti hanno avuto ogni cosa servita su un piatto d'argento come te…”
“Sta' zitta…”
Scossi piano la testa, mi sentivo meglio dopo aver sputato fuori quel ricordo… non ero diventata un medico, bensì un mostro, proprio come l'uomo sporco di sangue che mi stava di fronte, ma almeno aveva avuto una famiglia normale e due genitori che l'amavano… Questo mi rendeva più forte di lui, più forte di tutti gli Shimamura messi insieme…
“Oppure cosa?”
Decisi di attizzare la fiamma andandogli incontro… Joe fremeva e tutta quell'eccitazione mi attirava come una falena estiva…
Raccolsi i capelli sulla spalla sinistra scoprendo l'altra…
“Mi avete già tolto tutto…”
Joe avanzò a sua volta di un passo…
“Non hai idea di quanto ti sbagli ragazzina…”
Ribatté serio…
Quel dolce appellativo mi scivolò addosso come il miele… mi piaceva sentirmi chiamare così, mi faceva sentire candida, come se avessi ancora una speranza…
“Ce l'ho...”
Risposi cercando i suoi occhi…
“...ecco perché so che la mia famiglia, per quanto modesta, era mille volte meglio della tua…”
Joe scattò verso di me…
“Smetti di parlare della tua vita!”
Mi intimò in pieno viso, sovrastandomi con la sua altezza…
“Non… mi… interessa…”
Scandì con tono più basso, ma con più decisione…
Annuii, per nulla toccata dalla sua mancanza di interesse… mi bagnai le labbra con la punta della lingua e mi diressi nuovamente verso il mobile bar… non volevo bere, il sapore del whisky mi faceva ancora bruciare la bocca, per cui iniziai a giocherellare col bordo dei bicchieri di cristallo…
“Perché sei venuta qui?”
Mi domandò...
Sollevai lo sguardo, in silenzio…
Perché stai ancora temporeggiando? Perché non glielo dici e basta?
Falla finita Françoise... falla finita… adesso…
Benché lo ripetessi senza sosta era ormai chiaro il motivo per cui le mie labbra volevano disperatamente restare serrate...
“Rispondimi!”
Stavolta Joe urlò facendomi sussultare… mi voltai verso di lui sollevando piano le ciglia scure di mascara…
“Te...”
Inspirai…
“...sono venuta per te…”
Sembrò onestamente scioccato per la frazione di un secondo…
Aguzzò lo sguardo e si fece avanti…
“Ti suggerisco di ponderare attentamente la tua prossima scelta di parole...”
Ad ogni lungo passo silenzioso, indietreggiavo verso le parete, lì dove lui mi stava sapientemente guidando…
Con la schiena spalmata contro l'intonaco gelido non potei più evitare di guardarlo… mi era quasi appiccicato e riuscivo a sentire addosso tutto il suo calore… Joe poggiò i palmi sulla parete dietro di me, imprigionandomi tra il muro ed il suo corpo…
“...non sono dell'umore giusto per un altro dei tuoi giochetti…”
Il respiro dell'assassino mi accarezzò la pelle ed il mio corpo reagì senza remore, diventando bollente sotto la biancheria…
“Perché sei venuta qui?”
Chiese di nuovo, stavolta in un mezzo sussurro, già terribilmente vicino al mio viso, respirando a metà tra le mie labbra ed il mio orecchio…
Diglielo… digli che è stato suo padre…
Quel pensiero non lo sentii nemmeno… le dita di Joe giocavano con i piccoli bottoni di madreperla sulla scollatura del mio abito troppo leggero… lottai contro l'urgenza di chiudere gli occhi e graffiai il muro con le unghie…
“Ti ho già risposto…”
Riuscii infine a buttar fuori, cercando di far passare una punta di acidità… il mio ultimo stralcio d'orgoglio… Joe ribatté con un sorriso a labbra strette…
Stringendo la stoffa tra le dita tirò tanto forte da strapparmi il vestito in un secondo… lo strappo riempì il silenzio piombato nella stanza mentre l'abito mi si apriva addosso fino all'ombelico… poggiai la testa al muro e seguii i suoi occhi mentre prendevano possesso della nuova visuale… le pupille dell'assassino erano dilatate, i suoi denti serrati, il respiro profondo, ma non ancora accelerato… stava prendendo il suo tempo, fissando ogni centimetro scoperto, valutando probabilmente quante e quali torture infliggermi…
Cominciò dal seno, ancora nascosto dietro il pizzo azzurro della mia biancheria, stringendolo tra le mani con non troppa delicatezza… continuava a guardarmi in viso mentre io cercavo di resistere all’urgenza d’inarcare la schiena e gemere sotto il tuo tocco…
Si spinse addosso a me, facendomi sentire distintamente quanto fosse eccitato… nascose il viso nell'incavo del mio collo abbandonando la dolce tortura per qualche istante, solleticandomi la pelle con la barba incolta…
Strinsi il labbro tra i denti lasciandogli più spazio… la maglietta insanguinata mi sfiorava il corpo e le mani di Joe risalivano lente la curva delle mie gambe, sollevando piano ciò che restava del mio vestito…
“Dillo ancora…”
Mi sussurrò contro l'orecchio… tono basso ma autoritario…
Le mie mani si staccarono finalmente dalla parete e risalirono i suoi muscoli tesi cercando un appoggio più stabile… potevo sentire le sue dita tra le gambe, sfiorarmi appena nella peggiore delle torture…
Joe si allontanò di qualche centimetro per poter cercare il mio viso, afferrandolo con una mano per costringermi a guardarlo…
“Dillo ancora…”
Stavolta scostò i miei slip mentre lo diceva, ma senza toccarmi ancora…
Le mie mani raggiunsero la sua nuca, le dita perse tra i suoi capelli mossi…
“Sono qui per te...”
Ribadii a bassa voce ed in tutta risposta sentii due delle sue dita entrarmi dentro senza preavviso, costringendomi a trattenere il fiato... Joe continuava a fissarmi mentre mi contorcevo attorno alla sua presa… era quasi insopportabile…
Strinsi ancor più forte le mani attorno al suo collo e lo guardai negli occhi un'ultima volta…
“...solo per te…”
Conclusi, senza sapere se fosse il mio stomaco, il mio cuore o i miei lombi a parlare… mi schiantai contro la sua bocca a palpebre chiuse, sentendo la sua lingua ancor prima delle sue labbra… baci umidi, baci profondi, una scia di baci bagnati lungo la linea della mandibola e della spalla mentre le mani di Joe mi sollevavano di peso fino alla superficie piana più vicina…
Le mie mani si insinuarono sotto il bordo della sua maglietta tirando su, costringendolo a staccarsi per il tempo necessario a sfilarla… subito dopo attaccai i bottoni dei jeans nel tentativo di liberarlo il prima possibile… non c'era più tempo per i preliminari…
Stringendomi con forza alla vita mi attirò ancor più a sé, spendendo pochi istanti d'attesa per sfilare l'ultimo inutile indumento tra noi… mischiando il suo respiro affannato al mio si posizionò tra le mie gambe e mi inchiodò al tavolo mentre, con una sola spinta, mi prendeva…
Prese a muoversi lentamente, per trovare l'angolo perfetto, quello che mi faceva tremare, che mi avrebbe fatta esplodere in pochi secondi… il ritmo divenne allora frenetico, le sue forti mani mi stringevano all'altezza dei fianchi accompagnando ogni spinta, non lasciandomi respiro, nemmeno per un istante...
Mi stringevo a lui ansimandogli nelle orecchie, in un rapido crescendo di graffi e gemiti che ben presto raggiunse il suo apice.
Rimanemmo immobili per minuti infiniti, le mie mani aggrappate al bordo del tavolo per sostenermi e le sue poco distanti, annaspando alla ricerca d'ossigeno… Joe si mosse per primo facendosi indietro e tirando su i jeans… scesi dal tavolo cercando di coprirmi coi resti del mio abito a fiori, un gesto pudico che in quel momento non mi si addiceva affatto…
Era strano, quasi imbarazzante, difficile di certo… nessuno di noi due aveva idea di cosa dire adesso… a me soprattutto tutte quelle endorfine avevano annebbiato il cervello…
Fu di nuovo lui a muoversi, allontanandosi ancora…
“Ho bisogno di una doccia…”
Si giustificò prima di lasciare lentamente la stanza, abbandonandomi con i miei pensieri…
Guardai allo specchio il disastro che era la mia faccia… tentai ancora una volta di coprirmi, ma era impossibile con l'abito strappato… cercai allora i miei slip sul pavimento e li infilai velocemente, non riuscendo ad ignorare la sensazione ancora viva delle mani dell'assassino lungo le mie gambe.
Non avevo idea del perché gli avessi detto in quel modo, che ero lì per lui, come se avessi voluto dirgli che stavo morendo all'idea di non vederlo più… non era una bugia dopotutto, ero davvero lì per lui, ma solamente per raccontargli ciò che avevo scoperto, solo per fargli del male…
Buttai gli occhi verso il divano che nascondeva il mio segreto e lasciai cadere le spalle… chi volevo prendere in giro?
Era lui…
Il motivo per cui la sola idea di sfiorare qualcun altro mi faceva vomitare…
Il motivo per cui avevo sparato in testa a quel russo, giù al deposito…
Il motivo per cui il ricordo dei miei genitori e della mia infanzia era di nuovo lì a tormentarmi…
Era lui…
Chiusi gli occhi concentrandomi sulle immagini di quella sera alla Salle de Paris…
Lo odiavo ancora… lo odiavo da morire… dovevo odiarlo…
Valutai allora l'idea di lasciare quei documenti sullo stesso tavolo dove avevamo fatto sesso e andarmene… avrei potuto goderne anche a distanza in fondo e Joe era certo abbastanza intelligente da arrivarci da solo…
Raggiunsi a passi lenti la camera dell'assassino e raccolsi la prima maglia che mi capitò davanti agli occhi… non potevo certo uscire in strada mezza nuda… indossai la sua t-shirt nera e rimasi lì, accanto al suo letto, guardandomi di nuovo in uno specchio…
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Jet uscì dalla suite scortato da due uomini… nessuno dei due aveva proferito parola, ma quello più alto l'aveva indirizzato verso destra con un gesto della mano ed un cenno del capo… aveva addosso un nuovo completo italiano ed una camicia bianca inamidata di fresco, un gentile omaggio recapitato nella sua stanza dallo staff dell'hotel… si stavano dirigendo verso una sala privata per la cena…
Non aveva idea di cosa sarebbe successo una volta lì dentro… non aveva più parlato direttamente con Smirnov dopo il loro ultimo confronto al deposito...
Le parole di Nataljia gli erano ancora chiare in mente, sua moglie voleva prendersi ciò che gli spettava, ma non era ben chiaro cosa pensasse di meritare, soprattutto dopo una fuga durata due anni… il suo disprezzo e la sua rabbia l'avevano colpito profondamente, costringendolo a mettere in discussione il suo intero operato… l'obbedienza ed il rispetto che mostrava verso suo padre per lui non erano altro che lealtà, la sacrosanta lealtà che si deve alla famiglia, la stessa che avrebbe mostrato sia a Jack che ai suoi fratelli in qualsiasi circostanza… ed il matrimonio non è nulla più che una circostanza come le altre, giusto? Cosa si aspettava Nataljia da un'unione pianificata a tavolino ed un contratto finanziario siglato a quattro mani? Avrà pur sbagliato in mille modi, primo fra tutti innamorandosi di lei, ma restava Nataljia quella in torto, era stata lei ad abbandonarlo senza una parola… se avesse parlato prima magari... Jet sentì lo stomaco chiudersi… su una cosa sua moglie aveva avuto ragione, se anche avesse chiesto o preteso qualcosa di più, lui di certo non l'avrebbe ascoltata, avrebbe sempre messo al primo posto la famiglia… la sua famiglia…
La grande e spessa porta della sala lo distolse da quel pensiero… e se Smirnov avesse preparato un'esecuzione dall'altra parte? Forse è questo che Nataljia intendeva dicendo che si sarebbe presa tutto in un modo o nell'altro, togliendolo di mezzo non sarebbe più stata obbligata a dividere la sua eredità con lui… di conseguenza non avrebbe mai messo le mani su metà delle proprietà di Jet, ma poco importa, quasi sicuramente disprezzava quelle quote proprio come disprezzava lui e tutti i suoi parenti…
Non avrebbe avuto molte possibilità di salvarsi, non stavolta…
Mandando giù la tensione solcò il primo passo nella stanza e si trovò inaspettatamente avvolto in una nuvola di aromi e profumi… l'acre si fondeva con l'odore denso della carne e, solo in sottofondo, riusciva a percepire una nota dolciastra e zuccherina…
Smirnov si alzò lasciando strisciare la grossa sedia sul pavimento, agghindato nella giacca grigio scuro che contava quattro stelle su ogni spalla, il ricordo dei suoi giorni da generale cui tanto era ancora legato…
“Jet...”
Lo salutò col proprio nome ed un mezzo sorriso, invitandolo con un cenno ad unirsi a loro… accanto a lui sedeva infatti Nataljia nel suo abito blu notte, il viso pulito ed i capelli raccolti sulla nuca in uno chignon ordinato…
Jet si avvicinò lentamente e circospetto, scegliendo infine la sedia di fronte, quella che gli dava maggior controllo della situazione… i due tizi che l'avevano accompagnato sparirono chiudendosi la porta alle spalle…
“Serviti pure…”
Lo invitò il russo tornando al proprio posto… Jet guardò i vassoi che gli stavano davanti e riconobbe immediatamente zuppa di barbabietole e strogonoff di manzo, un menu da grandi eventi e grande tradizione sovietica… Smirnov aveva già un'abbondante dose di spezzatino nel piatto e pareva per nulla scosso dalla sua presenza mentre inzuppava grossi tozzi di pane nella salsa… accanto a lui Nataljia giocava col cucchiaio e con la zuppa…
Il più anziano si schiarì la voce dopo aver mandato giù un grosso sorso di vino rosso…
“Mi dispiace per nostra piccola incomprensione Jet...”
Esordì, apparentemente sereno, ma non meno inquietante…
“...mi spiace di incidenti accaduti in questi anni… e anche di aver fatto arrestare tuo fratello in Johannesburg…”
Jet continuava a guardarlo con sospetto, nemmeno sfiorato dall'illusoria sincerità di quelle parole…
Smirnov rivolse un gesto a sua figlia senza spostare gli occhi da quelli del suo ospite…
“Mia figlia qui...”
Si interruppe per un altro sorso di vino…
“...ha spiegato il suo piccolo colpo di testa...”
Di nuovo indicò le pietanze…
“...spero tu voglia accettare nostre scuse…”
Raggelato dalla costante presenza delle sue pupille addosso, Jet allungò la mano e si servì della carne che non aveva alcuna intenzione di mangiare…
Il russo parve totalmente preso dal suo pasto per qualche minuto, dopodiché si pulì il viso col tovagliolo e si rivolse nuovamente a lui con tono apparentemente indifferente…
“Dimmi Jet... cosa vedi quando guardi mia figlia?”
Domanda da un milione di dollari… domanda trabocchetto…
Jet spostò immediatamente gli occhi sulla sua consorte, studiando la tenacia con la quale sembrava voler rimanere zitta ad ogni costo… lei alzò infine lo sguardo e sollevò un sopracciglio, sfidandolo a trovare una risposta degna, quella che forse gli avrebbe salvato la vita…
“Vedo la donna bellissima ed intelligente che ho sposato...”
Rispose con la bocca secca, ma senza interrompere lo scambio di occhiate…
Smirnov annuì mandando giù il suo boccone e sempre con la stessa apparente calma proseguì…
“Vuoi sapere cosa vedo io?”
Domanda retorica che entrambi ignorarono…
“Una regina...”
Al suono di quella parola Jet tornò a guardare suo suocero…
“...una regina degna del mio regno ed anche di più… non sei d'accordo?”
In quell'istante tutta la messinscena di compagnia e convivialità crollò, l'espressione del russo nuovamente gelida e ferma come la pietra…
Jet inspirò drizzando la schiena, osservando attentamente i movimenti dell'altro mentre tirava su qualcosa dalla sedia vuota alla sua sinistra… non era una pistola come poteva aspettarsi, bensì un fascicolo di fogli che il vecchio lasciò scivolare sulla tovaglia di lino…
“Credo sia ora di risolvere qualcuna di nostre ostilità...”
Spostò il piatto da una parte poiché il tempo della comunione era finito…
“...darai a Nataljia la proprietà di tutti tuoi beni in Europa…”
Jet aggrottò le sopracciglia…
“Abbiamo già un contratto prematrimoniale… Nataljia avrà metà dei miei beni ed io metà dei suoi al nostro decimo anniversario...”
L'altro ghignò…
“Ammiro tua fiducia nel sacro vincolo di matrimonio Jet, ma stavolta prenderò mie precauzioni…”
Jet afferrò i fogli e tentò di leggerne il contenuto nonostante il nervosismo crescente… non voleva rinunciare alle sue proprietà cedendole a Smirnov su un piatto d'argento… era certo infatti che l'unico motivo per cui il russo chiedeva quei beni era per poterli gestire lui, direttamente dal suo comodo trono di San Pietroburgo… Nataljia sarebbe stata solo un'utile prestanome…
“E lei? Tornerà in Russia con te?”
Smirnov sospirò gesticolando in quell'aria pesante…
“E' tua moglie Jet... mi aspetto che tu la tenga con te in vostra casa…”
“ Oteц!”
Nataljia finalmente parlò facendosi dritta sulla sedia… chiaramente non si aspettava quel piccolo colpo di scena… suo padre la zittì con un solo sguardo glaciale e tornò a rivolgersi all'altro…
“Mi occuperò io di sue proprietà in Europa…”
Jet aveva smesso di guardarlo, troppo preso dai tremori di Nataljia che, piegata sulla sedia, sembrava voler esplodere da un secondo all'altro… sfogliò i documenti cercando la conferma nero su bianco che sarebbe stata Nataljia, e solo lei, la nuova proprietaria dei suoi beni… mentre fingeva ulteriore interesse per le clausole di quel contratto, continuava solamente a pensare che in cambio di qualche terreno e di pochi milioni di dollari in quote azionarie, avrebbe avuto sua moglie di nuovo a casa… di certo Nataljia non ne sembrava entusiasta, ma lui trovava terribilmente attraente l'idea di chiuderla a chiave in una stanza ed assicurarsi che non potesse più scappare…
“Bene...”
Esordì raggiungendo la penna…
“...affare fatto…”
Concluse apponendo la sua firma completa sull'ultimo foglio… Nataljia lo guardava adesso furibonda, ma a lui non importava, non vedeva l'ora di uscire da quel posto e riportarla, consenziente o meno, nel loro letto…
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Mi avvolsi un asciugamano attorno alla vita e passai le dita tra i capelli bagnati… mi sentivo leggero e pesante allo stesso tempo, soddisfatto nella carne, ma comunque vuoto nell'anima… ero certo che uscendo dal bagno non l'avrei più trovata, sicuro che Françoise fosse già sparita nel nulla com'era suo solito… parte di me sinceramente ci sperava, speravo di non doverla guardare ancora, di non doverle parlare, di non dovermi chiedere se davvero provavo qualcosa di diverso per lei, qualcosa in più del semplice disprezzo che si deve al nemico…
Continuavo a pensare alla ragazzina imbranata che avevo incontrato sull'aereo, quella dall'aria innocente che avevo immaginato tra i banchi di scuola e dietro il bancone di un bar… avevo fantasticato un'intera vita per lei in pochi minuti, una vita qualsiasi, fatta di impegni insignificanti, amiche un po' puttane e magari un padre bigotto e geloso… una vita che avrei sconvolto con un solo breve incontro…
Quella ragazza non esisteva ed io non volevo più pensarci, volevo togliermi dalla mente l'immagine della sua cerimonia di laurea in medicina… maledetto il momento in cui aveva aperto bocca, costringendomi a conoscere cose di lei che non avevano alcuna importanza…
Mi guardai brevemente allo specchio e notai il segno che la sua bocca mi aveva lasciato sulla spalla sinistra… benedetto il momento in cui aveva invece aperto le gambe… contavo sulle dita di una mano le donne che mi ero portato a letto più di una volta e Françoise sembrava sovrastarle tutte, forse perché cattiva, forse perché proibita… forse perché tanto simile a me, non fosse per i continui voltafaccia e sbalzi d'umore che mi tenevano continuamente sulle spine…
Se anche fosse rimasta, chissà mai che donna avrei trovato fuori da quel bagno…
Uscendo notai immediatamente la desolazione del mio soggiorno… proprio come immaginavo... mi avviai silenziosamente verso la mia stanza da letto pensando a come avrei passato la notte che mi attendeva… al di là dei miei drammi relazionali avevo ancora un fratello scomparso a cui pensare…
Di certo non mi aspettavo di trovarla lì, nel mio piccolo mondo privato, con addosso una delle mie magliette usate… Françoise se ne stava poggiata all'armadio persa in chissà quali piani di vendetta, totalmente ignara della mia presenza vicino alla porta…
Aspettavo di sentirmi infastidito ed invaso, ma in realtà nessuna delle due parole definiva il mio nuovo inaspettato stato d'animo… era bella nella luce del tramonto che filtrava dalle tapparelle nella penombra, bella nella sua apparente tranquillità e nei miei vestiti… il collo della maglia troppo grande le lasciava la spalla scoperta, le maniche troppo lunghe nascondevano le mani e l'idea che il mio odore le sarebbe inevitabilmente rimasto sulla pelle accese di nuovo la mia virilità…
Facendomi avanti resi nota la mia presenza… Françoise mi scattò in piedi di fronte…
Avanzai di un passo verso di lei che sollevò immediatamente le mani…
“Non farlo…”
Intimò autoritaria…
“Ti odio ancora…”
Specificò stringendo i pugni… risposi sorridendo e annuendo, sempre più vicino…
“Ti voglio comunque morto…”
Aggiunse restando rigida in mezzo alla stanza… annuii di nuovo, ormai a meno di mezzo metro da lei…
“Intanto però sta' zitta…”
Ribattei, afferrando il suo viso tra le mani e soffocando ogni ulteriore protesta con la mia bocca…
Stavolta fui io ad infilare le mani sotto la maglietta per aiutare a toglierla di mezzo, spingendo poi giù, lungo le gambe nude, l'abito strappato che non mi era piaciuto dal primo momento… Françoise sembrava improvvisamente così piccola e leggera tra le mie mani… sganciai il reggiseno con la maestria di un veterano e la spinsi sul letto, infilando le dita ai lati dei suoi slip per farli scorrere giù il più velocemente possibile…
In piedi di fronte a lei tolsi di mezzo l'asciugamano che avevo addosso e mi godei il piacevole attrito tra umido ed asciutto mentre mi sdraiavo tra le sue gambe… le passai le labbra sul seno, lasciando scivolare la lingua sulla pelle più rosa e delicata…
Françoise però premette sulle mie spalle fino a farmi rotolare dall'altra parte del letto, ovviamente con lei sopra… in un attimo sentii la sua carne bollente addosso, scendere lentamente su di me ed avvolgermi come la più calda delle coperte…
Iniziò a muoversi piano, ondeggiando in un ritmo quasi crudele, il suo ritmo… trattenni l'istinto di rispondere ai suoi colpi, deciso a gustare quell'immagine ancora per un po'… Françoise aveva drizzato la schiena, il suo corpo nudo completamente esposto ai miei occhi, compresi i due nei vicino all'ombelico che prima non avevo notato… aveva gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta, la testa rivolta all'indietro ed una mano appoggiata su di me... sembrava quasi che all'improvviso nemmeno ci fossi ed il pensiero mi fece finalmente muovere, portando le mani attorno alla sua vita sottile ed aiutandola a seguire una nuova velocità… io ero un cavallo da corsa, non da passeggiata nei boschi…
Tirando su la schiena e portandomi alla sua altezza, la afferrai per le ginocchia così da rendere il contatto più profondo possibile e toglierle di nuovo il controllo… Françoise mi afferrò per le spalle e si lasciò guidare… spinsi ancora fino al punto di non ritorno, tenendola stretta a me con più forza del necessario, ma senza davvero preoccuparmi dei lividi che probabilmente avrei lasciato sul candido della sua pelle…
I nostri gemiti lasciarono spazio al silenzio e all'oscurità della stanza… la lasciai andare e lei si sdraiò sul materasso, coprendosi e fissando il soffitto…
Eravamo entrambi sdraiati e nudi, entrambi terrorizzati all'idea di dire qualcosa e far scoppiare la bolla che ci aveva inghiottiti nelle ultime due ore… ripresi il controllo del respiro, notando con una punta di piacere il modo con cui Françoise si era subito coperta, come se non avessi già scattato un milione di foto mentali di ogni centimetro del suo corpo… era nel mio letto… dentro il mio letto… avrei potuto allungare la mano e toccarla ancora, avrei potuto voltarmi e guardare il suo viso rivolto all'insù, determinato ad ignorarmi… non ne avevo voglia, non ne avevo la forza… le mie palpebre sembravano di colpo troppo pesanti da tenere su ed una voce gracchiante ed insistente nella mia testa aveva preso di colpo a parlare di Jet... perché mio fratello non aveva ancora richiamato? E se avesse avuto bisogno d'aiuto mentre io stringevo i fianchi della donna che aveva dato inizio a tutto? Perché tutto sembrava di colpo più lontano?
Dopo non so quanto tempo mi alzai e mi infilai solo un paio di jeans, iniziando ad osservarla con sospetto… ancora non riuscivo a credere di essermi davvero addormentato con lei accanto… desideravo così disperatamente un po' di pace e normalità da mettere a repentaglio la mia esistenza? Davvero?
“Che stai facendo?”
Chiesi serio dopo aver notato che lei si era alzata e il divano era alquanto scomposto…
“Te l'avevo detto…”
Si stava chiaramente riferendo al fatto che nulla era cambiato e che la sua amata vendetta era ancora in atto…
Invece di partire all'attacco mi sentii terribilmente frustrato, tanto da alzare gli occhi al cielo e spalancare le braccia…
“Non sei ancora stanca?”
Domandai
“La tensione costante… la paura… gli stessi circoli distruttivi ancora, ancora e ancora...”
Françoise se ne stava lì, apparentemente indifferente…
“...ti fermerai mai?”
Stavo cercando di essere onesto, in barba agli insegnamenti di una vita intera… mi sentivo come uno stupido adolescente imbarazzato, ma ero stanco di fingere di non sapere ciò che ormai sapevo benissimo…
“Non posso...”
Mi rispose lei con naturalezza, ma non meno tormentata…
“...io non ho niente… questa vendetta è tutto quello che ho…”
Sospirai cercando di arrivarle più vicino…
“Hai avuto occasione di uccidermi almeno dieci volte...”
Ripresi… eppure eccomi ancora qui… conclusi nella mia testa senza bisogno di dirlo davvero…
“...crollerebbe davvero il mondo se ammettessi una volta per tutte che provi qualcosa per me?”
Stavolta lei saltò come se le avessero appena conficcato un ago da dieci centimetri tra le scapole…
“Io non sento niente per te!”
Ribatté secca e decisa, forse anche troppo…
Feci un altro passo…
“Anche se mi uccidessi adesso, anche se facessi a pezzi il mio intero albero genealogico, i tuoi genitori resterebbero comunque a marcire sotto terra…”
“Io non provo niente per te… niente che non sia odio.. o disprezzo.. o compassione...”
“Non sembrava così mezz'ora fa…”
Notai palesemete la rabbia salire sul suo volto… mi sbatté dei fogli addosso…
“Lascia che te lo dimostri allora...”
Afferrai il fascicolo dalle sue mani ed iniziai a sfogliarlo senza capirci troppo in realtà…
“E' stato tuo padre…”
Sentenziò senza avere la mia attenzione…
“Tuo padre ha ucciso tua madre…”
Al suono di quelle parole presi a sfogliare più in fretta, il nome di Annie Foster prima, ed Annie Foster Shimamura poi, in cima ad ogni pagina… c'erano numeri e paroloni medici che mi annebbiavano la vista, già provata dallo sforzo di metabolizzare quelle parole… non poteva essere vero… io ero lì, io l'avevo trovata sul pavimento, io l'aveva raccolta dal suo ultimo letto di pillole… era un bluff, solo uno stupido bluff per farmi perdere la concentrazione…
Sorrisi…
“Davvero pensi di fregarmi con una simile assurdità?”
Ero chiaramente in fase di negazione…
“Va' all'ultima pagina...”
Ero ormai così certo della mia teoria che obbedii senza fiatare… era il referto dell'autopsia che, tra l'altro, avevo già letto decine di volte…
“È il vero rapporto dell'autopsia, non quello che tuo padre ha fatto stampare per pararsi il culo…”
Non avevo intenzione di crederle, ma nonostante ciò presi a leggere quelle poche righe..
“Tua madre aveva un tasso altissimo di noreprinefina nel sangue, un vasocostrittore comunemente usato per curare l'ipotensione...”
Scossi la testa… davvero in quel momento pensava di parlarmi come un medico di ER?
“Considerate quelle dosi, sono sicura che non lo prendesse di sua spontanea volontà…”
Sollevai gli occhi per un attimo, confuso…
“La mia teoria? Tuo padre ha sostituito le sue pillole per il mal di testa con la noreprinefina facendole salire la pressione alle stelle… i suoi mal di testa saranno diventati terribili, tanto da richiedere almeno quattro o cinque analgesici al giorno… e più ne prendeva, più stava male… più ne prendeva più la pressione saliva… fino a che non le è esploso il cervello...”
Ero completamente immobile, come una statua di pietra in mezzo al soggiorno… stavo diventando più pallido ed i miei occhi avevano ormai smesso di cercare conferme sulla carta…
“E perché mai l'avrebbe fatto?”
La domanda mi uscì dalle labbra in un soffio di voce come quella di un bambino…
“Guarda nello specchio…”
Concluse, cattiva come forse, in fondo, non era mai stata prima di quell'istante…
Joe Shimamura, il grande Mamba, l'assassino senza morale… stavo cadendo a pezzi davanti ai suoi occhi… non potevo permetterlo…
Nel giro di un istante l'intera atmosfera nella stanza mutò da un estremo all'altro… uscii dal mio stato di trance ed il tavolo del soggiorno volò in aria con tutte le sue riviste ed il suo posacenere di vetro… subito dopo le mie mani si chiusero attorno al collo di Françoise, spingendola con forza contro la parete attrezzata… stringevo forte, così forte da sentire sui palmi il battere incessante delle sue carotidi che cercavano ossigeno… il suo pallido viso diventava più rosso ad ogni secondo, i suoi grandi occhi azzurri sgranati e le sue unghie conficcate nei polsi, cercando in maniera scoordinata, ma non meno disperata, di farmi smettere…
La stavo guardando, ma non la vedevo davvero… vedevo solo il mio dolore e quello stavo cercando di uccidere… ancora pochi secondi e la ragazzina dell'aereo non sarebbe stata nulla più che un cadavere sul mio tappeto persiano…
Anche lei lo sapeva, lo sapeva perché le sue unghie avevano smesso di graffiare e le sue gambe di dimenarsi… non l'avrei più vista… non l'avrei vista né toccata mai più…
Lasciai la presa… Françoise cadde a terra tossendo alla ricerca d'aria…
“Vattene!”
Ordinai mentre afferravo la bottiglia di bourbon e mi preparavo a tracannarlo tutto d'un fiato… lei provò ad alzarsi...
“VATTENE!”
Stavolta urlai come un dannato… Françoise riuscì a mettersi in piedi e raggiungere la porta mentre io mandavo giù mezza bottiglia…
“ESCI DALLA MIA CASA!”
Aveva già una mano sulla maniglia e l'altra sul collo, ma continuava a guardarmi come un povero cucciolo bastonato… era davvero troppo...
La bottiglia le si fracassò accanto alla testa in mille piccole schegge di vetro, l'alcool schizzato dappertutto in un momento…
“ESCI DALLA MIA VITA!”
Françoise si decise finalmente ad uscire…
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La terza valigia riempì il cofano dell'auto che Smirnov aveva pronta per loro… stavano tornando a casa… Jet salutò con un ultimo cenno suo suocero e salì in auto, trovando inevitabilmente posto accanto ad una Nataljia immobile e muta… non gli avrebbe reso le cose semplici, poco ma sicuro…
Incredibile ma vero, delle proprietà perse non gli importava nulla… Jack non sarebbe certo stato dello stesso parere, ma per una volta, per una sola e singola volta, aveva deciso usando null'altro che la sua testa… la vista alla sua sinistra lo ripagava di ogni perdita… la sua preziosa Nataljia, disarmata ed arresa, pronta a pagare le conseguenze di ogni suo stupido gesto…
Per tutto il viaggio cercò qualcosa di brillante da dire, qualcosa che avrebbe potuto scuoterla da quel torpore… nulla venne fuori dalla sua bocca… come sempre si confermava il fratello più incapace, con tanta devozione, ma nulla da dire…
Di fronte alla loro casa, poco distante dalla grande proprietà di famiglia, l'auto accostò e l'autista scaricò le valigie di Nataljia prima di sparire…
Jet rimase indeciso se prenderle o meno, come probabilmente avrebbe fatto un normale marito… continuava a chiedersi se sua moglie sarebbe scappata di nuovo appena voltata la testa, magari giusto il tempo di infilare la chiave nella serratura… lei si mosse sui gradini del porticato, cercando i piccoli dettagli che non sapeva di non aver dimenticato…
Alla fine si schiarì la voce…
“Mi spiace che il tuo piano sia finito così…”
Fece per prendere la prima valigia, ma quando Nataljia si voltò finalmente verso di lui dovette fermarsi… un sorriso, quello era un sorriso…
Lei si avvicinò lentamente, sfoderando per lui uno dei suoi magnetici sguardi da cerbiatta… sollevò una mano verso il suo viso e, con lo stesso sincero sorriso ancora tra le labbra, gli accarezzò la guancia…
“Il mio dolce, nobile Jet...”
Era senza parole, senza respiro, senza la forza di muoversi…
“...questo è solo l'inizio…”
Parte 13
“...questo è solo l'inizio…”
Jet si congelò, sentendosi di colpo più vuoto di prima… quanto avrebbe voluto stringere quella piccola mano nella sua e portarsela alle labbra… quanto avrebbe voluto poter credere che quel sorriso fosse vero e quelle parole fossero sincere… non poteva… improvvisamente realizzò l'inutilità del suo gesto… a che scopo sacrificare i beni di famiglia se non poteva, non doveva e, soprattutto, non riusciva a crederle? Era lì, davanti a lui, così vicina da avere la sua ombra addosso, eppure c'erano ancora due anni di distanza tra loro… due lunghi anni di dubbi, incertezze, sensi di colpa e frustrazione… due anni passati a progettare la disfatta della sua famiglia, ventiquattro mesi e più tra le braccia di Matt Ryce e chissà quanti altri…
Accennò l'ombra di un sorriso prima di staccarsi dal suo tocco leggero, afferrò le valigie ed aprì la porta della loro casa… l'odore di fiori e pulito era sempre lo stesso, nemmeno un granello di polvere sui mobili di legno antico, nemmeno un'arricciatura sul grande divano color ecru… tutto ugualmente perfetto… tutto ugualmente anonimo…
Improvvisamente gli venne da chiedersi perché Nataljia non avesse voluto modificare qualcosa in quella calma piatta… perché, come ogni altra moglie al mondo, non avesse cambiato le tende o comprato qualche tappeto pacchiano, o magari provato a dipingere le pareti della cucina di un improbabile color lavanda…
Poggiò le valigie sul parquet della loro stanza, rimirando per un secondo di troppo quel letto immacolato in cui non aveva più dormito… Nataljia gli fu subito accanto... sembrava che d'un tratto avesse mille cose da dire, proprio ora che lui non aveva alcuna voglia di parlare…
“Puoi sistemare le tue cose…”
Disse la prima cosa che gli uscì di bocca, senza alcuna cadenza particolare… Nataljia lo seguì nel soggiorno…
“Jet...”
Tentò di fermarlo prima che uscisse e ci riuscì… lui si voltò lentamente…
“Che c'é?”
Rispose… gli serviva aria fresca…
“...aspetta…”
Di nuovo gli fu vicina, avvolta nel suo maledetto profumo di gelsomino… non sorrideva più, ma i suoi grandi occhi brillavano…
“C'è voluto tutto questo per avere tua reazione…”
La derise con un sospiro… reazione… voleva solo una reazione… tutto questo casino per avere un po' d'attenzione? Davvero Nataljia?
“Ciò che hai fatto oggi...”
Abbassò gli occhi ed afferrò la mano di Jet nella sua…
“...adesso sarà diverso…”
Jet guardò le proprie dita intrappolate nella piccola mano di sua moglie… se solo non avesse già alzato le barricate... forse a quel punto ci sarebbe caduto davvero… si ritrasse di nuovo…
“Poco ma sicuro…”
Ribatté serio, cercando di sfuggirle il più in fretta possibile… Nataljia gli bloccò il passaggio…
“Per favore… ho bisogno di uscire da qui…”
La pregò con la più cruda sincerità… lei scosse piano la testa…
“Ho bisogno di parlare con te…”
Jet contemplò l'idea per qualche secondo… chissà cosa sarebbe potuto venir fuori da quella piccola bocca a cuore? Quante storie poteva ancora raccontare?
Stavolta fu lui a farsi vicino, curvando la schiena per essere alla sua altezza…
“Risparmia il fiato Nataljia...”
La guardò dritto negli occhi, freddo e diretto come solo lui sapeva essere…
“...non crederei ad una sola parola…”
Lei scosse la testa cercando il miglior modo di ribattere, Jet non le lasciò il tempo…
“Volevi una reazione, giusto?”
Nuovamente sua moglie cercò di toccarlo, ma stavolta fu lui il più veloce, afferrandole entrambi i polsi in una stretta morsa…
“Eccola qui…”
Concluse trascinandola quasi di peso verso la camera da letto…
“Jet ti prego lasciami!”
La spinse dentro senza troppa delicatezza e, dopo averle lanciato un ultimo sguardo, si chiuse la porta alle spalle… girò la chiave nella toppa…
“Jet!”
Nataljia stava già battendo i palmi contro il legno, ma lui decise di ignorarla… doveva uscire da quella casa e fermarsi a pensare… aveva bisogno di vedere i suoi fratelli e calmare i nervi, almeno per un po'…
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“Borderline… questo è il termine tecnico…”
“Cosa?”
Sollevai gli occhi dal bicchiere ancora pieno… non avevo idea di cosa la barista stesse dicendo, avevo smesso di ascoltare parecchi minuti prima… a dire la verità non sapevo nemmeno perché fossi finita davanti a quel bancone, blaterando della mia vita sessuale con una perfetta sconosciuta…
“Senza offesa tesoro, ma credo che tu sia parecchio incasinata…”
Sai che novità… anche avessi avuto voglia di rispondere, Matt non me ne avrebbe lasciato il tempo… piombando alle mie spalle sbatté il bicchiere vuoto sul bancone, facendo cenno alla barista di ricaricare…
“Così rovini l'atmosfera Fenice...”
“Voglio dormire…”
“Non si dorme stanotte… si festeggia!”
Il gemello afferrò il bicchiere e si scolò l'ennesimo gin lemon tutto d'un fiato… mi ricordai solo in quell'istante che stavo partecipando al party della vittoria… missione compiuta…
Big J mi raggiunse dall'altro lato e mi poggiò il braccio attorno alle spalle…
“Ed io mi sento particolarmente ispirato…”
Sorrise stringendo la presa… chiusi gli occhi cercando di resistere all'urgenza di spingerlo via… dovevo dimenticare ciò che era successo tra le lenzuola di Joe, dovevo spegnere quell'inutile senso di colpa, dovevo smettere di pensare a lui…
Big J cercò il mio viso ed accarezzò col pollice il taglio ancora fresco sulla mia guancia destra…
“Quanto avrei voluto vedere la faccia di quel bastardo…”
Abbassai lo sguardo ancora una volta, sforzandomi di fingere un sorriso compiaciuto…
“Dovremmo decisamente continuare i festeggiamenti a letto...”
Parlandomi all'orecchio poggiò la mano libera sulla mia gamba scoperta…
Le sue dita iniziarono a salire di pari passo alla mia ansia… avevo sperato che una doccia veloce ed un nuovo vestito potessero cancellare le tracce di Joe dalla mia pelle, ma chiaramente avevo sperato troppo in grande…
“Sono troppo stanca…”
Big J si fece serio di colpo…
“Come al solito…”
Cercai di alzarmi dallo sgabello, ma lui mi afferrò il braccio e mi obbligò a guardarlo in viso…
“Dovremmo iniziare a sospettare qualcosa Fenice?”
Non mi lasciai minimamente intimorire…
“Magari non ho la minima intenzione di fare del sesso mediocre con te...”
Big J improvvisò una risata sarcastica che morì immediatamente… strinse la presa tanto forte da farmi male…
“Sta' attenta...”
Intimò…
“...ricordati che siamo Fantasmi Neri, non amici…”
Mi divincolai dalla morsa ed uscii dal locale senza aggiungere nulla… ero pronta a perdermi nel buio di quella notte…
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“DIMMELO!”
Ero completamente distaccato dalla realtà, non avevo più idea di che ora fosse, tanto meno di quanto alcool avessi in corpo, tutto ciò che riuscivo a vedere era il riflesso sulla mia lama piantata contro il collo del caro vecchio medico di famiglia…
L'altro tremava nel suo pigiama grigio, trascinato fuori dal suo letto nel peggiore dei modi…
“L'ha uccisa lui?”
Stava sudando, sul punto di piangere, preparandosi a morire come fanno tutti i codardi… Non riuscivo a credere che fosse lo stesso uomo che aveva amorevolmente curato il mio braccio rotto e la mononucleosi di Jonah...
“È STATO LUI, SÌ O NO?”
La mia mano gli spinse la testa ancora una volta contro il muro e forse quel dolore pulsante, mischiato al metallo che lentamente gli tagliava la pelle, lo convinse ad arrendersi… il dottore annuì preparandosi a morire… se lo meritava, meritava una fine del genere… non avrebbe mai dovuto violare il giuramento di Ippocrate, non avrebbe mai dovuto cedere alle lusinghe del denaro svendendo la sua vocazione ad un bastardo come Jack Shimamura...
Ogni piccola speranza che Françoise stesse solo mentendo svanì in quell'istante, sentii spegnersi l'interruttore della mia ragione ed urlando contro il nulla presi a sbattere il medico contro la parete bianca, tante volte e tanto forte da vederla presto macchiarsi di rosso… lasciai cadere il corpo svenuto del dottore a terra, probabilmente era ancora vivo, ma in quel momento non poteva importarmi meno… qualcun altro meritava di morire ancor più di lui…
Mi fermai per qualche istante a respirare, afferrando una bottiglia qualsiasi dalla collezione del dottore… nessun liquido aveva più sapore, tutto mi bruciava la lingua allo stesso modo… l'importante era non fermarsi, non lasciar modo ai miei pensieri di farsi sentire, non permettere alla mia mente di immaginare come sarebbe stata la mia vita ora se mia madre non fosse mai morta…
Uscii dalla villa il più in fretta possibile, convinto che la tappa immediatamente successiva sarebbe stata la casa di mio padre… l'aria fresca mi colpì in viso come uno schiaffo, scontrandosi col calore dovuto all'ebbrezza… Jonah stava sicuramente dormendo tra le sue lenzuola di seta come nulla fosse, cullato dall'idea di assomigliare ad un padre orgoglioso e potente che, nonostante tutto, ammirava ancora… suo padre… non mi ero reso conto fino a quell'istante di quanto la situazione fosse diversa per Jonah e per Jet... Jack era solo un estraneo per me, ma non certo per i miei fratelli… non potevo piombare a casa nel cuore della notte ed ucciderlo come tanto profondamente stavo desiderando, non potevo fare questo a Jonah e non potevo farlo nemmeno a Jet... Jet… dove diavolo era mio fratello maggiore quando più ne avevo bisogno?
La nuova consapevolezza mi fece urlare di nuovo, stavolta contro il vento… non potevo fare nulla… quel dolore terribile mi stava divorando dall'interno ed io non potevo fermarlo, non potevo cancellarlo, non nell'unica maniera che conoscevo, uccidendo e tagliando… Avevo bisogno di bere ancora, di altro alcool che cancellasse i miei pensieri e zittisse quell'insopportabile sofferenza…
Mi diressi a passi veloci verso casa, senza alzare mai lo sguardo da terra, ignorando l'allegro vociare che proveniva dai locali ancora aperti e gli sguardi storti dei pochi passanti… dovevo tornare al mio appartamento… anche se le mie personali scorte d'alcool erano finite, la dispensa del locale doveva essere ancora piena… dopo la morte del proprietario nessuno era venuto a reclamare il locale e poiché si sa, le voci corrono veloci, né turisti né abitanti fremevano dalla voglia di tornare in un posto dove i russi ti sparano addosso…
Riuscii a trovare due bottiglie di bourbon e mi accasciai dietro il bancone, usando i denti per aprirle il più in fretta possibile… mandai giù finché ci riuscii, poi poggiai la testa contro il legno e chiusi gli occhi… volevo svenire, volevo solo svenire…
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“Joe...”
Mi alzai dal letto con difficoltà, le due costole rotte facevano un male bestiale, tanto che perfino respirare era una gran fatica… mio padre mi aveva ordinato di affiancare due dei nostri nella mia prima ronda notturna al quartiere francese… una tranquilla discussione sulla spartizione delle zone di spaccio si era presto trasformata in un'allegra rissa di gruppo… i pugni veri fanno male…
Mia madre entrò nella stanza avvolta nella vestaglia di maglina viola, i capelli ancora sciolti ed il viso pulito da ogni traccia di trucco… guardai l'orologio, sei e dodici del mattino, sicuramente Jack stava ancora dormendo… mamma chiuse piano la porta e si avvicinò al letto, sedendosi sul bordo accanto a me... mi esaminò il viso con attenzione ed accarezzò il grosso livido che andava scurendosi sullo zigomo, giù fino al labbro tagliato…
“Il mio bambino…”
Sussurrò con voce tremante… non ero poi così grave e, nonostante l'età, mi rendevo già conto che quel tono non era di preoccupazione, bensì di colpa e rimorso…
“Ho quasi diciassette anni mamma, non sono più un bambino...”
Ribattei sforzando un mezzo sorriso cui lei rispose prontamente… osservai ancora una volta il volto di mia madre, segnato da più anni di quanti non ne avesse davvero… era sempre impeccabile, educata e ben vestita, sempre dritta e fiera al braccio di mio padre, sorridente davanti agli amici di famiglia e determinata accanto ad un marito che chissà, forse amava, forse no, forse aveva amato solo tanto tempo fa… in diciassette anni di vita mai, mai avevo visto quello stesso viso illuminato da un'ombra di reale felicità o almeno così mi sembrava… non avevo ancora un'idea precisa di cosa fosse la felicità, tanto meno di cosa fosse l'amore coniugale…
Mi mossi di nuovo cercando di incrociare le gambe nel più sciolto dei movimenti, un mero tentativo di tranquillizzarla e rimandarla a letto prima che Jack si svegliasse… purtroppo non riuscii a trattenere una smorfia di dolore…
“Joe devi stare fermo…”
Ma io insistetti provando a raggiungere lo scopo che mi ero prefissato…
“Tranquilla mamma, tanto devo abituarmi al dolore… devo imparare ad ignorarlo…”
Lei mi posò una mano sul ginocchio…
“No tesoro mio...”
Parlò con voce ancor più bassa, quasi stesse per confidarmi un segreto…
“...non ignorare il dolore… non ignorare nulla di quello che provi...”
Aggrottai le sopracciglia…
“Ma è questo che papà cerca di insegnarci…”
Non è per questo che mi tratta costantemente come un cane? Conclusi nella mia testa… Mamma strinse le labbra, per un attimo sembrò che stesse per piangere, ma presto quell'impressione svanì… scosse la testa…
“Non ascoltarlo...”
Inclinò la testa e di nuovo allungò la mano per accarezzarmi il viso…
“...le tue emozioni sono importanti Joe…”
“Ma io voglio essere forte…”
Mia madre sorrise, forse a malincuore…
“Tu sei già forte Joe, più forte di tutti i tuoi fratelli...”
Stavolta sorrisi anch’io, abbracciato da quelle parole e dal calore della sua mano sul viso…
“...le tue emozioni ti porteranno fuori da qui un giorno…”
Avrei voluto ribattere, assicurarle che non volevo affatto andarmene, che non l'avrei mai abbandonata e che l'avrei resa fiera di me, ma mamma mi zittì con un dito sulla bocca…
“Devo tornare di là prima che tuo padre si svegli...”
Si alzò lisciando le pieghe sulla vestaglia…
“...tu cerca di non muoverti troppo…”
Ero perplesso, genuinamente perplesso, incapace di dare senso a quelle parole in un momento della mia vita in cui non potevo desiderare altro che diventare il soldato perfetto, forte e coraggioso, principe di ghiaccio di un'intera città e di un intero impero… decisi quasi subito che non le avrei dato ascolto, non sarei mai stato una mammoletta piena di paure e di debolezze… dovevo essere ferreo e tenace, non lasciarmi piegare né scalfire dai pugni dei nemici, non lasciarmi ferire dall'indifferenza e dagli insulti di un padre che sembrava amarmi di meno, o meglio non amarmi affatto… già dal giorno del mio quindicesimo compleanno avevo promesso di smettere di chiedermi cosa avessero in più i miei fratelli e volevo mantenere quella promessa…
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Jet sbottonò la giacca mentre l'alba iniziava ad alzarsi su New Orleans… era stanco, ma non voleva tornare a casa da suo padre, tanto meno da sua moglie… Nataljia era forse abbastanza forte da sfondare quella porta, ma non avrebbe mai potuto superare le inferriate alle finestre o il portone blindato che non aveva più la stessa serratura né la stessa combinazione…
Joe non rispondeva al telefono e non era nel suo appartamento… dopo averlo cercato in ogni angolo e bar del centro decise di tornare comunque a casa di suo fratello ed aspettare… se non altro avrebbe finalmente posato le sue stanche membra da qualche parte…
Spinse la porta del locale lasciandola poi sbattere su se stessa, già diretto verso il retro… fu la scarpa scura che spuntava da dietro al bancone a fermare il suo ultimo passo a mezz'aria, girò la testa e seguì quella traccia umana fino a scoprire il corpo di Joe privo di sensi sul pavimento… la schiena poggiata al bancone e la testa abbandonata sulla spalla destra, una gamba lunga e l'altra ancora piegata, le braccia stese lungo i fianchi, la bottiglia vuota ancora stretta in una mano…
L'odore d'alcool era così forte che di certo suo fratello non s'era limitato alle due sole bottiglie che poteva vedere… s'inginocchiò davanti a lui e controllò che stesse ancora respirando normalmente, gli afferrò la testa e cercò di svegliarlo…
Joe non disdegnava bourbon e whisky, ma non era solito stravolgersi fino a tale punto... l'ultima volta che l'aveva visto così risaliva a qualche anno prima, dopo il funerale della loro madre…
Qualcosa come cinque minuti dopo, quand'era ormai pronto a procurarsi un secchio d'acqua gelata e ricorrere alle care vecchie maniere, Joe aprì un occhio solo, cercando di tener su con fatica la pesantissima palpebra…
La testa pulsava come se lo stessero prendendo a martellate e la nuvola di colori confusi davanti ai suoi occhi stentava a ricomporsi… sentì una mano forte e calda che lo colpiva in viso, aiutandolo pian piano a tornare alla realtà, prendendo lentamente la forma di suo fratello…
“Jet?...”
La lingua asciutta raspò contro il palato, mentre le sue pupille s'adattavano alla luce dell'alba…
“...stai bene?”
Jet si allontanò rimanendo di fronte a lui a ginocchia piegate…
“Sicuramente meglio di te, fratello…”
Joe si passò una mano sulla fronte sperando di fermare il continuo tamburellare delle sue tempie… Jet si tirò su e cercò di procurarsi della semplice acqua…
“Che cosa ti ha ridotto in una condizione così miserabile Joe?”
Gli domandò porgendogli il bicchiere… l'altro mandò giù trovandosi travolto dalla realtà come da un treno, era reale, ogni avvenimento del giorno prima era reale… aveva ancora una madre morta ammazzata ed un padre bastardo a cui farla pagare… tutta la rabbia era sparita, ma il dolore era sempre lì… il suo stomaco minacciò di volersi svuotare sul pavimento, poggiò le mani sulla pancia e prese un paio di lunghi respiri prima di guardare Jet…
“La mamma…”
Rispose a bassa voce, cercando inutilmente parole più adatte per dire ciò che doveva dire… suo fratello sospirò, erano passati anni ormai, ma sapeva benissimo che proprio Joe era stato il più colpito da quella perdita… con la scomparsa di Annie infatti, non solo aveva perso una madre, ma anche ogni legame col suo passato e con le sue origini… sebbene riuscisse benissimo ad ignorarlo per la maggior parte del tempo, non scorreva alcuna goccia di sangue Shimamura nelle vene di Joe… era sì suo fratello, ma solo per metà…
“Stavi pensando a lei?”
Domandò con casualità, sperando fosse Joe ad approfondire la questione se ne aveva bisogno… quest'ultimo scosse piano la testa…
“Non è stata una fatalità Jet...”
L'altro sospirò…
“Che vuoi dire?”
Joe cercò di alzarsi, ma non ci riuscì…
“Non è stato un malore...”
Guardò suo fratello dal basso…
“...è stata punita…”
Jet aggrottò le sopracciglia, probabilmente Joe era ancora ubriaco e solo per questo ogni sua parola suonava criptica e fuori contesto…
“Punita per cosa?”
“Me…”
Rispose immediatamente cercando di evitare lo sguardo di Jet che dall'alto lo giudicava ripetitivo, infantile ed auto commiserevole… non era esattamente questo che il maggiore stava pensando, anche se ormai Jet conosceva bene gli incastri ed i meccanismi nella mente di Joe… era brillante, intelligente, non un ottimo stratega, ma comunque affidabile, eppure riusciva a perdersi in così poco, che fosse la pozzanghera della sua solitudine o lo sguardo ceruleo di un'affascinante sconosciuta… a volte aveva bisogno di ricordare che, a dispetto del dna, era comunque cresciuto come uno di loro…
“Sei ancora ubriaco Joe... parliamone più tardi…”
Il tentativo di Jet di lasciar cadere la cosa fallì miseramente…
“È stato Jack... l'ha uccisa lui…”
Jet si bloccò tenendogli le spalle… questo era decisamente più di quanto si sarebbe aspettato dal post-sbronza di suo fratello… nonostante il brivido gelido che gli percorse la schiena, lasciò sfuggire una mezza risata…
“Non so proprio da dove venga fuori quest'assurdità…”
Provò a muoversi di nuovo senza nemmeno voltarsi, lo stava tranquillamente abbandonando su quel pavimento come fosse un pazzo visionario e miserabile… Joe tornò a sentire la rabbia che fino a quel momento era riuscito ad annegare…
“Ho le prove…”
Jet fermò i passi, voltando la testa verso l'altro, lo sguardo affilato in attesa delle prossime parole… Joe si alzò ignorando la stanza che gli girava attorno…
“Ho i documenti dell'autopsia...”
Indicò poco distanti i fogli ormai stropicciati che Françoise gli aveva consegnato…
“...e il nostro medico di famiglia ha confermato…”
Jet raccolse i documenti e li sfogliò con più attenzione possibile…
“Dove li hai presi?”
In quel momento Joe sentì di nuovo addosso gli occhi pietosi di Françoise... non poteva dirgli di lei, del loro incontro, del modo in cui l'aveva lasciata fuggire ancora una volta… decise di non parlare e quel silenzio a Jet sembrò bastare, poggiò i documenti sul tavolino e restò immobile senza dire o fare niente...
Doveva esserci qualcosa di veramente sbagliato in lui… quella notizia avrebbe dovuto fargli crollare la terra sotto i piedi, farlo infuriare, far cadere le sue certezze… avrebbe almeno dovuto stringergli il cuore nel petto… suo padre aveva provocato la morte di sua madre e lui non sentiva niente, assolutamente niente…
Joe aguzzò lo sguardo, non era certo la reazione che si sarebbe aspettato…
“Tutto qui?”
Si avvicinò ingoiando la bile che gli risaliva l'esofago…
“E' questa la tua reazione?”
Jet mandò giù guardando il soffitto per qualche istante, come se quella bomba gli fosse appena esplosa accanto senza sfiorarlo nemmeno… Joe sentì un nuovo pugno colpirlo allo stomaco…
“Sembra che quasi te l'aspettassi…”
L'altro sospirò profondamente… Jack era un vero capo, fiero e senza scrupoli, di quelli che non tollerano il minimo sgarro… non era forse tanto più strano aspettarsi che perdonasse sua moglie dopo un tradimento come quello? Aveva partorito il figlio di un altro sotto il suo tetto dopotutto…
Scosse piano la testa…
“Ovviamente no Joe...”
“Allora perché te ne stai lì immobile? Aiutami…”
“Aiutarti a fare cosa?”
Joe strinse i pugni…
“A vendicare la mamma…”
Jet chiuse gli occhi per un paio di secondi… se conosceva bene suo fratello, non aveva dubbi sulle parole che sarebbero seguite…
“Cosa vuoi fare Joe?”
Il più giovane respirò a pieni polmoni, l'alcool stava già lasciando spazio ad una ritrovata energia…
“Voglio ucciderlo…”
Sentenziò senza dubbi, gustando quelle parole sulla punta della lingua… non aveva altro desiderio, non vedeva altre possibili punizioni che valessero la vita di sua madre…
Ed eccole lì, esattamente le parole che Jet stava aspettando… c'era un motivo se aveva sempre preferito i veleni alle armi e quel motivo era il tempo, il breve lunghissimo lasso di tempo in cui la vittima si porta il bicchiere alle labbra, i lunghi minuti con la siringa stretta nella mano aspettando che il bersaglio ti passi accanto, gli agonizzanti istanti di dolore in cui resti a guardare, sapendo che hai ancora tempo, che basterebbe una sola dose d'antidoto per rimediare al tuo gesto… se spari in testa a qualcuno o se gli tagli la gola, non c'è antidoto che tenga…
Joe vuole tutto e subito… c'è un costante vuoto dentro di lui che nulla riesce a riempire, il continuo desiderio di qualcosa che non sa identificare, l'inutile speranza che un giorno la sua sofferenza sparisca davvero…
“Non farai nulla...”
Lo fissò negli occhi, guardandolo dapprima raggelarsi per poi contorcersi in una smorfia di rabbia e d'orgoglio…
“...qualsiasi cosa tu stia pensando di fare non riporterà indietro nostra madre…”
Cercò di muoversi di nuovo, stavolta verso la porta d'uscita… Joe gli si parò davanti…
“Non puoi darmi ordini Jet…”
Era di nuovo furioso ed il tono, basso ma profondo, lasciava benissimo intendere il suo ritrovato stato d'animo… il più grande sospirò, stimolando ancor più i suoi nervi scoperti…
“Quel maledetto ha ucciso mia madre!”
Gli urlò in faccia, cercando di far capire a Jet quanto la sua reazione fosse dannatamente assurda…
“È colpa sua se io non...”
La frase rimase a metà, interrotta dal repentino movimento di Jet... Joe si ritrovò in un istante afferrato per il collo della maglia, spinto contro il bancone, inchiodato dagli occhi seri e decisi di suo fratello…
“Ascoltami bene Joe... questo non riguarda solo te, ma tutti noi… farai esattamente come ti dico io…”
La sola idea di essere comandato gli fece formicolare le mani… Joe afferrò i polsi del fratello ed allontanò le sue mani, l'angolo destro della sua bocca si sollevò in un sorriso amaro intriso di sarcasmo…
“Tutti noi...”
Ridacchiò tra sé e sé…
“...tutti voi vorrai dire…”
Guardò Jet con una nuova espressione, gelida e distaccata… l'altro scosse la testa…
“Non è quello che intendevo…”
“Ah no? Non stavi forse cercando di ricordarmi che quel bastardo non è il mio vero padre? Che io non sono uno di voi? Che l'unico a poter dare ordini qui sei tu?”
Jet sospirò lasciando che l'altro continuasse a studiare il suo sguardo… non aveva mai davvero pensato a Joe come un fratello a metà, mai prima di quel momento almeno… per lui Jack non era altro che un tutore legale, nulla più del capo crudele e manipolatore che per tutta la vita l'aveva trattato da cane bastardo… per lui Jack non era mai stato un padre e non c'era in Joe una sola goccia d'amore o di rispetto nei suoi confronti, nulla più che disprezzo e voglia di riscatto…
Per quanto si sforzasse di ricordare sua madre, Jet non riusciva nemmeno lontanamente a sentirsi allo stesso modo… Annie aveva sempre preferito il maggiore tra loro e con l'arrivo di Joe in famiglia, le cose erano ulteriormente peggiorate… nessuno più si era preoccupato del piccolo Jet, abbastanza forte ed indipendente da non aver bisogno di nulla…
Assassino o meno, suo padre era ancora suo padre… c'erano voluti anni, ma alla fine era riuscito a compiacere le sue aspettative e a guadagnarsi il suo rispetto, tornando finalmente al primo posto… che fosse un mostro o meno, restava comunque l'unico padre che lui avrebbe mai avuto e non l'avrebbe guardato morire solo per soddisfare i personali desideri di vendetta di Joe… la famiglia prima di tutto…
Si bagnò le labbra e fissò le pupille del più giovane…
“Pensa pure ciò che vuoi Joe, ma non farai niente… intesi?”
L'altro digrignò i denti, frenando il desiderio di picchiarlo a sangue… era davvero stato uno stupido a cercare il sostegno di suo fratello, avrebbe dovuto aspettarsi quell'immediato cambio di fronte… Jet si sarebbe sempre e comunque schierato dalla parte della famiglia, famiglia di cui lui chiaramente non faceva più parte…
Era solo… completamente solo al mondo…
Non avrebbe potuto distinguere tra paura e sollievo in quel momento, attraversato da una corrente continua d'emozioni in lotta tra loro… l'uomo davanti a lui non era più suo fratello, ma un altro tra le migliaia di sconosciuti che negli anni avevano incontrato il suo sguardo, un'altra persona al mondo con cui aveva poco in comune, nulla più che qualche cromosoma e spiacevoli ricordi d'infanzia…
Jack aveva ucciso i suoi genitori e l'aveva condannato all'ignoranza… non avrebbe mai saputo nulla più della sua nascita o della relazione tra Annie ed il suo vero padre… non era uno Shimamura, ma non aveva altro cognome… non era nessuno, non era più nessuno…
Inspirò un'ultima profonda boccata d'aria stantia…
“Esci da casa mia…”
Ordinò, ormai protetto dall'invisibile muro di cemento che si era costruito attorno in quei pochi secondi…
Jet si bagnò le labbra, contemplando l'idea di aggiungere qualcosa… non riusciva a pensare chiaramente… emozioni che non voleva sentire rischiavano di arrivare in superficie, impegnate nella loro personale rissa tra amore fraterno, orgoglio e paura, un fiume in piena che non avrebbe mai saputo gestire…
Ammonì Joe con un ultimo sguardo prima di sbattere la porta e sparire…
L'altro rimase immobile nel silenzio per un paio di minuti, il tempo necessario perché tutta la rabbia accumulata lo risalisse lentamente e raggiungesse le sue mani chiuse a pugno... esplose all'improvviso scaraventandosi contro sedie e tavoli con tutta la sua furia, spaccando e sbattendo senza remore, ignorando il vetro tra le dita ed il peso della solitudine sulle spalle… chi mai al mondo sarebbe stato dalla sua parte? Chi mai avrebbe potuto capire cosa stava provando? Così solo, respinto, accecato dalla sete di vendetta?
Si accasciò ancora una volta chiudendo gli occhi, sentendo ogni più piccolo dolore che affliggeva il suo corpo stanco, lasciando che la mente vagasse dove voleva…
Era come lei… adesso era esattamente come lei…
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Trovare casa ancora perfettamente in ordine fu una vera sorpresa… Jet chiuse il grosso portone e digitò rapidamente il codice, lasciando il mondo fuori da quelle spesse mura…
La porta della sua stanza da letto era ancora chiusa ed intatta, nessun pugno sbattuto contro il legno e nessuna protesta… Jet prese a salire le scale verso il piano superiore, diretto verso il suo personale studio, lì dove avrebbe potuto riflettere in pace sulla nuova prospettiva… Joe si sarebbe calmato alla fine, ne era quasi certo…
A metà rampa il suo passo si bloccò a mezz'aria e guardò con la coda dell'occhio quella porta chiusa… Nataljia era già rimasta lì dentro per ore…
Scese e girò la chiave nella toppa, aspettando che lei gli si parasse di fronte come una furia… quando nulla successe, qualcosa di simile alla più genuina preoccupazione lo spinse ad entrare…
Con la luce del mattino che filtrava dalle fessure della persiana, Nataljia dormiva stesa sul loro letto… si mosse silenziosamente nella penombra finché non riuscì a guardarla, i capelli ora sciolti e sparsi sul cuscino che stringeva tra le braccia, i piedi nudi abbandonati sulla coperta scura… non riuscì a non sentire quel battito in più del suo cuore, l'ennesima emozione che spingeva dall'interno… senza nemmeno accorgersene allungò una mano e spostò delicatamente una ciocca di capelli che le copriva il viso… la sua dolce rovina…
Nataljia si mosse nel sonno e lui si scostò subito… era già di fronte alla porta quando lei aprì gli occhi ed immediatamente si tirò su, le iridi scure ancora velate e la voce più roca del solito…
“Jet...”
Lui chiuse le palpebre per un istante, sforzandosi di tornare fermo e deciso… si voltò verso Nataljia e scrollò appena le spalle…
“Non hai cercato di fuggire…”
Sottolineò… lei si ricompose appena continuando a guardarlo…
“Perché non voglio…”
Jet inspirò profondamente… non era il momento per le sue bugie… si limitò ad annuire, lasciandole intendere quanto le sue parole suonassero inverosimili… Nataljia si alzò in piedi e lo raggiunse, per nulla intimorita dalla sua reazione…
“Ti prego, lasciami parlare…”
Stavolta lui scosse il capo…
“Non è davvero il momento per i tuoi discorsi Nataljia…”
Solo al suono del suo nome la russa riuscì a notare quanto il viso di Jet fosse stanco e stravolto… aggrottò le sottili sopracciglia…
“Cosa è successo?”
A lui venne quasi da sorridere…
“Non giocare a fare la moglie proprio adesso per favore…”
Voltò le grandi spalle ancora avvolte nella giacca e spinse sulla maniglia per andarsene il più lontano possibile…
“Ancora non capisci, vero?”
Nataljia abbandonò la parvenza di dolcezza per la sua tipica determinazione, attendendo, coi piedi ben piantati a terra, che Jet tornasse sui suoi passi… non ci volle molto perché tornasse a guardarla, un sopracciglio sollevato che la sfidava a stupirlo…
“Volevo che combattessi...”
Lui aguzzò lo sguardo…
“Combattere per cosa? Per te?”
Già pregustava il fiammeggiante finale che quella conversazione avrebbe presto raggiunto… stavolta fu lei a scuotere la testa e stringere i pugni…
“Volevo essere regina...”
Jet rivolse gli occhi al cielo, quella parola la odiava ormai con tutto il cuore…
“...tua regina…”
Il suo sguardo tornò immediatamente sulla figura minuta che gli arrivava a malapena alle spalle, così piccola e così pericolosa…
“Quello che ho fatto... ho fatto per noi…”
Quelle parole suonarono assurde, offensive persino… se n'era andata, senza nemmeno la decenza di un biglietto, lasciandolo solo a leccare il suo orgoglio ferito, schierandosi dalla parte del nemico senza ripensamenti, godendo sotto il corpo di un altro… come osava adesso?
“Per noi?”
Suonò ancora più ridicolo venendo fuori dalle sue stesse labbra, mentre veniva avanti e l'avvolgeva nella sua minacciosa presenza… Nataljia si lasciò coprire d'ombra senza indietreggiare…
“Te ne sei andata senza una parola Nataljia!”
Le urlò in viso, deciso a farle rimangiare quelle assurdità…
“Ma tu hai cercato me...”
Ribatté lei senza scomporsi, alimentando la sua incredulità ed il suo nervosismo…
“Ti sei alleata con i Fantasmi Neri di Heinrich!”
“Perché mi trovassi!”
Anche la voce di lei trovò nuovo corpo… possibile che non volesse proprio capire?
Jet allungò le mani per afferrarla, ma le ritrasse subito al pensiero di ciò che stava per dire…
“Sei stata a letto con Ryce perdio!”
Nataljia non ribatté immediatamente, lasciandolo per quegli attimi nella più intensa agonia…
Scosse il capo fissandolo dritto negli occhi…
“Non mi ha mai toccata…”
Jet indietreggiò di un passo cercando di assorbire quelle parole… l'immagine di Matt spalmato addosso a sua moglie era ancora vivida nella sua testa, così come la sua sporca lingua che ne assaporava la candida pelle… saltò afferrandola per le spalle e sbattendola contro il muro…
“Non mentirmi!”
La sorpresa sparì di fretta, Nataljia poggiò la mano sul suo polso e lentamente spostò la mano di Jet dalla spalla al collo, lì dove poteva sentire il suo cuore battere…
“Sai che non è bugia…”
Le vene di Nataljia gli pulsavano addosso, anche se lui non avrebbe mai voluto ascoltare quel ritmo lento e costante… non voleva crederle… non poteva credere che fosse tutto un piano per portarlo fin lì, per costringerlo ad attraversare l'inferno e tornare al punto di partenza…
Che razza di marito era mai stato?
“Perché?”
Domandò, stavolta a mezza voce, la presa ormai allentata… Nataljia inspirò profondamente, i grandi occhi scuri ancora sgranati, prendendosi il tempo di scegliere con cura le prossime parole… il concetto era fin troppo semplice, l'esito imprevedibile…
“потому что я люблю тебя…”
Suonava sempre meglio nella sua lingua natia, come ogni singola volta che l'aveva detto…
Jet le si pietrificò dinanzi… era del tutto inaspettato ed era troppo… troppo presto, troppo per quel momento già così carico di chiassosi sentimenti, troppo per le sue orecchie ormai così diffidenti…
Si staccò da sua moglie indietreggiando immediatamente, lo sguardo perso nel vuoto, ovunque tranne che su di lei… Nataljia preparò il suo ultimo tentativo…
“Jet ti prego...”
Non aggiunse altro, gli occhi di lui restarono piantati a terra…
Nataljia aveva tutt'altro aspetto, ma era in quel momento proprio come Joe... tutti e due gli chiedevano ascolto, tutti e due volevano attenzione, tutti e due con le loro assurde verità…
Suo fratello e sua moglie, due estranei che non sapeva più come gestire e come accontentare… due pezzi di sé che non sapeva più come amare…
Decise di fare ciò che gli riusciva meglio… sollevò lo sguardo per un breve momento, puntando l'indice al cielo perché il concetto ne fosse amplificato…
“Lasciami in pace Nataljia…”
Non fu una gentile richiesta, ma l'ennesimo ordine che aveva sputato in quella giornata, sperando che almeno uno dei due l'ascoltasse…
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Era di nuovo notte… il giorno si era spinto lento e pesante fino alla sua inevitabile fine, trovandomi ancora una volta persa per le vie affollate di New Orleans… perché fossi ancora lì era un mistero persino per me, quel chiasso non mi era familiare come quello di New York e tutti quegli occhi addosso mi facevano sentire continuamente in allerta… Potevo andarmene quando volevo, tutte le mie poche cose erano chiuse in una borsa e mi aspettavano nella stanza di un hotel… tre stelle stavolta, con le piccole saponette rosa sul bordo della vasca da bagno e la vista sul fiume… dopo l'ultima discussione con Big J ero volata a riprendere i miei averi, decisa a continuare da sola quel percorso… nulla era andato come mi immaginavo, ma aspettavo ancora che da un momento all'altro qualcuno per strada mormorasse di una lotta intestina scoppiata tra i famosi Shimamura o magari della morte del grande Jack, proprio per mano di suo figlio…
Aspettavo quel momento per sparire, trovare Albert e sperare che quanto fatto bastasse…
Varcai la soglia di un locale e camminai dritta fino al bancone… avrei preso una birra e nulla più… non ero entrata in quel posto per ubriacarmi infatti, l'avevo fatto seguendo la musica, la calda ed esuberante voce di un uomo che ora potevo vedere in carne ed ossa, un tizio dalla pelle scura che si dimenava sul palco come una vera star…
Li sentii di nuovo in quel momento, occhi puntati addosso come fulmini… mi voltai di scatto senza trovarmi dietro nulla più che un branco di persone intente a vociare rumorosamente, del tutto disinteressate alla mia presenza… mandai giù ciò che restava nella bottiglia e lasciai pochi dollari sul bancone…
Non mi piaceva quella sensazione, il dubbio costante che dietro di me ci fossero i Ryce o qualche altro Fantasma Nero, che fosse Albert in persona venuto a punirmi, che i russi mi fossero ancora addosso o che magari proprio uno degli Shimamura fosse pronto a spararmi da un momento all'altro... magari proprio Joe... dopotutto gli avevo spezzato il cuore, esattamente dopo aver scoperto che anch’io ne avevo uno…
Era strano… strano, assurdo e fastidioso… il pensiero mi spaventava giusto un po', ma allo stesso tempo era come se nell'intimo sperassi di vederlo accadere davvero…
Dovevo lasciare quella città il più presto possibile…
Salii le scale velocemente e passai la chiave magnetica nella serratura della mia stanza… sebbene avessi fretta mi presi il tempo d'inalare quell'odore di pout-pourri che trovavo magnifico… dolci note di cannella miscelate ad arancia e cedro, col sottile retrogusto di... cos'era quell'odore? Sandalo? Muschio? Dopobarba da uomo? Mi irrigidii nel mezzo della camera… quell'odore non c'era la prima volta…
Senza produrre il minimo rumore indietreggiai di un solo passo ed allungai la mano verso l'interruttore della luce… non avevo armi addosso, avrei potuto contare solo sulle mie forze…
La stanza s'illuminò in un singolo istante, rivelando l'intruso comodamente seduto sulla poltrona accanto al mio letto…
Il cuore mi saltò in gola…
“Come mi hai trovato?”
Lui sollevò solo una mano per rafforzare l'ovvietà della sua risposta…
“Questa è la mia città… ho occhi dappertutto…”
Joe se ne stava lì, apparentemente comodo e rilassato, gli occhi stanchi in contrasto col bianco pulito della sua camicia… nulla nella sua espressione lasciava intravedere le sue intenzioni…
Respirai a pieni polmoni nel tentativo di calmarmi…
“Pensavo non volessi più vedermi…”
Lui staccò la schiena dalla poltrona continuando a fissarmi intensamente…
“Infatti...”
Rispose alzandosi senza fatica…
“...ma poi ho realizzato...”
Lento e sinuoso coprì i pochi passi tra noi, arrivandomi vicino… il suo respiro sapeva di alcool, ma il suo sguardo era lucido e deciso…
“...sei tutto quello che ho adesso…”
Sollevai gli occhi aggrottando leggermente le sopracciglia… il sangue pompava forte nelle vene e lo stomaco formicolava…
Lui sollevò la mano e la posò delicatamente sulla mia guancia in una carezza… il suo palmo era bollente contro la pelle, il pollice ruvido contro la ferita che lui stesso mi aveva inflitto… lo stesso dito scivolò poi più giù, a sfiorare le mie labbra socchiuse…
“Aiutami ad uccidere Jack...”
Parte 14
“Pensavo non volessi più vedermi…”
Lui staccò la schiena dalla poltrona continuando a fissarmi intensamente…
“Infatti...”
Rispose alzandosi senza fatica…
“...ma poi ho realizzato...
… sei tutto quello che ho adesso…”
Joe sollevò la mano e la posò delicatamente sulla mia guancia in una carezza…
“Aiutami ad uccidere Jack…”
Spalancai gli occhi contro i suoi e scostai il viso dal suo tocco bollente…
“Cosa?”
Avevo perfettamente capito le parole, ma non ero affatto sicura che facesse sul serio… poteva essere l'ennesimo trucco, sarebbe stato più che plausibile…
Joe si mosse nella stanza e lontano da me, giocherellando coi pendenti dell'improbabile abat-jour, riprendendo a parlare senza guardarmi…
“Mi hai detto la verità... proprio tu, di tutte le persone al mondo, mi hai detto la verità…”
Gli venne da sorridere…
Rimasi in silenzio limitandomi ad ascoltare quella che sembrava solo una mera introduzione al vero discorso… non attesi molto, Joe riprese fiato e si spostò nuovamente nelle mie vicinanze…
“Ero così arrabbiato qualche ora fa… furioso, sconvolto, disperato...”
Tornò a guardarmi negli occhi, ancora senza avvicinarsi… indicò il nulla con la mano destra…
“...quell'uomo ha ucciso l'unica persona che avessi al mondo e mio fratello... beh, quello che consideravo mio fratello, mi ha praticamente riso in faccia...”
Sbattei le palpebre un paio di volte cercando di reggere il suo sguardo così acceso…
“...sono solo adesso…”
Ammise infine, a metà tra la vergogna e l'orgoglio… i suoi occhi si posarono a terra per qualche istante e si rialzarono di colpo, ancor più ardenti…
“Ora so esattamente cosa hai sentito mentre guardavi i tuoi genitori morire...”
Stavolta fui io a guardare il pavimento, attraversata dal più rapido e tagliente dei flashback… Joe mi obbligò delicatamente a sollevare il mento, poggiando ancora una volta le dita sul mio volto…
“...dopotutto siamo uguali io e te…”
Il respiro iniziava a starmi stretto nei polmoni, mentre mi perdevo nel buio dei suoi occhi… Riuscivo quasi a vedere le immagini e le idee che prendevano forma dietro quelle iridi scure, terrificanti e seducenti, esattamente come il loro padrone… ogni goccia di luce sembrava infrangersi addosso a lui, risucchiando tutta l'aria che avrei voluto respirare in quel momento…
“Questa ragazzina misteriosa...”
Lasciò passare una ciocca dei miei capelli tra le dita, sfiorandomi appena la pelle col dorso della mano… c'era un mezzo sorriso sul suo viso, non uno di gioia o d'umorismo, bensì un sorriso compiaciuto e beffardo, quello di chi pregusta l'atto finale della propria tragedia…
“...che è riuscita ad entrarmi nella testa come niente fosse...”
Lasciò scorrere il dito giù lungo il mio braccio, lasciando una scia di piccoli brividi…
“...che sapeva esattamente cosa volevo...”
Mi accarezzò piano il palmo della mano, guardandomi mentre mi tendevo come una corda di violino…
“...che sembra conoscermi meglio di chiunque altro al mondo...”
Smise di toccarmi mi guardò…
“...dimmi ragazzina… cos'è che voglio adesso?”
Avrebbe potuto suonare come una domanda retorica, ma non lo era affatto…
Mi leccai le labbra e mi persi nelle sue pupille… potevo vedere nulla più che il mio stesso riflesso, ma tanto bastava per avere tutte le risposte…
“Vuoi vendetta...”
Iniziai con la parola più banale…
“...vuoi che Jack muoia...”
Strinsi il mio abito tra le dita…
“...vuoi che sia lento... lungo… e straziante...”
Descrivevo il delitto come avrei descritto il più erotico degli incontri, con la voce bassa ed il respiro profondo, passando le mani sui fianchi nel tentativo di spegnere il calore che mi stava rapidamente crescendo dentro…
“...vuoi che muoia guardandoti negli occhi, sapendo esattamente perché sta morendo...”
“...vuoi essere libero… libero da tutto questo…”
Non aggiunsi altro e stavolta fu lui a leccarsi le labbra, accarezzandomi ancora una volta con gli occhi dall'alto in basso.
“Hai dimenticato una cosa…”
Provocò lui… presi un respiro profondo ed abbassai gli occhi…
“Già...”
Risollevai lo sguardo…
“...vuoi strapparmi i vestiti di dosso…”
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Nel corridoio che portava allo studio di suo padre l'aria sembrava improvvisamente farsi fredda… Jet si passò la mano sulla fronte mentre sudava freddo… era la prima volta che guardava in faccia Jack dopo le rivelazioni di suo fratello e non aveva idea di come avrebbe reagito… non sapeva però cosa lo spaventasse di più, l'eventualità di sentirsi paralizzato e disgustato o la più probabile possibilità di non sentire nulla… quasi certamente era davvero un mostro senza emozioni e varcando quella soglia l'avrebbe presto scoperto…
Jack l'accolse di spalle mentre sistemava un volume sulla mensola più bassa della libreria…
“Era ora che ti facessi vedere figliolo…”
Si voltò nella sua mattiniera serietà, avvolto nella giacca di lino grigia che teneva aperta sul gilet dello stesso colore… dietro di lui il grosso orologio d'ebano batteva ogni secondo come una martellata… nulla sembrava diverso dal solito…
“Sono stato piuttosto impegnato…”
“Già...”
Jack sospirò tamburellando sulla scrivania…
“...pare che tu abbia venduto le mie proprietà europee al caro Smirnov...”
Jet sollevò un sopracciglio…
“Le mie proprietà padre…”
L'anziano sospirò alzandosi dalla poltrona di pelle… sollevò l'indice…
“Partiamo da un presupposto figliolo...”
Aggirò il mobile e gli fu di fronte…
“...tutto quello che tu e i tuoi fratelli pensate di possedere non è affatto vostro… tutto proviene da me…”
Una prima ondata di acidità sembrò riempire la bocca di Jet mentre l'altro continuava…
“Vuoi spiegarmi la ragione di una simile trattativa?”
Jet si sforzò di respirare a fondo, cercando con tutte le proprie forze di non pensare alle parole di Joe...
“Nataljia...”
Rispose ed il vecchio aggrottò le sopracciglia…
“...l'ho riportata a casa…”
Jack tornò serio di colpo, come se quella rivelazione fosse del tutto inaspettata… afferrando i lembi della giacca raggiunse il mobile bar e si versò un dito di buon whisky… poco importava che la lancetta più corta sfiorasse a malapena le nove… mandò giù e si voltò nuovamente verso suo figlio…
“In tutta onestà figliolo, sono deluso...”
Jet spalancò le braccia perdendo la sua disinvoltura per qualche secondo…
“Perché? Non era questo che volevi? Che mi riprendessi ciò che è mio?”
L'altro contemplò l'idea d'un secondo bicchiere, ma poi si limitò a sospirare, sfoderando un improbabile sorriso…
“Spero solo che tu abbia imparato la lezione...”
Passò il dito sul bordo del bicchiere vuoto…
“...tieni tua moglie tranquilla… tienila soddisfatta… tienila fuori dai tuoi affari…”
Moglie… in quel momento pensare a sua madre fu inevitabile…
“Posso farti una domanda padre?”
Jack sembrò spiazzato per un istante, ma annuì comunque…
“Certo… chiedi pure…”
Jet inspirò a fondo…
“Come hai fatto a perdonare la mamma?”
Chiaramente non era la domanda che poteva aspettarsi… lo sguardo di Jack si fece più scuro di colpo, ma lo sdegno si tramutò presto in una maschera seria senza ulteriore espressione…
“L'ho riportata a casa, le ho lasciato tenere il suo piccolo bastardo... ma non ho mai detto di averla perdonata…”
A quelle parole un brivido gelido attraversò Jet dalla punta dei piedi alla cima dei capelli… aveva perfettamente senso, tutto prendeva perfettamente senso…
“Figliolo?”
Jack lo riportò alla realtà con una pacca sulla spalla… Jet si tirò indietro immediatamente, senza controllo sui propri muscoli…
“Ho bisogno che tu stia concentrato Jet...”
A quel punto suo padre tornò a sedersi alla scrivania come nulla fosse…
“...sto aspettando un grosso carico d'armi dalla Serbia e mi aspetto che tu sia lì a gestire le trattative con me… dopotutto sei tu il mio erede…”
Il mio erede… quelle parole lenivano il suo shock come un balsamo malefico, accarezzando la parte più presuntuosa ed egoista della sua psiche… Jet scosse la testa cercando di tornare lucido…
“E saluta tua moglie da parte mia…”
Che fosse sarcastico o meno, Jet prese al volo quel saluto e si avvicinò alla porta… non riusciva a decifrare il suo stesso stato d'animo… l'aria in quella stanza sembrava irrespirabile, eppure continuava a soffiargli addosso senza neanche toccarlo…
“Padre?”
“Sì Jet?”
Rimanendo di spalle sentì i muscoli tendersi…
“Tu hai...”
Qualsiasi cosa volesse dire era sparita, fuggita via più veloce della luce…
“Ho cosa figliolo?”
Tutte quelle domande erano decisamente insolite…
Ucciso nostra madre per caso?
Jet scosse la testa e spinse giù la maniglia…
“Non importa...”
Corse fuori dallo studio ed incappò nella scia di profumo di Jonah...
“Hey fratello!”
Eccolo lì, nella sua più completa e vanesia ingenuità…
“Finalmente facce familiari, iniziavo davvero ad annoiarmi!”
Jet cercò di risvegliare la sua bocca asciutta…
“Hai visto Joe ultimamente?”
L'altro corrugò la fronte davanti a tanta serietà…
“Non negli ultimi due o tre giorni… e non risponde nemmeno alle mie chiamate... suppongo stia ancora smaltendo il suo epico fallimento…”
Jet annuì come se non lo stesse neanche ascoltando…
“Puoi farmi un favore Jonah?”
L'altro scrollò le spalle…
“Certo…”
“Se Joe dovesse venire qui chiamami subito, ok?”
L'altro annusò l'insolita agitazione…
“Qualcosa che dovrei sapere?”
A cosa sarebbe servito coinvolgere anche il piccolo Jonah? Jet scosse il capo e si sforzò di sorridere…
“Niente d'importante…”
Pur non essendo convinto, Jonah sapeva quando era il caso di star fuori dalle lotte di potere tra i suoi fratelli, quasi potesse già vederli scontrare le corna o mordersi al collo solo per il posto da capobranco…
“Ci vediamo fratello…”
Jet sfilò via e Jonah riprese la strada verso il salotto, totalmente ignaro dell'orecchio di Jack attaccato alla porta… solo quando fu certo che i suoi figli se ne fossero andati prese il telefono e digitò la chiamata breve…
“Danny sono io... ho bisogno che sorvegli la casa di mio figlio... Jet, sì... e quella sgualdrina di sua moglie... chiunque vedessi entrare o uscire chiamami immediatamente…”
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Ero lì nuda, coperta di sudore, che fissavo il soffitto… potevo ancora sentire la schiena inarcarsi... le sue mani erano dappertutto... le sue labbra sui miei punti più sensibili... il suo viso tra le gambe... strinsi le lenzuola tra le dita, proprio come avevo stretto i capelli di Joe mentre lui mi assaporava, lento ed instancabile... avevo chiuso gli occhi e serrato le labbra per non urlare, determinata a non perdere il controllo, nemmeno per un secondo…
Trovò di nuovo la mia bocca… il mio corpo sembrava così piccolo sotto il suo peso…
Trattenni il fiato quando lo sentii entrarmi dentro... lentamente... quasi dolcemente persino... così crudele da farmi assaporare ogni istante di quel contatto, costringendomi ad ascoltare il tumulto delle mie emozioni…
Quando aprii finalmente gli occhi lui era lì, immobile dentro di me, le pupille fisse nelle mie…
Spostando il peso su un solo gomito aveva sollevato la mano e mi aveva accarezzato il viso, spostandomi dalla fronte una ciocca di capelli… quel semplice gesto mi aveva provocato un'esplosione nel petto, più forte di qualsiasi orgasmo, sballo o gioia che avessi mai provato in vita mia...
“Aiutami ad ucciderlo…”
“Dici davvero?”
“Non è quello che volevi dall'inizio?”
Me ne rimasi lì seduta sul letto e basta, mentre il calore di lui mi avvolgeva lentamente, cercando di capire che razza di trucco fosse... non era passato molto dall'ultima volta in cui l'avevo visto perdere il controllo, perso e disperato…
Ora sembrava determinato, fermo, di nuovo forte come l'assassino senza pietà che avrebbe dovuto essere…
Sembrava serio…
Sbottonava piano la camicia…
Seducente…
Di nuovo mi fu vicino ed io indietreggiai sulle coperte…
“Mi hai distrutto la vita...”
Iniziai, seguendo il mio inutile tentativo di stare lontana…
“...mi hai fatto quasi impazzire...”
Mi inchiodò alla testiera del letto…
“Eppure ti voglio...”
Si avvicinò alla mia spalla scoperta…
“...ti voglio in continuazione...”
Ora mi dormiva accanto, pancia sotto su quel materasso da quattro soldi, le braccia strette al cuscino ed il viso rilassato di chi non chiude occhio da giorni… respirai a pieni polmoni tracciando la linea dei suoi muscoli e del suo profilo, il suo profilo perfetto…
Non voglio andarmene…
Non voglio fuggire…
Non voglio più fuggire…
Il pensiero mi fece sollevare la schiena in un istante, preoccupandomi solo dopo di averlo potuto svegliare… in lontananza l'orologio del campanile rintoccava le prime ore del mattino… fortunatamente Joe non si mosse…
Poggiai i piedi a terra ed afferrai i miei vestiti sparsi per il pavimento… mi rivestii nel più completo silenzio, senza preoccuparmi di sistemare viso o capelli… avevo assoluto bisogno di uscire da quella stanza prima che lui si svegliasse, la sua nuda presenza tra quelle quattro mura mi impediva di pensare lucidamente…
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Quando finalmente aprii gli occhi, la stanza era quasi completamente inondata di luce, segno che ormai il sole cadeva a picco su New Orleans… stirai gambe e braccia tra le lenzuola, le lunghe ore di sonno avevano dato sollievo al mio cervello, ma i miei muscoli pativano ancora la lunga ed appassionata attività della notte prima… trattenni il ghigno che minacciava di affacciarmisi in viso e constatai l'assenza di Françoise al mio fianco… nulla di più prevedibile… nonostante fosse esattamente ciò che mi aspettavo non mi sentii meno deluso, se non altro nell’intimo, perché a voce alta non l'avrei mai ammesso, né a lei né a nessun altro…
Sospirando tirai su la schiena ed allungai nuovamente le braccia… eccola lì, seduta silenziosamente sulla stessa poltrona dove l’avevo attesa la sera prima… aveva il viso pulito ed i lunghi capelli sciolti sulle spalle… non sembrava felice, ma neanche delusa o arrabbiata… era semplicemente lì che mi fissava, chissà da quanto…
Non seppi cosa dire, girai gli occhi per la stanza e solo allora mi accorsi dei bicchieri di carta poggiati sul piccolo tavolo-scrivania accanto alle buste di carta marrone… ogni singola cosa riportava il marchio dello Sweet Café, una caffetteria non troppo distante dall'hotel…
In quel momento Françoise parlò…
“Il tuo caffè è freddo ormai…”
Disse atona ed io tornai a guardarla, sentendomi un completo idiota…
Grande Joe! Per la prima volta quest'essere umano prova ad aprirsi con te e tu, come un coglione, dormi fino a mezzogiorno…
Provai in qualche modo a sorriderle, ma lei non rispose al gesto… accavallò le gambe e intrecciò le mani sul ginocchio scoperto…
“Allora, qual è il piano?”
Cercai di accendere il cervello al volo, ma ero ancora troppo stordito dal sonno e dalla scena che avevo appena vissuto… sentivo la bocca impastata e non avrei affatto disdegnato una doccia bollente… mi schiarii la voce…
“Posso almeno lavarmi la faccia prima?”
Lei annuì abbassando lo sguardo mentre raccoglievo ed indossavo boxer e jeans…
Gli sfilai davanti e rimasi non più di cinque o dieci minuti chiuso in bagno… tornando nella stanza, ancora a petto nudo, mi bloccai di fronte al tavolo e non mi trattenni dal guardare dentro le buste della caffetteria… dopotutto il mio stomaco brontolava e negli ultimi giorni non avevo visto nulla più che alcool e salatini… trovai un po' di tutto in quei sacchetti, dai croissants ai muffins, dalle omelettes ad un improbabile sandwich che profumava di funghi o salmone affumicato…
Guardai Françoise che fissava ancora il pavimento, ma sentendo i miei occhi addosso fu costretta a ricambiare il mio sguardo sorpreso... scrollò le spalle cercando di non mostrare imbarazzo…
“Non avevo idea di cosa ti piace…”
Addolcii lo sguardo… era la prima cosa gentile che Françoise faceva per me, la prima cosa gentile che qualcuno faceva per me da tanto tempo… forse c'era davvero una speranza per noi due…
“Grazie…”
Risposi convinto, ma a mezza voce… non era una parola che dicevo spesso… allungai la mano nel sacchetto e decisi di iniziare dal dolce al cioccolato…
“Che cosa vuoi fare?”
Mandai giù l'ultimo boccone seguito da un sorso d'acqua, poi mi pulii distrattamente le mani sui jeans e mi sedetti sul letto…
“Non posso andare a casa e sparargli un colpo in fronte…”
“Appunto…”
Sospirai…
“Jet conosce le mie intenzioni… a questo punto immagino che la villa sia già sorvegliata da cima a fondo…”
Lei ricompose le gambe e raddrizzò la schiena…
“Credi che abbia detto a Jack quello che vuoi fare?”
Joe fissò il nulla per pochi istanti poi scosse la testa…
“No… anche se considera Jack una specie di dio, sono sicuro che cercherà di risolvere le cose nel modo più pacifico possibile...”
Françoise prese a mordicchiarsi le labbra…
“E se invece l'avesse fatto?”
Inspirai sollevando le sopracciglia…
“Non resterei vivo più di cinque minuti una volta uscito da qui…”
I nostri occhi si incrociarono ancora una volta… l'entusiasmo era sempre lì, ma realismo, tensione e tristezza cercavano di offuscarlo... era pericoloso unirsi in quel piano ed uscire da quella stanza senza sapere esattamente cosa ci attendeva fuori… era decisamente pericoloso… per quanto bastardo Jack teneva comunque le redini della città ed a quel punto, quando ormai metà delle carte erano già scoperte, sarebbe stato difficile sorprenderlo…
“Che facciamo allora?”
Non abbandonai il suo sguardo mentre verbalizzava l'idea più plausibile…
“Le guardie che Jet avrà piazzato aspettano me… immagino siano pronte a scattare appena mi avvicinerò alla villa, ma di certo non mi spareranno a vista…”
“Che vuoi dire?”
“Che darò a loro e a Jet ciò che esattamente vogliono...”
Lei aggrottò le sopracciglia…
“...uscirò da qui ed andrò dritto a casa…”
Françoise sembrò ancora più confusa…
“Tutto qui? L'hai appena detto anche tu, non puoi semplicemente entrare e sparare…”
Sollevai l'angolo della bocca…
“E qui entri in scena tu...”
Lo sguardo di lei si aguzzò alla prima ondata d'adrenalina…
“...una volta preso me abbasseranno la guardia… tutti pensano che tu sia ormai fuori dal quadro e di certo non s'aspettano di vederci collaborare…”
“Che dovrei fare?”
Mi anticipò lei come una bimba impaziente…
“Ti dirò esattamente come intrufolarti alla villa senza essere notata e una volta dentro dovrai aspettare il momento giusto per muoverti… Jet avrà sicuramente deciso di isolarmi e farmi il lavaggio del cervello, ma prima o poi si stancherà e mi lascerà solo… soltanto allora dovrai raggiungermi e tirarmi fuori...”
Mi fermai per prendere fiato…
“...a quel punto saremo dentro, liberi di agire…”
“Quando vuoi farlo?”
Inspirai a pieni polmoni una volta ancora, portando gli occhi alla finestra che dava sulla via gremita e pulsante… non vedevo l'ora di trovarmi a tu per tu con Jack, solo noi due ed il mio coltello, tuttavia la bocca dello stomaco si stringeva fuori dal mio controllo… forse non sarei mai neanche arrivato alla villa, forse Jet mi aveva davvero tradito nel peggiore dei modi, probabilmente avrei perso la vita o comunque tutta la mia famiglia… sentivo gli occhi di Françoise addosso ed il peso di quello sguardo continuava a piacermi, lontano da tutto e tutti, godendo dei nostri corpi e delle nostre fantasie… quella bolla di sapone era la più accogliente in cui mi fossi mai rifugiato…
“Appena avrò calcolato tutto…”
Lei si passò le mani sulle ginocchia… si bagnò le labbra…
“Pensi di stare qui nel frattempo?”
Sollevai le spalle…
“È il posto più sicuro per me…”
Françoise annuì abbassando gli occhi al pavimento… si sollevò in silenzio e prese la sua borsa sul lato del letto che non stavo occupando… iniziò a ficcarci dentro i pochi stracci sparsi per la camera…
“Che stai facendo?”
Le chiesi genuinamente sorpreso… lei sfilò in bagno ad afferrare spazzola e spazzolino…
Li gettò sgraziatamente nella stessa borsa…
“Se tu starai qui, io mi troverò un altro posto…”
Mi alzai e la guardai muoversi alla rinfusa…
“Puoi anche restare…”
Françoise si bloccò di scatto e mi rivolse la sua espressione più seria…
“Non voglio stare qui con te…”
Ancora una volta mi sentii uno stupido… quella risposta secca non avrebbe dovuto provocarmi alcuna reazione, di certo non farmi male…
“Non ti sei certo lamentata la notte scorsa…”
Ribattei, più sgarbato di quanto avrei voluto… non desideravo certo che lei capisse di avermi ferito…
Françoise trattenne il suo sguardo deciso per qualche secondo in più, poi abbandonò la borsa e raggiunse il piccolo tavolo… mi indicò il caffè ormai gelido ed i sacchetti di carta…
“Questa non sono io...”
Sospirai… il problema era sempre lo stesso… nessuno di noi due voleva sentirsi vulnerabile… nessuno di noi due voleva sentire…
“...a me non importa cosa ti piace o non ti piace...”
Mi fu di fronte, il braccio sinistro teso lungo il fianco e l'altra mano poggiata sullo stomaco…
“...queste cose che sento non significano niente… non sono niente...”
Mi limitai ad annuire lentamente…
“...non starò qui con te…”
Ribadì infine, appena prima di tirare la zip della borsa e cercare il suo giubbotto… non aggiunsi o replicai nulla, diventando una presenza invisibile al centro della stanza…
“Ti chiamerò qui, così saprai dove trovarmi…”
Di nuovo nessuna risposta… Françoise passò velocemente davanti allo specchio e sistemò i capelli sulla spalla, poi aprì il cassetto del comodino e si infilò in tasca il suo contenuto, all'apparenza nulla più che un documento ed un paio di fogli piegati…
Infilò ai piedi un paio di sneakers senza nemmeno slacciarle e sollevò la borsa che non pesava più di qualche chilo…
Aprì la porta senza neanche salutarmi, ma immediatamente la stessa porta le si richiuse davanti spinta dalla mia mano, più grande, in alto e forte della sua…
“Resta qui…”
Erano le parole di una preghiera, ma mi uscirono di bocca come un ordine…
Con il braccio libero le circondai la vita…
“Non voglio nulla più che il tuo corpo...”
Le sussurrai all'orecchio, un secondo prima di far forza e costringerla a voltarsi verso di me…
“...te lo prometto…”
Non era esattamente vero, ma me lo sarei fatto bastare…
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Jet entrò in casa sua come una furia, buttando con forza la giacca sul divano… era così frustrante per lui non sapere cosa fare…
“Dove sei stato?”
Da dietro la voce di Nataljia lo raggiunse come un macigno dritto sulle spalle… si voltò verso di lei…
“Ma non ti stanchi mai?”
Ribatté scocciato con un'altra domanda… lei, ancora appoggiata allo stipite della porta della cucina, sgranò i grandi occhi scuri…
“Perché io, in tutta onestà Nataljia, sono stanco...”
Allentò la cravatta…
“...voglio dormire… voglio farmi una doccia… di sicuro non voglio sentire i tuoi sproloqui…”
Si avviò verso le scale…
“Non so nemmeno perché ti ho riportata qui…”
Quelle parole fecero vacillare la perfetta facciata di sua moglie per un istante… Jet non poté nemmeno vederla tremare, dato che era di spalle, ma ciononostante si fermò dopo pochi gradini… usare quel tono e quello sdegno non era da lui, famoso per la sua calma, la sua lealtà e la sua gentilezza… aver già perso un punto fermo era abbastanza, non serviva dare il via all'ennesima orribile giornata…
Tornò giù, guardando la donna a piedi nudi che gli stava di fronte…
“Ero a parlare con mio padre…”
Si spiegò con poche necessarie parole… di rimando vide Nataljia tendersi come una corda di violino e trattenere a stento una smorfia…
Rise tra sé e sé…
“Anche tu...”
Allargò le braccia guardando al cielo…
“...possibile che abbiate tutti la stessa reazione? Appena nomino mio padre è come se avessi nominato satana!”
Nataljia evitò di usare il suo tono più sprezzante, ma nondimeno rispose…
“Lui è un mostro…”
Suo marito scosse la testa…
“Davvero? E a te cos'ha fatto?”
Stavolta lei abbassò lo sguardo tenendo il labbro tra i denti…
“Come immaginavo…”
Sottolineò Jet davanti al suo silenzio…
“Non dovresti ascoltare lui…”
Riprese Nataljia cercando d'essere il più possibile convincente… lui sollevò un sopracciglio…
“E chi dovrei ascoltare? Te? Non mi hai certo mentito meno di lui…”
Fantastico… il festival dell'ovvietà sembrava pararglisi dinanzi… esattamente come previsto lei strinse i pugni e si fece avanti…
“Ti dirò la verità Jet... stavolta ti dirò la verità…”
Lui scosse la testa…
“Non sai neanche cosa voglia dire quella parola…”
“Jack non vuole il tuo bene… vuole solo controllo... e potere…”
“Ti prego, dimmi qualcosa che non abbia già sentito un milione di volte…”
prese fiato
“Non ho mai voluto uccidere te o tuoi fratelli...”
Sfoderò lo sguardo ammaliante con cui più e più volte l'aveva incantato…
“Volevo uccidere solo tuo padre… così sarebbe stato fuori da mia vita… da nostra vita…”
Quel maledetto accento… come poteva amarlo ed odiarlo allo stesso tempo?
“Non è certo lui il nostro problema…”
“È nostro problema!”
Il tono di Nataljia si sollevò, richiamando la completa attenzione di Jet…
“Hai sempre messo lui in primo posto…”
Non sapeva davvero se sentirsi offeso oppure in colpa, ma al momento il rimorso sembrava poter vincere su tutto il resto…
“Avevo un piano…”
Jet si sedette sul terzo gradino poggiando i gomiti sulle ginocchia…
“Che piano?”
Il tono era esasperato, non sapeva che altra invenzione aspettarsi da Nataljia…
“Sono andata via… sono andata dai Fantasmi Neri perché sono unici che possono competere con voi...”
Le fece cenno di continuare, non avrebbe saputo come ribattere…
“...tu non avresti mai ascoltato mie ragioni, ma loro potevano aiutarmi a togliere tuo padre da nostra strada... per avere nostra vita…”
Lui scosse di nuovo la testa…
“Non capisco… credi davvero che uccidere mio padre sarebbe stata una specie di dimostrazione d'amore?”
Nataljia era visibilmente nervosa, tremava tutta senza nemmeno accorgersene…
“Con padre che tu hai? E' cosa migliore che posso fare per te…”
Stavolta gli venne sul serio da ridere… cosa poteva mai saperne Nataljia di suo padre? Era arrivata dritta dalla Russia pochi anni prima e si erano scambiati a malapena dieci parole in tutto…
“Non capisci?”
Riprese lei sbattendo i piedi sul pavimento…
“Senza di lui avresti più potere di tutti tuoi fratelli… saresti re di tutto questo!...”
Anche lei spalancò le braccia…
“...ma senza un capo che dice tutto quello che devi fare… senza paura... senza vergogna di amare tua moglie…”
La sua voce si abbassò di colpo, lasciando Jet nel silenzio a guardarla… non si era mai vergognato di amarla anzi, era forse stata la più bella scoperta della sua vita… ne era terrorizzato, questo è vero, ma aveva cercato poco per volta di sgretolare i propri muri… è anche vero che non lo avrebbe mai urlato ai quattro venti e forse mai nemmeno ammesso davanti a Jack o ai suoi fratelli, ma nondimeno l'amava…
Nataljia, dal canto suo, continuava a pensare a tutte le volte che era rimasta sola tra quelle mura, tutte le volte in cui Jack aveva chiamato e Jet era corso via come un cagnolino al richiamo del suo padrone… amava la lealtà di suo marito, ma avrebbe tanto voluto che quella stessa lealtà fosse stata rivolta a lei e non solamente a quel mostro che lui chiamava padre…
“Non mi sono mai vergognato di te…”
Precisò davanti alla rabbia, mista a tristezza, che le tingeva il viso… Nataljia tenne i pugni stretti benché improvvisamente sentisse la voglia di piangere…
“Mi hai nascosta qui, come se fosse mia prigione… sempre sola… sempre zitta…”
Quelle parole gli trafissero il petto… non solo era una persona ignobile senza sentimenti, non solo era uno schifo di fratello, era anche il peggiore dei mariti… ormai oltre i suoi trent’anni, non c'era una sola cosa che avesse fatto bene nella sua vita, nemmeno quella che aveva amato di più…
“Mi dispiace…”
Riuscì a dire tra le labbra… avrebbe avuto voglia di raggiungerla e magari toccarla, ma tutto ciò che fece fu afferrare la giacca ed uscire di nuovo, ripetendo lo stesso schema malato che Nataljia gli aveva appena rinfacciato.
Lei sospirò sentendo la porta sbattere… avrebbe voluto spaccare a pugni ogni cosa che aveva attorno, ma doveva contenersi se sperava prima o poi di recuperare un po' della fiducia persa…
Quando bussarono alla porta pensò immediatamente che Jet fosse tornato sui suoi passi e corse ad aprire…
Divenne bianca come un lenzuolo alla vista di suo suocero, serio come una lapide sull'uscio della sua casa…
Non si sprecò a chiedere il permesso di entrare…
“Dovrei dire bentornata, ma sai già che non sarà un felice ritorno…”
Nataljia chiuse la porta… aveva imparato qualche trucco o due negli ultimi anni, stavolta poteva difendersi…
“Che cosa vuoi?”
Lo sfidò… per quanto ne sapeva avrebbe tranquillamente potuto avere una pistola in tasca con un colpo in canna destinato a lei, ma la ragione le urlava che non avrebbe mai ucciso la moglie del suo figlio preferito nel loro soggiorno…
Lui divenne una maschera di ghiaccio…
“Non sei nella posizione di fare domande Smirnova...”
Le si avvicinò minaccioso…
“Non saresti dovuta tornare…”
Lei sollevò il mento, determinata a mostrare che stavolta non l'avrebbe intimidita…
“Jet ha pagato per me… cosa avrei dovuto dire? No? Avrei dovuto spiegare lui perché?”
Jack sembrò sputar fumo dalle orecchie di fronte a tanta audacia… sentì le mani formicolare al chiaro desiderio di farle del male…
“Se gli hai raccontato qualcosa ti strangolo con le mie stesse mani…”
Nataljia deglutì… avrebbe potuto farlo, fregandosene di Jet o addirittura inscenando una nuova fuga… si sforzò di respirare…
“Pensi che parlerebbe ancora con te se sapesse verità?”
L'altro aguzzò lo sguardo…
“Bene…”
Come fosse il padrone di casa raggiunse la bottiglia di vino aperta sul bancone dalla sera prima e se ne versò un abbondante bicchiere… lo mandò giù tutto d'un fiato…
“Io ho rispettato la mia parte dell'accordo… tu perché sei di nuovo qui?”
Nataljia digrignò i denti e strinse i pugni…
“Noi non abbiamo accordo! Tu hai obbligato me ad andare via!”
Lui quasi sorrise, ancor più agghiacciante della sua più seria espressione…
“Questione di semantica cara Nataljia... questione di semantica…”
Le girò attorno come un predatore… nonostante l'aspetto un po' attempato era ancora perfettamente in grado di mettere in soggezione le sue vittime da solo, senza l'aiuto di schiavi e scagnozzi… le si parò di fronte e le toccò i capelli sciolti sulle spalle… Nataljia si ritrasse sforzandosi di trattenere l'ampio disgusto… lui sorrise…
“Mi aspetto che tu sparisca… stavolta per sempre…”
Lei indietreggiò appena un po'…
“E se non volessi?”
Jack tuonò in una fragorosa risata che immediatamente morì tra le sue labbra coperte di barba…
“Dimmi Nataljia, tu vuoi morire?”
La russa respirò a pieni polmoni cercando di ridarsi un tono, nella mente ripassò rapidamente ciò che Matt Ryce e gli altri Fantasmi Neri le avevano insegnato… drizzò la schiena come una gatta e sfoderò il suo sguardo migliore…
“E tu vuoi che dica a Jet cosa hai fatto due anni fa?”
Jack sembrò pietrificarsi… lei continuò…
“Anche se uccidi me adesso, Jet saprà che sei stato tu… lui odierà te… tutti tuoi figli odieranno te…”
Con uno scatto altrettanto felino Jack le chiuse la mano destra attorno al collo e la spinse al muro…
“Non è una guerra che puoi vincere sgualdrina russa…”
Le sussurrò all'orecchio facendola contorcere di disgusto e ribrezzo, cercando con la mano libera dei punti del suo corpo che mai e poi mai Nataljia avrebbe voluto sentir toccati dal padre bastardo di suo marito… si fece di pietra e non si mosse, se l'avesse provocato ancora un po' avrebbe quasi certamente dovuto poi spiegare i suoi lividi a Jet, non si sa con quali parole…
“Sparisci da qui…”
Concluse lui mollandola con un'ultima spinta sgraziata… con un colpo secco della porta fu finalmente fuori di lì…
Parte 15
Quando aveva detto di volere nulla più che il mio corpo, nel momento in cui avevo tacitamente accettato quell'accordo, di certo avevo sottovalutato le capacità dell'uomo che mi aveva fatto quella proposta... le gambe mi facevano male, gli addominali tiravano e sotto le dita riuscivo a sentire i due lividi all'altezza del bacino che sembravano non voler più guarire… sei giorni, sei interi giorni in cui non avevamo fatto altro che provare ad evitarci per poi accoppiarci come animali sulla prima superficie utile…
Succedeva così, a volte dal nulla, a volte in risposta a qualcuno dei miei acidi commenti, altre volte alla fine dell'ennesima lite sul da farsi… qualsiasi cosa significasse, di certo ci aiutava a non legare troppo, costretti come eravamo sotto lo stesso tetto… consumavamo i pasti in silenzio, condividendo poi lo stesso letto ogni notte, lui dal proprio lato ed io che gli davo le spalle, stringendo me stessa negli ultimi venti centimetri di materasso… potevo sentire gli occhi di Joe che mi accarezzavano le spalle per poi tornare a fissare il soffitto, aveva qualcosa da dire, ma continuava a trattenersi, consapevole del fatto che io non avrei voluto ascoltare…
Ci avevo provato… avevo provato ad accettare la sua presenza tra quelle quattro mura, fingendo che non fosse nulla di diverso dall'avere tra i piedi Matt o Big J, ma la realtà mi aveva presto smentita… tre sere prima avevo diviso con lui un sacchetto di patatine davanti alla tv… il silenzio era esattamente lo stesso… mi ero voltata distrattamente verso di lui ed ero rimasta a guardarlo mentre si leccava il sale dalle dita… Joe aveva intercettato il mio sguardo curioso e per una volta, senza lussuria e senza malizia, mi aveva sorriso… il mio minuscolo cuore aveva sobbalzato, mettendosi a battere forte… da quel momento le condivisioni si erano interrotte ed i miei occhi raramente lasciavano il pavimento… l’unico argomento consentito era il piano per uccidere Jack…
Il sesso era tutta un'altra storia… senza vestiti ogni parola era concessa, soprattutto qualsiasi cattiveria potesse venire fuori dalle labbra di Joe e portarmi all'orgasmo ancor più velocemente… era arrabbiato con me, così profondamente arrabbiato da farmi scontare le mie colpe ogni volta che poteva… contro il muro, sul pavimento, su quella pidocchiosa poltrona…
Ed eccolo lì, entrare dalla porta interrompendo i miei pensieri prima che scavassero troppo a fondo… era uscito nel cuore di quella notte fredda, indossando nulla più che dei jeans ed una t-shirt grigia, per incontrare il suo uomo, una delle guardie di suo padre disposta a rischiare la pelle per consegnargli le mappe dei sotterranei della villa…
Stese la mappa sul letto dopo aver preso a calci l'ennesimo cartone della pizza che gli intralciava il cammino…
“Vieni qui…”
Mi ordinò piuttosto atono, aspettando che mi alzassi dal mio angolino sul pavimento e lo raggiungessi… obbedii al comando senza proteste, portandomi al suo fianco a piedi nudi, scrutando le linee confuse che spiccavano sulla carta giallastra… Joe si chinò abbastanza da raggiungere un punto preciso del disegno col polpastrello dell'indice…
“Entrerai da qui...”
Il suo dito prese a scorrere sulla carta…
“...destra… sinistra… dritta fino al secondo snodo… destra di nuovo e sali la scala fino alla botola…”
Ripercorsi la traccia immaginaria lasciata dalla sua mano…
“Destra… sinistra… dritto fino al secondo… destra…”
Ripetei a mezza voce ancora una volta benché quelle istruzioni fossero già incise a fuoco nella mia mente… lui continuò invece ad esplorare la cartina… rimanemmo a fissare il foglio ancora per un minuto, poi mi allontanai per prima…
“Sei sicura di avere tutto chiaro?”
Chiese Joe dandomi le spalle…
“È il mio lavoro… sono capace di farlo…”
“Fermati…”
Bloccai i passi sulla soglia del bagno, attendendo la sua calda presenza alle spalle… Malgrado i miei muscoli chiedessero già pietà, non avrei disdegnato un altro round… ero tesa, nervosa, persino spaventata al pensiero dell'ultima missione che di lì a poco avrei affrontato… mi serviva una distrazione efficace…
Il braccio di Joe mi cinse la vita e strinse… forte… l'altra mano mi afferrò i capelli e tirò… la barba incolta mi solleticava l'orecchio e la curva del collo appena scoperti…
“Non c'è bisogno di fare la stronza...”
Depose un primo bacio umido sulla mia pelle…
“...o l'insolente…”
Il suo tono era suadente, ma autoritario, il suo tocco leggero, ma possessivo…
Allentò la presa appena un po' per sollevare l'orlo della mia maglietta e sentire la sua pelle contro la mia… avevo davanti il lavandino del bagno…
Strinse di nuovo la presa, mordendo la carne della mia spalla, cercando la zip dei miei jeans con la mano libera… li lasciai sfilare lungo i fianchi, calciandoli via non appena sul pavimento… solo allora lui mi spinse dentro la piccola stanza dalle piastrelle color pervinca e contro il bordo della fredda ceramica… immediatamente poggiai i palmi su quello stesso gelido materiale, aspettando trepidante che lui facesse tutto il resto… Joe mi sollevò velocemente la t-shirt sulle spalle e senza troppa grazia la sfilò dalla testa… cercai subito di voltarmi verso di lui, ma Joe mi spinse di nuovo verso il lavandino, il mio tentativo di protesta presto soffocato dalla sua mano sulle mie labbra…
“Nessuna chiacchiera… guarda e basta…”
Ordinò con un cenno del viso rivolto allo specchio che avevamo davanti… incontrai i suoi occhi riflessi sul vetro e rimasi immobile mentre lo guardavo sbottonare i pantaloni, scuro e freddo come al solito… mi guardava ancora con lo stesso disperato desiderio, ma malcelava la rabbia e l'odio che gli si mescolavano dentro… avrebbe probabilmente provato lo stesso identico piacere nello sbattermi la testa al muro…
Sentii il tessuto leggero della biancheria accarezzarmi le gambe e mi tesi come una corda di violino… abbassai le palpebre appena un attimo, ma immediatamente sentii le sue dita sotto il mento…
“Ti ho detto di guardare…”
Quel tono glaciale mi faceva tremare le ginocchia e contrarre le viscere, ma non era certo eccitante quanto quella scintilla, quell'impeto di passione e speranza che aveva spinto il Mamba a lottare per me e che adesso sembrava sparito… per colpa mia…
Mi afferrò la vita con le mani ancora una volta, stringendo con fermezza mentre entrava in me con una sola spinta decisa… strizzai gli occhi per un istante, non riuscendo a trattenere una smorfia di dolore…
Spinse ancor più forte conficcando le dita nella mia carne fino a togliermi il respiro, spingendo come un forsennato e da un angolo innaturale che probabilmente sapeva mi avrebbe fatto nient'altro che male… tentai di sollevarmi , ma la sua forza mi teneva giù, con gli occhi piantati contro lo specchio… Joe non mi stava più guardando però, fissava il vuoto perso in chissà quali pensieri, gli occhi anneriti dalla rabbia e la mascella serrata… le sue mani mi stavano ferendo deliberatamente ed il dolore che sentivo dentro aveva ormai cancellato ogni ombra di passione…
“Ba.. Basta…”
Balbettai… il mio respiro appannò il vetro, ma la mia voce non coprì il rumore dei nostri corpi che sbattevano con violenza… ancora una volta cercai invano di sollevarmi dalla sua morsa e lanciai indietro il braccio destro cercando di colpirlo e riportarlo alla realtà… un pugno… due pugni… un colpo ancora contro il braccio, più forte che potevo...
“Fermati.. ti prego basta!”
Lui si paralizzò all'istante, finalmente immobile... io non mi mossi… tenevo di nuovo la testa giù, non abbastanza bassa da nascondere quella sola singola lacrima che pendeva dai miei occhi, pronta a cadere e sparire tra altre mille gocce d'acqua, come non fosse mai stata lì…
Joe balbettò…
“Mi... mi dispiace…”
Fu un suono appena udibile… non abbastanza da farmi smuovere… provò a toccarmi, ma le mie gambe tremavano e non accennavo a voler dire qualcosa…
Dopo qualche istante mi mossi, sollevandomi lentamente, avendo ben cura che i nostri occhi non si incrociassero più in quel maledetto specchio… mi voltai sentendomi più nuda di quanto già non fossi, incapace di guardarlo in faccia e chiedergli di sparire il più veloce possibile dalla mia vista… se avessi aperto bocca, fosse stato anche solo per una sillaba, tonnellate di lacrime e singhiozzi si sarebbero riversati senza sosta… me lo sentivo dentro quel fiume in piena, pronto a trascinarmi via…
“Mi dispiace…”
Ripeté lui, ancora esitante, pronto a sollevare piano una mano alla ricerca del mio viso… scossi subito la testa e lui si ritirò, ma io non lo stavo scacciando per paura e nemmeno per il dolore fisico, a quello ero abituata… ciò che mi teneva incollata a quelle mattonelle era il timore di spezzarmi tra le sue mani, l'immensa sorpresa ed il terrore di desiderare un po' di umano conforto, il desiderio di essere abbracciata…
Come quasi potesse leggermi nella mente Joe fece un altro tentativo, allungando le dita e sfiorandomi appena la guancia… chiusi gli occhi, ma stavolta non mi mossi, lasciando che pian piano mi spostasse una ciocca di biondi capelli arruffati dietro l'orecchio…
“Scusami…”
Sussurrò e fuori dalle sue labbra fu una parola così strana e preziosa che quell'onda mi travolse ancora, affacciandosi ai miei occhi ancora più prepotentemente... senza chiedermi più permessi mi sollevò di peso tra le braccia e mi portò in stanza, adagiandomi sulle lenzuola sgualcite con quanta più delicatezza possibile… tirò su le coperte fino alle mie spalle e solo allora fu immediatamente chiaro che trattenevo un singhiozzo di pianto con tutte le mie forze, le labbra serrate e le iridi che lo fissavano in cerca di qualcosa, pur non avendo idea di cosa…
Delicatamente salì sul letto e si sdraiò accanto a me, sopra le coperte ma abbastanza vicino da poter poggiare la testa sul mio stesso cuscino… posò le labbra sulla mia testa, allungò il braccio e mi cinse la vita nel più inesperto e tremolante abbraccio di sempre… lo spasmo delle mie spalle lo fece quasi ritrarre, ma non gli ci volle molto più di una manciata di secondi per realizzare che non lo stavo scacciando… stavo piangendo…
Il suono delle mie lacrime riempì la stanza sovrastando ogni altro rumore, singhiozzavo e tremavo come una foglia, totalmente spogliata di ogni superbia ed ogni armatura, immensamente piccola e fragile nel suo grande abbraccio…
Era qualcosa di completamente nuovo per me, disperata e terrorizzata, del tutto ignara di cosa avrei dovuto dire o fare…
Avevo ormai le guance infiammate ed il respiro corto, ma non riuscivo a fermarmi, neanche provando con tutte le mie forze… improvvisamente la realtà mi era crollata addosso da tutti i punti, colpendomi con i macigni del dolore e gli schiaffi sonanti della paura… ero sola ed impaurita come quella sera nella toilette de La Salle de Paris, troppo piccola e debole per affrontare i mostri che mi circondavano… mi mancava mia madre e mi dolevano tutti i lividi e le cicatrici dei colpi presi… mi mancava il suo letto ed il profumo dei panni puliti… non ne avrei più avuti, non avrei più avuto nulla eccetto quel vuoto dentro, quell'enorme voragine che inghiottiva tutto ciò che toccavo, che minacciava di mandarmi giù tutta intera…
Riuscivo perfettamente a sentire il corpo di Joe accanto al mio e quel calore mi faceva sprofondare ancora più in fretta nell'oblio… non volevo e non potevo aver bisogno di lui… se l'avessi lasciato entrare, quel pesto buio avrebbe presto schiacciato anche lui, lasciandomi senza cuore e senza più nemici da combattere…
Jack…
Un altro sussulto mi attraversò da capo a piedi… il terrore… e se non fossi stata abbastanza forte? E se non fossi stata abbastanza brava? Non era la morte a spaventarmi, ma l'idea che forse nulla sarebbe cambiato, quel dubbio strisciante con cui avevo sempre convissuto, ma che solo ora urlava libero nella mia testa… Joe aveva ragione… i miei genitori non sarebbero più tornati… nessuno mi avrebbe più abbracciata…
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Jet spalancò gli occhi di colpo… gli ci vollero un paio di secondi almeno per mettere a fuoco la stanza e capire che si trovava nel suo studio, con la faccia spalmata sulla scrivania ed il braccio destro addormentato… si tirò su lentamente, allungando la schiena affinché quelle fitte dolorose sparissero il prima possibile… non ricordava come e quando si fosse addormentato, l'ultima reminiscenza un sms da uno dei suoi collaboratori che confermava di non aver visto Joe avvicinarsi alla villa… prese immediatamente il telefono in mano e controllò che non ci fossero nuovi messaggi… nulla… suo fratello sembrava sparito nel nulla… l’aveva cercato dappertutto in quei giorni, in tutti i posti che era solito frequentare, ma niente, nessuno sembrava averlo più visto o sentito… l'idea che si fosse lasciato la vendetta alle spalle non lo sfiorava nemmeno da lontano, temeva piuttosto che stesse preparando un colpo in grande stile e che alla fine della festa sarebbe riuscito solo a farsi ammazzare…
Si passò una mano sulla faccia cercando di scrollarsi definitivamente il sonno di dosso... era così frustrato che non riusciva più a mangiare né a riposare decentemente, le sue camicie erano ormai sempre stropicciate e non si rasava da almeno tre giorni…
Era anche stato alla tomba di sua madre con un mazzo di rose gialle… aveva fissato la lapide per quasi mezz'ora sperando che il riverbero del sole sul marmo bianco gli illuminasse la mente… niente… continuava a sentirsi vuoto ed inerme come al solito…
Si trascinò fino alla doccia e per mezz'ora almeno lasciò che lo scroscio dell'acqua gli riempisse la mente…dov'era Joe? Che cosa stava tramando? Sarebbe mai riuscito a fermarlo? E cosa avrebbe fatto Jack se lui non fosse arrivato in tempo? Gli si torse lo stomaco… quella domanda aveva già una riposta… lo avrebbe ucciso senza pensarci due volte e lui avrebbe perso suo fratello… la famiglia viene prima di tutto e Jet continuava a chiedersi incessantemente se avesse dovuto seguire solo il sangue o ascoltare il film nella sua testa che continuava a riproporre tutti i ricordi della sua infanzia… Joe era sempre lì con lui… Jack no…
Scese le scale e fu avvolto dall'odore forte di qualcosa di caldo e saporito… fu come entrare nella sua cucina in una domenica mattina nel periodo di Natale, aspettandosi pile di piatti sporchi nel lavandino ed i piatti del servizio buono sulla tovaglia di lino bianco… Nataljia gli dava le spalle, tutta indaffarata sul piano di lavoro… i lunghi capelli scuri raccolti in uno chignon spettinato ed il corpo avvolto in un grembiule verde che lasciava appena intravedere l'abito chiaro che indossava sotto… gli si strinse il cuore, sicuro per un attimo di essersi di nuovo addormentato sotto la doccia…
Si schiarì la voce e Nataljia si voltò immediatamente, sobbalzando sul posto e quasi rovesciando la ciotola che teneva tra le mani… prese un lungo respiro e tentò di sorridere, ma quello stesso sorriso le morì subito tra le labbra… tornò a dargli le spalle…
“Il pranzo è quasi pronto…”
Esordì, fingendo di essere più interessata allo sportello del forno che a lui… la bocca di Jet salivava già per la fame, ma era nuovamente incerto sul da farsi… non era la prima volta che Nataljia tentava l'approccio «come se nulla fosse mai successo», solo che lui non era ancora pronto a lasciar andare l'ascia di guerra…
“Non dovevi…”
Le rispose rimanendo immobile e continuando a fissare la sua schiena… lei sembrò scuotere il capo come per ricomporsi e finalmente si voltò di nuovo…
“Mangia... per favore…”
Senza aggiungere altro Jet prese posto a tavola e rimase in attesa della sua prossima mossa… c'era qualcosa di diverso in Nataljia, qualcosa che ancora non riusciva ad identificare, ma che certamente gli dava un pensiero in più… aveva smesso con gli attacchi diretti, senza più urlare o pararglisi di fronte come una furia… aveva lasciato che si rifugiasse ogni notte nel suo studio senza proferire parola, senza più piangere le sue lacrime di coccodrillo… ciononostante pareva più tesa di prima, sfilava per casa dritta e guardinga come un'aquila, cercando di tenersi impegnata in faccende casalinghe che mai prima l'avevano interessata…
Un piatto traboccante di arrosto e patate gli comparve sotto gli occhi… l'odore intenso della carne e del rosmarino gli riempì le narici… quando aveva imparato a cucinare? Rimase immobile ancora un po' aspettando che anche lei prendesse posto a tavola, tuttavia Nataljia non si mosse dalla sua nuova posizione davanti al lavandino… sentiva i piatti sporchi scontrarsi violentemente l'uno contro l'altro, ma all'apparenza tutto continuava a sembrava inverosimilmente calmo…
Si ficcò in bocca un primo boccone e rimase immediatamente colpito dal sapore ricco che andava risvegliando le sue papille gustative… quella donna era davvero un mistero, bella ai suoi occhi come nessun'altra, così tanto che a stento riusciva ancora a trattenersi…
Si alzò piano dopo l'ultimo boccone ed un sorso di vino bianco, stringendo il suo piatto sporco tra le dita… la raggiunse alle spalle e la vide immediatamente irrigidirsi… Nataljia bloccò ogni movimento lasciando che l'acqua continuasse a scorrere da sola, in attesa nulla più che dell'ennesima ammonizione da parte di suo marito… avvertì il suo calore alle spalle ed inaspettatamente sentì la mano di Jet posarsi sul suo fianco sinistro con delicatezza, sfiorandola appena mentre l'altra si allungava a poggiare il piatto ormai vuoto nel lavandino…
“Grazie…”
Lo sentì pronunciare in tutta la sua imperturbabile grazia, il suono attutito alle sue orecchie come se provenisse da metri di distanza… quelle stesse dita le indugiarono addosso abbastanza da farle chiudere gli occhi per un istante e dimenticare tutto ciò che avevano attorno…
Jet aveva pianificato quell'azione nella sua mente, un semplice gesto gentile per ricambiare la cortesia di quel pranzo… non aveva però calcolato quanto sarebbe stato difficile staccarsi da lei, così piccola contro la sua mole e così profumata… sapeva bene di doversi allontanare il prima possibile, ma non riusciva a muovere mezzo passo… quando finalmente pensò di farcela, sentì di colpo la mano bagnata di Nataljia sulla sua che supplicava di non lasciarla andare proprio adesso… invece di indietreggiare come avrebbe dovuto fare, rimase attaccato a lei ancora un po', sfiorandole il capo col viso e respirando la sua dolce essenza… solo allora gli sembrò di riuscire finalmente a sentire qualcosa, solo ora che stringeva tra le mani la stessa donna che gli aveva spezzato il cuore…
“Nataljia...”
Sussurrò il suo nome in una debole richiesta… voleva che lo lasciasse andare, ma allo stesso tempo voleva stringerla ancora più forte e trascinarla fino alla loro camera da letto, quello stesso letto che da troppo tempo non vedeva l'intreccio di due corpi caldi… le mani fremevano contro la stoffa ruvida del suo grembiule e quasi cedettero a quel languido pensiero, giusto un attimo prima che si sentisse battere forte contro la porta d'ingresso della loro casa…
Jet si staccò immediatamente da quel mezzo abbraccio gettando gli occhi all'orologio… chi poteva essere? Nataljia invece non si mosse nemmeno, quella era la loro sfortuna, un destino beffardo che trovava sempre il modo di separarli… riprese ad occuparsi dei piatti sporchi esattamente da dove aveva lasciato…
Jet lisciò la camicia ed andò ad aprire la porta… un ragazzo dai capelli biondicci, nuova recluta di suo padre, sorrise porgendogli un cesto avvolto nel cellophane trasparente…
“Da parte di suo padre signore…”
Osservò scetticamente quell'offerta, ma non di meno la prelevò dalle mani del ragazzo…
“Grazie...”
L'altro rispose con un nuovo sorriso ed un saluto militare mentre la grande porta gli si chiudeva in faccia… Jet ripose immediatamente il cesto sul tavolo e ne osservò il contenuto… vino rosso, cioccolatini al caramello e sigari pregiati… passò allora ad esaminare il biglietto che portava sopra la caratteristica ed irripetibile firma di suo padre… all'interno stava un cartoncino bordato d'oro che portava le sue iniziali ed un messaggio nella sua calligrafia… erano invitati ad una cena alla villa il prossimo sabato… Jet rivoltò il biglietto tra le dita un paio di volte, strano che suo padre continuasse a mandare omaggi ed inviti a casa anche se si vedevano o sentivano praticamente tutti i giorni… è vero che la sua mente era stata particolarmente altrove negli ultimi tempi, tuttavia non aveva lasciato trapelare alcun sospetto alla presenza di Jack...
Solo allora Nataljia emerse dalla cucina senza più il grembiule addosso, avvolta solamente nel suo morbido abito color avorio… le sue iridi si posarono immediatamente sul cesto e senza che proferisse parola Jet chiarì i suoi dubbi…
“Un altro omaggio da parte di mio padre…”
Nataljia respirò a fondo per non sgranare gli occhi di fronte a lui… quelli non erano gentili omaggi, bensì silenti minacce nei suoi confronti…
“Siamo invitati alla villa questo sabato…”
Stavolta sentì le ginocchia minacciarla di interrompere il loro sostegno…
“Io non verrò…”
Sentenziò… nulla di più scontato per le orecchie di suo marito, anche se Jet non riusciva ancora a capire da dove venisse tutto quel disprezzo… i regali di Jack restavano a marcire sul pavimento o finivano dritti nella pattumiera, senza che Nataljia avesse mai assaggiato un singolo biscotto o annusato uno solo di quei fiori… lei sfilò su per le scale lasciandolo solo ancora una volta, del tutto privo della voglia di controbattere…
Nataljia si chiuse dietro la porta del bagno girando immediatamente la chiave nella toppa… le mancava il fiato… Jack era dappertutto e da ogni angolo si sentiva i suoi occhi addosso… anche se teneva tutte le porte e le finestre chiuse sapeva che lui la stava osservando e che presto o tardi avrebbe fatto la sua mossa… aveva solo tre opzioni per risolvere quel problema: chiedere aiuto a suo padre, raccontare la verità a Jet o fuggire di nuovo, stavolta più lontano e per sempre…
L'idea di contattare Alexeji l'aveva sfiorata più di una volta, ma non avrebbe portato a nulla più che ad una nuova guerra… era abbastanza grande da risolvere i suoi problemi da sola, era una regina dopo tutto…
Jet… se gli avesse raccontato di quell'ultima notte più di due anni prima, se gli avesse raccontato di come Jack l'aveva convinta a sparire, allora la terra gli sarebbe crollata sotto i piedi… voleva liberarsi di suo suocero in ogni modo, ma non voleva che fosse proprio Jet a pagarne le conseguenze, senza contare che probabilmente avrebbe di nuovo perso quell'ombra di fiducia che con tanta tenacia e tanta pazienza sembrava essersi riconquistata…
Restava l'opzione numero tre… la fuga senza più ritorno… ci aveva già provato, ma i suoi stessi piedi l'avevano riportata al punto di partenza… aveva pensato a suo marito ogni singolo giorno, sentito la mancanza del suo abbraccio forte ogni singola notte… non avrebbe sopportato quella tortura di nuovo, non sapendo che stavolta sarebbe durata per sempre… inspirò a fondo… non poteva permettergli di metterla al tappeto ancora una volta, doveva trovare il modo di reagire… ed in fondo forse un modo c'era, una quarta opzione che non aveva ancora realisticamente vagliato… poteva ucciderlo, poteva farlo fuori con le sue stesse mani senza bisogno dei Fantasmi Neri o di chiunque altro…
Jet l'avrebbe odiata… Jet non l'avrebbe mai compreso, nemmeno sapendo la verità…
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Era già più che mattina inoltrata quando sentii quei fastidiosi raggi di sole tentare di ferirmi gli occhi… ancor prima di aprirli il ricordo della notte precedente mi piombò addosso con tutta la sua pesante mole e solo allora mi accorsi di essere esattamente nella stessa posizione… sotto il braccio potevo ancora sentire il corpo di Françoise che respirava piano nel silenzio della nostra stanza… mossi appena le dita ed avvertii distintamente di non essere più a contatto con la coperta, ma di avere addosso nulla più che la sua pelle… nel sonno doveva essersi scoperta…
Valutai l'idea di fingermi addormentato ancora per un po', godendo nel mio intimo di quella vicinanza… non avevo mai visto nessuno piangere così, nemmeno i tizi che avevo massacrato senza pietà, nemmeno mia madre nei suoi momenti peggiori… adesso la ragazzina dell'aereo dormiva beata tra le mie braccia e nessun rumore al mondo sembrava più piacevole di quei respiri lenti e cadenzati… che cosa mi aveva fatto? Dove era finito il famoso Mamba che tutti temevano e rispettavano? Dovunque fosse in quel momento, non ne sentivo la mancanza…
Non resistetti all'urgenza di aprire gli occhi ed apprezzare lo spettacolo dei suoi capelli sparsi sul cuscino… brillavano nel sole ed incorniciavano a meraviglia il pallido profilo del suo viso sprofondato nella stoffa… il silenzio le donava più di ogni abito avesse mai indossato, vestendola di una luce del tutto sua, la stessa abbagliante luce che aveva risvegliato il mio cuore sopito... se solo fosse rimasta sempre così, ferma e zitta tra le mie braccia… quella lingua pungente era probabilmente in grado di uccidere più uomini di tutte le mie armi messe insieme…
Controvoglia mi mossi piano per risvegliare qualcuno dei miei muscoli… avevo dormito un'altra volta vestito e adesso ne avrei pagato le conseguenze per tutto il giorno… solo che oggi non era un giorno come un altro, oggi era il giorno alla cui fine il piano avrebbe preso il via… Jack sarebbe morto entro la prossima mezzanotte o giù di lì… a quel pensiero una nuova ondata d'adrenalina e piacere mi attraversò da capo a piedi e di nuovo guardai verso Françoise... il suo corpo era ancora nudo sotto le lenzuola e si lasciava intravedere abbastanza da suggerirmi un piacevole modo per farmi perdonare dopo l'ultima volta… i miei occhi accarezzarono adagio la curva della spalla seguendola lungo il braccio fino al gomito piegato, lì dove i nostri arti si sfioravano… contrastai il bisogno di toccarla per non svegliarla ed interrompere quelle pace, ma continuai a rimirare la lattea perfezione della sua schiena… salii e discesi la sua colonna vertebrale un paio di volte prima che quel dettaglio mi saltasse finalmente al naso, bloccando all'istante la lascivia dei miei pensieri mattutini… aguzzai lo sguardo, ma non potei avere dubbi… quel giorno diventava migliore ad ogni secondo che passava…
Quando Françoise trovò il coraggio di attraversare la soglia della camera, io sedevo tranquillamente sulla poltrona reggendo una rivista tra le mani «Moto e motori»… con la coda dell’occhio la vidi attraversare la stanza fino alla prima risorsa d'acqua disponibile… solo nel momento in cui mi passò materialmente davanti, lasciai cadere la rivista…
“Dormito bene?”
Un sorriso beffardo campeggiava sul mio viso, segno di palese e reale buonumore… il suo viso s’infiammò di rabbia ed imbarazzo…
“No...”
Intimò stringendo i pugni…
“...togliti immediatamente quel ghigno dalla faccia se non vuoi che ti prenda a calci...”
Aveva cercato di essere il più minacciosa possibile, ma era difficile trattenere il sorriso… sospirai distogliendo lo sguardo per primo, mi schiarii la voce ed indicai le buste sul tavolo… era stato il mio turno di comprare la colazione…
“Oggi è un grande giorno… ho pensato che un caffè e delle calorie extra potessero farti comodo…”
Françoise si rilassò lentamente e raggiunse il fumante bicchiere di cartone… era sul punto di ficcare la mano nel sacchetto alla ricerca di una ciambella quando la mia voce la inchiodò di nuovo…
“Dov'è finito il tuo tatuaggio?”
Domandai casualmente, quasi non fosse una bomba appena sganciata in territorio nemico… Françoise si congelò e stavolta il suo viso passò da roseo a bianco cadavere in pochi istanti…
“Quale tatuaggio?”
Tentò di mantenere la stessa disinvoltura... mi alzai e la raggiunsi lentamente…
“Il marchio di Heinrich...”
Françoise mi diede subito le spalle per nascondere il panico, ma io non mi lasciai sfuggire l'occasione… poggiai il dito esattamente nel punto in cui l'avevo visto, il ricordo indelebile nella mia mente…
“Era qui… ricordo perfettamente il momento in cui l'ho visto, il giorno in cui ti sei rivelata…”
Feci una pausa per riprendere fiato… quel momento era davvero inciso nella mia memoria… lei sobbalzò voltandosi verso di me…
“Non ce l'ho ok?”
Indietreggiai di un passo e lei riprese allargando le braccia arresa, segnalando che ormai era rimasto ben poco di cui potessi ancora spogliarla…
“Non me lo sono ancora meritato...”
Le parole le uscirono quasi a forza…
“...devo uccidere tuo padre prima…”
Concluse stringendo i pugni ancora una volta e guardandomi dritto negli occhi... ricambiai quello sguardo con altrettanta tenacia, ma il mio viso si aprì quasi subito in un nuovo sorriso, lasciandola senza parole e senza respiro…
“Non sei una di loro…”
Detti voce al pensiero che mi affollava la mano da quando ero sveglio… se Heinrich non l'aveva ancora marchiata, Françoise era ancora libera, libera di fuggire da quella faida continua, libera di appartenere a chiunque volesse… il nodo nel mio stomaco si sciolse in quella consapevolezza e tentai di raggiungerla, prendendole il viso tra le mani…Françoise mi afferrò i polsi con le proprie dita, cercando di allontanare i palmi dalle sue guance…
“Sono comunque una di loro... quel tatuaggio non cambia niente…”
Mi mossi di nuovo verso di lei, cercando ancora di toccarla…
“Non capisci?”
Afferrai il suo volto tra le dita trovando i suoi occhi azzurri, grandi e tremanti…
“Tu non gli appartieni... non sei sua... sei libera... quando tutto questo sarà finito...”
Françoise fuggì dal mio tocco lasciando a metà le mie parole…
“Allora cosa?”
Di nuovo aveva allargato le braccia in rassegnazione, lasciandole cadere senza resistenza sui suoi stessi fianchi…
“Cosa cambierà? Cosa sarò mai libera di fare...”
Cercò i miei occhi…
“...innamorarmi di te magari?”
Trattenni il respiro, pensando che a quel punto sia Françoise che l'intero palazzo potessero sentire i potenti colpi del mio cuore contro il petto... era la prima volta che quell'ipotesi usciva dritta dalla sua bocca senza suonare come uno scherno pietoso, quasi ci stesse pensando davvero… per la terza volta la raggiunsi cercando un contatto diretto con i suoi occhi e con la sua pelle…
“Magari…”
Risposi in un sussurro e lei chiuse le palpebre un secondo soltanto per poi riaprirle immediatamente…
“Non succederà mai…”
Mi sentii ferito per un istante, ma misi da parte l'orgoglio e strinsi la presa attorno al suo viso…
“Puoi avere una vita tua lontana da tutto questo… con o senza di me…”
Lei fece cenno di no con decisione…
“Non la voglio…”
Svicolò dalla mia presa e si allontanò raggiungendo l'angolo opposto della stanza…
“Non ho nulla a parte questo… e nemmeno lo voglio... sono un'assassina... un mostro... non avrò mai nulla più di questo…”
Mi mossi richiamando l'attenzione di Françoise… rimasi lontano abbastanza, ma non di meno attraversai la sua vista…
“Quindi è solo questo che vedi quando mi guardi? Sono solo un assassino, un mostro che non merita nulla?” …se valeva per lei, per me era anche peggio…
Françoise mi accarezzò con gli occhi dall'alto in basso…
“Sì…”
Mi disse in viso… incassai il colpo abbassando gli occhi per un solo secondo, passando la lingua sul labbro superiore prima di guardarla di nuovo…
“Bene… buono a sapersi…”
Volevo davvero credere che non fosse sincera, ma quel gioco correva troppo velocemente verso il suo estremo ed io non volevo finire ancora una volta a sentirmi come il ragazzino con l'apparecchio ai denti con cui nessuna ragazza delle superiori voleva uscire… io ero il Mamba… potevo avere qualsiasi donna volessi… fanculo la stronza…
Il silenzio aveva risucchiato la stanza sotto una coltre fredda e pesante… eravamo entrambi immobili, freddi come statue…
“Io non...”
Esordì lei ma io la bloccai subito sollevando una mano…
“Ti sarei grato se stessi zitta…”
Il mio tono era diventato freddo come la stanza, le parole affilate come spade… Françoise sospirò decidendosi a muovere qualche passo verso la stanza da letto…
“E ti sarei ancor più grato se te ne andassi...”
Aggiunsi con lo stesso tono, cogliendola totalmente di sorpresa… Françoise sollevò un sopracciglio…
“E dove dovrei andare?”
Mi voltai, il mio viso una maschera di freddo distacco…
“Onestamente non lo so e non mi interessa…”
Françoise sospirò…
“Ascolta… so che quello che ho detto...”
Le fui di fronte in un secondo, afferrandole il viso ancora una volta, stavolta stringendolo con una sola mano…
“Ascolta tu...”
Guardai dritto negli occhi sgranati di Françoise…
“Non sentirò più una sola parola uscita dalla tua bocca…”
Mi avvicinai pericolosamente, tanto che Françoise poté sentire il mio respiro dritto in volto... strinsi la presa ancor più forte…
“Hai ragione… tu non meriti niente… nemmeno da un mostro come me…”
Detto ciò mollai sgraziatamente la presa e di nuovo le detti le spalle…
Dopo pochi istanti, avvertii Françoise stringere la maniglia della porta nella mano…
“Ci vediamo stasera...”
Parte 16
Il sole iniziava a tramontare sulla città… me ne stavo immobile davanti allo specchio… avevo lavato il viso, lavato i denti, rasato la barba persino… fissavo la mia stessa faccia, cercando di immaginare che espressione avrei avuto una volta in piedi di fronte a Jack, con la lama del coltello piantata nella sua gola… potevo sentire i brividi alzarmi la pelle e la bocca salivare al solo pensiero…
Un rumore dalla stanza mi fece trasalire ed improvvisamente ripiombai nella realtà…
“Hey?”
La rossa nel mio letto era rotolata fin quasi al comodino e, con il viso appoggiato sulla mano, teneva un gran broncio da troia per attirare la mia attenzione… non mi erano mai piaciute molto le rosse e questa qui in particolare era decisamente troppo rumorosa e zotica… non avevo certo perso troppo tempo a scegliere del resto… quando ero entrato in quel bar, scrutando la folla di ninfomani ed ubriachi, stavo solo cercando un buco da riempire ed un profumo… già, un profumo, uno abbastanza forte e pungente da coprire quello di Françoise sulle lenzuola… questo specialmente stava quasi per farmi vomitare ad un certo punto, ma alla fine della festa la ragazza aveva servito il suo umile scopo…
Fanculo amore e redenzione…
Ignorai completamente la sua presenza scivolandole di fronte per raggiungere la maglietta bianca che avevo intenzione di indossare per l'occasione… l'altra protese le labbra e sollevò il sopracciglio, ancora convinta che i suoi zigomi cesellati ed il suo bel nasino all’insù fossero armi abbastanza affilate da ingabbiare qualsiasi uomo…
Era sul punto di parlare ancora, ma io la precedetti…
“Devi andartene adesso…”
Buttai lì guardandola con la coda dell'occhio… la rossa sospirò e, suo malgrado, venne fuori dalle lenzuola per raccogliere i suoi quattro stracci…
“È stato davvero bello, sai?”
Continuavo a tenere l'attenzione al livello più basso possibile, cercando solo di concentrarmi su ciò che mi aspettava…
“Lo so…”
Risposi casualmente, mentre la ragazza giocava con le unghie laccate di rosso…
“Ci vedremo ancora?”
Mi voltai completamente verso di lei, guardando dritto nelle sue iridi scure e speranzose ed inalai per l'ultima volta quel profumo da quattro soldi…
“No…”
Sentenziai, poggiando delicatamente la mano sulla curva della sua schiena per poi spingere, stavolta con decisione, verso la porta… la rossa non ebbe tempo di elaborare una risposta, o magari riuscì a trovare una briciola di amor proprio cui aggrapparsi per non dire nulla ed incassare quel colpo con un minimo di dignità… le chiusi la porta in faccia con un tonfo sordo…
Finalmente ero solo di nuovo, pronto ad accarezzare l'unica pelle che in quel momento potessi desiderare, la lama gelida del mio pugnale più affilato… il cellulare prese presto a vibrare contro il legno scadente del tavolino ed io me lo portai subito all'orecchio..
“Trovata…”
“Dove?”
Non avrebbe dovuto interessarmi, ma finsi di volermi solo accertare che Françoise non si stesse ubriacando in qualche vicolo in preda alla tensione…
“Alla biblioteca pubblica…”
Bella scelta pensai, un posto caldo e tanto silenzio per riflettere… l'ombra di un sorriso mi sfiorò le labbra, solo per mezzo secondo… dovevo smettere di ammirarla, di valutare le sue scelte, di cercare di allentare i meccanismi del suo cervello…
“Lasciale la borsa e vattene…”
Quando avevo cacciato la ragazzina dalla stanza, non avevo certo tenuto conto delle necessità del caso… come avrebbe potuto attraversare il bosco sulla collina, strisciare nei tunnel sotto la proprietà ed aggirare le due guardie nel seminterrato con addosso nulla più che quella scusa di vestito? Avrebbe forse potuto sgranare gli occhioni e sorridere, magari avrebbe funzionato…
Tornai alla mia respirazione lenta e costante, aspettando i sette rintocchi dell'orologio sul campanile per uscire finalmente dall'albergo…
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Stretti pantaloni neri, un paio di anfibi ed una maglietta nera… il portantino di Joe aveva lasciato la borsa ai miei piedi senza proferire parola, sparito nello stesso nulla da cui era apparso… e nella toilette della biblioteca pubblica era avvenuta la magia… avevo raccolto i capelli in una crocchia spettinata ed indossato il giubbotto scuro che il Mamba aveva scelto per me, abbastanza caldo da non farmi rabbrividire nel settembre di New Orleans, ma abbastanza leggero da lasciarmi tutta la libertà di movimento necessaria… la pistola in una tasca, la trasmittente nell'altra…
Alzai il cappuccio e mi coprii il viso aspettando il settimo rintocco del campanile… ero solo una macchia nera nel buio pesto e, prendendo un lungo respiro, presi a salire la ripida collina che accoglieva in cima la grande reggia degli Shimamura…
L'aria attraversava gelida le mie narici e non riuscivo a non stringere forte la pistola che tenevo nella tasca destra… ancora ed ancora le conversazioni con Joe risuonavano nella mia testa, più forti degli scricchiolii tra le foglie secche e degli ululati delle civette dopo il crepuscolo… i miei occhi continuavano a fissare le luci lontane in cima alla salita, nascoste tra i grandi alberi ricoperti di muschio spagnolo e le palme taglienti… non riuscivo a scorgere la strada o i cancelli, ma sapevo che di lì a poco anche Joe avrebbe attraversato quella soglia e non ci sarebbero più state scuse possibili… gran parte del mio cuore stava battendo a dismisura per l'eccitazione del momento, ma l'altra piccola parte continuava a chiedersi se ce l'avremmo fatta, se non fossimo stati troppo ingenui e frettolosi, se non mi fossi fidata troppo a cuor leggero del Mamba e della sua voce dannatamente sensuale…
“Salirai la collina con tutta calma...”
Il dito di Joe aveva risalito piano la curva del suo fianco accompagnando quelle parole…
“...piazzerai la trasmittente sull'impianto elettrico...”
Aveva poggiato delicatamente il polpastrello sul suo ventre, girando attorno all'ombelico un paio di volte prima di iniziare a scorrere verso sud…
“...poi raggiungerai la botola vicino alla grande quercia...”
Lo stesso dito malizioso aveva attraversato i confini della sua biancheria intima…
“...e scenderai giù...”
Era già bagnata e pronta, cullata nelle sue fantasie erotiche da quel dolce bisbiglio nel suo orecchio...
“...aspettando che l'orologio ti indichi il momento di venire...”
Ed era venuta… oh se era venuta…
Solo adesso, mentre i miei anfibi calpestavano cose che non potevo e non volevo identificare, iniziavo a chiedermi se tutto quel piacere sessuale non avesse offuscato la mia mente… sentii i brividi corrermi lungo la schiena benché fossi adeguatamente coperta… come Joe riuscisse a farmi dimenticare ogni cosa con un sussurro o un singolo tocco era ai miei occhi ancora un mistero… se lui fosse stato lì accanto a me anche adesso, quasi sicuramente non ci sarebbe lo strascico della paura a rallentare i miei passi… mi ero sentita invincibile tra le lenzuola stropicciate, mentre adesso ero solo un ammasso di nervi ed ansia anticipatoria… con tutta la forza possibile tenevo a bada l'immagine dei miei genitori che scalciava dal retro della mia testa… avevo bisogno di concentrarmi… un uomo stava per morire e non certo un uomo qualsiasi…
Mentre contavo i passi ricordai a me stessa che non c'erano vie di mezzo, nessuna zona grigia, nessun margine d'errore…
Trentatré… voltai il capo verso destra e cercai tra gli arbusti la cassetta dell'impianto elettrico a cui attaccare la trasmittente… al momento debito sarebbe saltata la corrente in tutta la proprietà, creando abbastanza buio ed abbastanza sconcerto da permettermi di raggiungere Joe e liberarlo dalla «sala delle torture morali»…
Inalai una lunga boccata d'aria che sapeva di foglie secche ed umidità… altri cinquantadue passi ed avrei trovato la grande quercia, quella che Joe mi aveva descritto con tanto ardore, il grande albero sotto cui i fratelli Shimamura si erano giurati eterna lealtà… beata, candida infanzia…
Eccola lì, enorme e maestosa anche nell'oscurità… poggiai il palmo sul tronco per un minuto, respirando a fondo per recuperare in fretta la fatica fatta, facendo scrocchiare le caviglie negli stivali… poi mi inginocchiai di nuovo, passando le nude mani sul manto di foglie secche, cercando a tentoni la botola di legno che Joe mi aveva indicato, nascosta esattamente sotto il lato più nodoso della grande quercia… i miei occhi si erano ormai adattati al buio pesto, ma dovevo comunque affidarmi a tutti i miei più basilari sensi per essere certa di non commettere errori… battendo i palmi sul nudo terreno riuscii finalmente a sentire lo scricchiolio di un materiale diverso e liberai frettolosamente la zona circostante, cercando con fervore l'appiglio che mi avrebbe finalmente concesso l'ingresso alle famose gallerie sotto la proprietà…
Qui Joe ed i suoi fratelli avevano giocato, rincorrendosi come normali ragazzini, fuggendo per qualche ora agli ordini continuamente impartiti da quel mostro di padre… Jack... caro Jack... presto non potrai più vomitare la tua crudeltà e la tua insolenza su nessun altro…
La botola cigolò più forte di quanto avrei voluto e per un istante il respiro mi si bloccò nel petto, lasciandomi avvolta nel silenzio e nell'immobilità… e se ci fosse qualcun altro qua fuori insieme a me? Qualche guardia? Qualche spia? Se ci fossimo dimenticati di valutare il più insignificante dei rischi? Il mio cuore prese a battere violentemente ancora una volta… ero Françoise Arnaul dopo tutto… una dei Fantasmi Neri… un'assassina di professione… cos'era allora quel fastidioso rimescolamento nel mio stomaco? Da dove venivano quei pensieri che mi affollavano la mente? Cos'erano quelle fitte di eccitazione, paura, dubbio ed entusiasmo che si alternavano nel mio petto?
Emozioni… chiusi gli occhi per un momento decidendomi a scendere la lunga e gelida scala a pioli, serrando la botola sulla mia testa dopo il passaggio…
Emozioni…
Ed era colpa sua… maledetto Joe… era solo colpa sua…
“Hai ragione… tu non meriti niente… nemmeno da un mostro come me…”
L'aria nei tunnel era pesante e stantia, costringendomi a pensare con più fatica del necessario… destra, sinistra, secondo snodo, destra di nuovo… mossi un primo passo, ma subito mi bloccai, consapevole che se mi fossi allontanata troppo non sarei più riuscita a sentire il nono rintocco dell'orologio sul campanile…
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Jet stirò le spalle continuando a fissare le ultime luci del tramonto dalla finestra… riusciva già a sentire la tensione dell'ennesima scomoda notte da passare sulla poltrona del suo studio… nessun rumore dal resto della casa… dopo le sue ultime parole Nataljia si era mossa come un fantasma per tutto il giorno, sfuggendo volontariamente ad ogni possibile contatto… ora era probabilmente chiusa a chiave nella loro stanza e la sola idea di bussare a quella porta era un nuovo strazio…
Dopo il breve momento che avevano vissuto in cucina le sue dita formicolavano ancora e l'odore di gelsomino accarezzava persistente le sue narici… quella situazione avrebbe inevitabilmente finito per farlo uscire di testa e per buttar giù quel pensiero scolò in fretta il suo bicchiere di vino rosso, lo stesso vino che Jack aveva fatto recapitare la mattina precedente… il liquido color rubino aveva avvolto il suo palato e riportato la sua mente ad un nuovo costante stato di allerta… tutta quella gentilezza e tutta quella calma stonavano non poco con il classico stile di vita della famiglia... Joe sembrava sparito nel nulla, Nataljia aveva smesso di urlare ed iniziato a cucinare, Jack ricopriva lui e sua moglie di omaggi senza ragione, proprio lui che non aveva mai nascosto di disprezzarla… la Smirnova era solo merce di scambio per lui e non una volta, non una, s'era trattenuto dal sottolineare la sua debolezza e la sua inettitudine per essersene innamorato… tienila tranquilla e fuori dai nostri affari, così diceva…
Stava facendo bene adesso? Tenendola chiusa in casa come un giocattolo prezioso con cui aveva paura di giocare, troppo orgoglioso e spaventato per affrontare qualsiasi tipo di conversazione, troppo nervoso e ferito per sperare di poterle stare vicino senza scattare ancora una volta…
Stava facendo bene adesso?
Ingoiò un altro sorso di vino passandosi una mano in viso… tutto quel silenzio suonava proprio come la quiete prima della tempesta…
Il cellulare vibrò nel taschino sopra il suo cuore…
“Sì?”
“Suo fratello è qui signore…”
Quelle parole gli piombarono addosso come macigni ed improvvisamente, dopo settimane di piani e macchinazioni, non seppe più cosa fare…
“Dove?”
“Ha appena passato il cancello...”
Rispose la voce piatta all'altro capo della chiamata…
“...cosa vuole che facciamo signore?”
Bella domanda… ancora una volta Jet scrutò il paesaggio fuori dalla finestra, ma non riuscì a scorgere movimenti…
“Cosa vuole che facciamo signore?”
Ripeté la voce con la stessa atona cadenza… Jet deglutì la sua ansia…
“Fermatelo… portatelo nella stanza… io arrivo…”
La linea cadde immediatamente e lui rimase immobile al centro della stanza… se il momento fosse davvero arrivato chi avrebbe scelto alla fine? Suo padre o suo fratello? Mettendo da parte il pensiero ancora una volta, lisciò il collo della giacca ed afferrò la prima arma a sua disposizione prima di correre giù per le scale a passi veloci…
“Dove stai andando?”
Nataljia si era affacciata alla porta della stanza da letto, la sua attenzione richiamata da quella corsa furiosa, così distante dai modi soliti di Jet… lui non aveva tempo da perdere…
“Fuori…”
Lei gli lesse la tensione in faccia ed incalzò malgrado l'inopportunità di un'altra domanda in quel momento fosse palese…
“Fuori dove?”
Jet sentì l'ombra d'allarme nel suo tono di voce e si permise di perdere un secondo per rivolgerle uno sguardo veloce…
“Non aspettarmi sveglia...”
La porta fu chiusa prima ancora che Nataljia potesse anche solo prendere respiro per parlare ancora… doveva essere qualcosa di importante… lavoro, come sempre lavoro… era sola di nuovo ed in quelle condizioni non poteva che esserne felice… aveva bisogno di tempo per pensare, pensare ancora ed ancora al peso delle sue opzioni… una nuova idea si era fatta strada nella sua mente durante l'ultima notte insonne, la più semplice eppure la più pericolosa…
Doveva parlare con Jack… subito…
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Passai lentamente i cancelli della mia grande casa, mettendo in scena un'entrata d'onore a bordo di una Panamera nera che, con non troppa gentilezza, ero riuscito a farmi prestare dal Porsche club sulla quinta strada… parcheggiai davanti al portone principale e spensi il motore, guardandomi attorno come un falco dagli specchietti… da che parte sarebbero arrivati? Destra? Sinistra? Dietro? Sarei almeno riuscito a varcare la soglia?
Sapevo che mi stavano aspettando, sentivo i loro occhi addosso senza nemmeno dovermi chiedere dove fossero… respirai a fondo ancora una volta, stampandomi in volto la calma apparente di un figlio con le migliori intenzioni… strinsi la maniglia nella mano ed in un solo movimento uscii fuori dall'auto, trovandomi a contatto con l'aria fresca ed appiccicosa della mia città… attesi tre secondi appena prima di dirigermi con noncuranza verso il grosso portone tra le colonne bianche… azzardai e decisi di bussare…
Il viso che mi dette il benvenuto non fu però quello mi aspettavo… non fu la cameriera ad aprire la porta, bensì un uomo alto e muscoloso stretto in una giacca nera… ne osservai con attenzione i tratti e confermai a me stesso di non averlo mai visto prima… viso squadrato e mandibola decisa, capelli scuri rasati a pelle ed espressione illeggibile…
“Salve Signor Shimamura... la prego di venire con me…”
Era gentile e pacato, ma non di meno suonava deciso e minaccioso…
Sorrisi allo sconosciuto, non per cortesia, bensì per l'eccitazione che sentivo nascere dentro ancora una volta… volevo prenderlo a pugni lì e adesso, volevo tirar fuori la pistola e sparargli un colpo nel petto senza secondi pensieri…
“Sono qui per parlare con mio padre…”
Risposi indifferente conquistando la soglia con una falcata decisa… l'altro non si mosse di un millimetro, fermo come una pietra con la sua mole imponente… gli respirai in viso sforzandomi di rimanere calmo…
“Il Signor Jet ha dato il preciso ordine di accompagnarla nella stanza… lui arriverà immediatamente…”
Non c'era alcun bisogno di specificare quale stanza fosse… quel luogo non aveva mai avuto un titolo preciso o una parola chiave, ma tutti sapevamo benissimo a cosa servisse…
Alzai le spalle…
“Tu prendi ordini da Jet… non io…”
Cercai ancora una volta di aggirare il gorilla, più per far fede alla mia parte che per creare veri conflitti… se avessi voluto liberarmi dello scimmione, sarebbe già steso sul parquet in una pozza di sangue…
“Prendo molto sul serio il mio lavoro Signore…”
Il palestrato in giacca mi parò un braccio davanti…
“La prego di seguirmi nella stanza ed attendere il Signor Jet…”
Anche la sua calma apparente iniziava a vacillare, dai tremolii della sua voce era ormai chiaro che le mani gli fremevano e che temeva per il suo incarico così come per la sua inutile esistenza…
“Bene...”
Inspirai e sospirai a pieni polmoni, fingendomi più menefreghista e sbruffone del solito…
“...sentiamo cosa ha da dire quell'idiota di mio fratello…”
Il gorilla fece per muoversi al fine di circuirmi e poter controllare i miei movimenti da dietro, ma io sollevai immediatamente le mani e lo bloccai con un'espressione gelida…
“Conosco la strada…”
Senza degnarlo d'ulteriore attenzione voltai a sinistra verso il lungo corridoio che portava alle scale… in fondo alla scalinata di marmo, dietro la pesante porta d'acciaio, mi attendevano quattro mura insonorizzate… quante persone avevano pianto tra quelle pareti, quante avevano urlato, quante ancora avevano confessato dubbi e tradimenti imperdonabili…
Non appena fui sulla soglia della grande porta in metallo, dal nulla quattro uomini mi furono addosso… mi aspettavo un Jet piuttosto sospettoso e prudente, ma questo andava ben oltre le mie aspettative… assecondai il mio innato bisogno di ribellione scalciando e brandendo i pugni contro i leccapiedi di Jet… due colpi andarono a segno, lasciando uno dei quattro a sputare sangue contro lo stipite… fu necessaria gran parte del mio autocontrollo per tenere a mente il piano, imponendo a me stesso di non andare oltre… alla fine mi lasciai spingere al centro della stanza e, senza troppa resistenza, permisi al più alto dei quattro, capelli castani e mascella squadrata, di legarmi le mani dietro la schiena…
“Pagherete per questa mancanza di rispetto… tutti…”
Precisai regalando un'occhiata glaciale ad ognuno dei quattro malcapitati, marcando a fuoco i loro visi nella mente… il più magro abbassò gli occhi al pavimento, sperando di fuggire agli occhi vitrei del Mamba, mentre un altro, pieno del suo senso di dovere, prese a perquisirmi attentamente, trovando quasi subito il pugnale e la semiautomatica… poggiò le armi sul tavolo, unica altra mobilia presente, e fece cenno agli altri di farsi indietro… mentre quelli si avvicinavano alla soglia, i caratteristici passi lenti di Jet venivano verso l'entrata…
“Potete andare ora...”
Esordì mio fratello maggiore puntando dritto verso il tavolino… gli uomini eseguirono l'ordine senza fiatare, chiudendosi dietro la porta blindata…
Sospirai visibilmente irritato…
“Era davvero necessario fratello?”
Jet tolse il caricatore alla pistola continuando a darmi le spalle…
“Non saprei...”
Ripose l'arma sulla liscia superficie di legno scuro…
“...ti presenti qui al calare della notte ed armato fino ai denti… dimmelo tu…”
A quel punto finalmente si voltò… indossava una camicia azzurro chiaro sul suo classico completo nero, ma ogni angolo e ruga del suo viso trasudavano stanchezza e nervosismo…
“Volevo solo parlare con Jack...”
Jet sollevò scetticamente il sopracciglio…
“Voglio che ammetta quello che ha fatto…”
Incalzai drizzandomi contro la sedia… l'altro sospirò…
“Per poi cosa? Sparargli un colpo in fronte?”
“Perché no?”
Jet scosse il capo passandosi una mano sul viso…
“Senti Joe... anche a me manca mamma, so come ti senti...”
“No, non lo sai…”
Lo interruppi con decisione, digrignando i denti di fronte a quel patetico tentativo di ammansirmi con futili parole…
“So che vuoi giustizia...”
Riprese Jet ignorandomi
“...ma uccidere Jack non cambierà le cose, anzi... pensa a Jonah, pensa agli affari, pensa a...”
“A te?”
Lo interruppi di nuovo, stavolta con tono di sfida e di sdegno…
“Al mio caro fratello che per tutta la vita è stato trattato come il prezioso principe del regno?”
“Non dirlo...”
Jet si scostò dal tavolo per farsi più vicino a me, sollevando l'indice a mezz'aria per chiarire il suo punto…
“...ho subito soprusi e fatto sacrifici anch'io come tutti voi…”
La sua voce solitamente liscia iniziava a far trasparire rabbia ed agitazione… replicai con una mezza risata amara…
“Sacrifici? Intendi sposare quella troia russa che ti ha fregato come un povero idiota?”
Jet strinse i pugni trattenendo la collera…
“Non avevo mai realizzato quanto fossi egoista Joe...”
Rimasi seduto ed impassibile, cercando di non far trasparire ciò che avevo in mente… Jet era abbastanza furbo da leggermi la mente, se solo non fosse stato così stanco e visibilmente provato… era solo per colpa mia? Per l'ansia di proteggere Jack? O forse c'era altro che io non sapevo?
“Voglio solo liberarmi di lui...”
Presi un lungo respiro sollevando la schiena il più possibile…
“...liberare tutti noi… sai bene che Jack non merita il tuo rispetto e la tua lealtà… ha ucciso nostra madre cristo santo! Ma prima ancora di quello sai bene cosa ha fatto a tutti noi...”
Riuscivo a vedere le spalle di mio fratello contrarsi di più ad ogni parola…
“...c'eri anche tu Jet… gli allenamenti forzati, le urla, gli insulti, le botte prese... c'eri anche tu…”
Lui rimase ancora nel suo angolo di silenzio, forse cercando le parole giuste per ribattere al mio appello…
“Non hai bisogno di lui…”
Incalzai…
“Non hai bisogno di lui per essere il re di tutto questo…”
Finalmente Jet si voltò…
“Non voglio affatto essere il re!”
“Certo che lo vuoi!”
Ribattei immediatamente, prendendo al balzo la crepa nella sua perfetta armatura…
“...e va bene Jet, va benissimo… puoi avere tutto questo e di più, io non voglio niente da quel bastardo, voglio solo farla finita…”
Jet scosse la testa…
“Se ti lascio fare quello che hai in mente la sola cosa che avrà fine sarà questa famiglia…”
Sospirai cercando i suoi occhi…
“La tua famiglia… io non ne sono parte… non più…”
Mi si avvicinò con decisione…
“Tu sei mio fratello Joe… non importa quanto dna condividiamo o quanti dei tuoi casini debba ancora aggiustare… sto cercando di difendere anche tu qui…”
Aguzzai lo sguardo…
“Non ho bisogno di essere difeso… non ho più dieci anni…”
Ancora una volta sentii la rabbia riversarmisi addosso come una cascata… per quanto bene volessi all'uomo che mi brandiva l'indice in fronte, non potevo e non volevo vedere al di là dell'unica evidenza della mia vita… per colpa di Jack ero un essere solo, ormai troppo laido e danneggiato per poter aspirare a qualsiasi forma di riscatto...
Jet abbassò gli occhi e di nuovo mi dette le spalle…
“Perché lo difendi tanto?”
Domandai, i polsi ormai doloranti per quanto avessi provato a divincolarmi… avrei voluto usare le mani per sottolineare le mie parole, cercando ancora una volta di convincere Jet di quanto la morte di nostro padre fosse l'unica soluzione possibile… Jonah era abbastanza giovane, viziato e psicopatico da superare la cosa in men che non si dica… probabilmente non se ne sarebbe neanche accorto se gli avessero subito messo davanti la sua parte di eredità…
“Ascoltami Joe...”
Mi rivolse gli occhi per l'ennesima volta…
“...non intendo perdere tutto il mio tempo cercando di farmi ascoltare da un sordo…”
Si avvicinò al tavolino e prese le armi nelle sue mani…
“Ti lascerò del tempo per sbollire e ti prego davvero di usarlo per rivedere la tua posizione...”
Lo osservai mentre infilava il mio arsenale nelle tasche… questo non lo avevo calcolato… Jet portò la sua faccia stanca al livello dei miei occhi e mi parlò con la maggior grazia possibile, ricalcando lo stesso ruolo del tempo dell'infanzia…
“...non c'è bisogno di arrivare a tanto Joe… siamo tutti soli, è vero, ma siamo ancora una famiglia… siamo ancora io, tu e Jonah... questo non è mai cambiato…”
Trattenni a malapena il sarcasmo sulla punta della lingua, gettando lo sguardo al pavimento per non ferirlo... una parte di me avrebbe voluto credergli… avrei tanto desiderato poter tornare a quel tempo dell'adolescenza in cui era bello passare le serate ad immaginare come sarebbe stato… avremmo avuto un garage pieno di macchine sportive ed una sigaretta alla menta perennemente in bocca… Jonah avrebbe riempito casa con le conigliette di playboy ed i rimproveri di Jet avrebbero riecheggiato continuamente tra le stanze, obbligandoci a ridere sotto i baffi come stupidi scolari… Jack sarebbe partito per l'Europa per seguire i suoi affari più da vicino e mamma sarebbe potuta finalmente uscire di casa a testa alta, senza più doversi vergognare degli insoliti capelli biondi del suo secondo figlio…
Eravamo ormai adulti e nulla di quel sogno si era avverato… perché mai continuare a sperare?
“E se non lo facessi?”
Jet si bloccò sulla soglia, voltando appena la testa per guardarmi con la coda dell'occhio…
“Spero davvero che tu non renda la mia decisione ancora più difficile…”
E così, prima che potessi continuare a girare il dito nella piaga, Jet aprì la grossa porta e se la chiuse dietro…
Finalmente solo cercai di rilassare i muscoli della schiena ed allungare le gambe… nonostante l'enfasi dello scambio mi avesse distratto per un po', ero riuscito chiaramente a sentire gli otto rintocchi del campanile… era già passato del tempo e ciò poteva solo voler dire che Françoise era vicina e che presto sarei tornato libero… lo sguardo carico di Jet era riuscito a farmi vacillare per un attimo, ma nulla al mondo avrebbe cambiato l'idea che avevo in testa… non mi restava che aspettare la ragazzina dell'aereo ancora una volta, sperando che almeno in questa missione mi sarebbe rimasta vicina fino alla fine…
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Nell'istante in cui le campane avevano preso a suonare il cuore mi era balzato in gola… l'attesa del nono rintocco fu una delle più strazianti della mia vita, con le mani sudate e strette nelle tasche mentre il viso mi si congelava nella polvere del tunnel… i piedi mi parvero più pesanti del solito mentre mi muovevo sul suolo umidiccio e polveroso… destra, sinistra, secondo snodo, destra di nuovo… le parole mi martellavano le orecchie nel silenzio più assoluto, rotto solo da lontani lamenti notturni e scricchiolii metallici…
Sollevai gli occhi al soffitto non appena seppi di aver raggiunto il punto preposto… la lunga e stretta scala arrugginita portava al seminterrato della casa, lì dove due guardie almeno attendevano di essere stese al suolo dalle mie sole mani… sospirai rumorosamente ruotando i polsi e sperando che le mie nocche fossero abbastanza dure per ciò che mi sarei trovata davanti… avrei dovuto passare più tempo ad allenarmi piuttosto che a cavalcare il Mamba...
Salii il più silenziosamente possibile… Joe mi aveva assicurato che la botola sarebbe stata aperta e le sue parole non furono smentite… la pesante lastra di ferro venne su senza cigolii molesti ed io sbirciai tutt'intorno trattenendo il respiro… era buio anche fuori dal tunnel, ma questo non era un problema visto che i miei occhi erano ormai abituati all'oscurità… lentamente mi sollevai fuori dalla botola e guardai ciò che mi circondava… il silenzio sembrava regnare sovrano, tanto che i miei battiti erano l'unico suono appena percepibile… dove si trovavano le guardie annunciate? Perché non sentivo il loro vociare da nessuna direzione? Un primo brivido mi risalì la schiena… ancora una volta realizzai dove mi trovavo e cosa stessi facendo… ero dentro la villa degli Shimamura, nel centro pulsante del covo nemico, a solo un paio di rampe di scale dall'uomo che aveva distrutto la mia famiglia e tutta la mia vita… presto l'avrei guardato in viso e mi sarei sentita finalmente viva, così viva come non mi sentivo da ormai sei lunghi anni… strinsi i pugni e decisi di muovermi, riportando a galla ogni tecnica e strategia che avevo appreso nel corso degli anni, spalmata contro il muro e pronta a scattare come un'arma di precisione…
Sbirciai dietro l'angolo e finalmente vidi uno degli uomini di spalle… era appoggiato con la spalla alla parete, la sua attenzione tutta rivolta al cellulare che reggeva nella mano destra… se tutte le guardie di Jack svolgevano così il proprio lavoro, sarebbe stato un gioco da ragazzi… rimanendo attaccata alla parete opposta scivolai verso di lui come una goccia d'olio sul vetro, preparando le gambe a scattare e le mani a colpire il più forte possibile… era più alto di me il malcapitato, ma non abbastanza corpulento da rappresentare una vera minaccia… non appena gli fui dietro strinsi la pistola nel pugno e senza pensarci due volte gli sbattei il calcio dell'arma sulla nuca, potente e precisa come un colpo d'arma da fuoco… lo sconosciuto mi cadde subito tra le braccia ed io mi appoggiai al muro per accoglierne il peso senza troppo sforzo… lasciai scivolare il corpo a terra e lo superai con un solo passo… probabilmente non era morto, ma di certo sarebbe stato fuori dai giochi abbastanza a lungo da non creare problemi…
Ripresi la lenta e silenziosa camminata verso l'unica porta che lasciava trasparire luce dai propri spifferi... Joe mi aveva detto di seguire la via sinistra verso le scale ed ancora una volta il suo suggerimento sembrava non fare una piega… secondo i calcoli una sola altra guardia si sarebbe trovata dall'altra parte, ma non potevo certo esserne sicura… un solo uomo sarebbe stato semplice, due sarebbero già stati più problematici… se avessi perso troppo tempo ad occuparmi di uno, l'altro avrebbe avuto abbastanza tempo per avvertire i piani superiori e di certo non potevo permetterlo… poggiai l'orecchio alla porta e cercai di cogliere quanti più segni possibile… una televisione o forse una radio sembrava parlare in sottofondo, troppo lontana per capire di che canale si trattasse… nessuna conversazione, il che lasciava certamente ben sperare…
“Hai finito di parlare con la tua troia Sam?”
L'urlo rivolto alla porta mi fece saltare sul posto… adesso, se non altro, ero sicura che ci fosse qualcuno dall'altra parte… nessuna risposta da parte del fantomatico Sam...
“Stupido coglione senza palle…”
Commentò la voce con tono più basso e non ci volle molto perché facessi due più due… Sam era l'uomo che avevo steso poc'anzi, troppo impegnato a mandare messaggi romantici alla sua donna per notare la mia presenza… rimasi ad ascoltare ancora un po', se Sam era steso nel corridoio e nessun altro partecipava alla conversazione, poteva solo voler dire che l'uomo dall'altra parte era solo… buon per me... peccato non poter vedere che aspetto avesse e quanta forza ci sarebbe voluta per stenderlo… peccato non poter sapere prima se aveva anche lui armi a disposizione… benché avessi una pistola infatti, il piano mi imponeva di non sparare finché non fosse stato davvero strettamente inevitabile... troppe orecchie in quella casa…
Prendendo un lungo respiro mi decisi a rischiare la partita e bussai alla porta… sentii lo stridio di una sedia sul pavimento ed il borbottio della stessa voce di prima, mentre passi pesanti mi si avvicinavano rapidamente… quando la porta si aprì incontrai quegli insulsi occhi marroni per un solo secondo prima di avventarmi come un'arpia contro il malcapitato… un pugno dritto sul naso ed un altro tra le gambe… la guardia si piegò per il dolore, ma cercò di non cedere rispondendo all'attacco con i colpi delle sue lunghe braccia… riuscii a schivarne un paio prima che l'avversario mi obbligasse contro il muro…
“Chi cazzo sei tu?”
Domandò ancora del tutto stravolto… decisi di approfittare fino in fondo dell'effetto sorpresa e ripresi immediatamente a colpirlo in tutti i punti che conoscevo come più dolorosi, finché finalmente riuscii a girargli attorno e mettergli un braccio attorno al collo… per fortuna non era troppo alto, ma di certo scalciava come un dannato… nel tentativo di liberarsi mi stringeva le costole con tutta la forza possibile, facendomi un male del diavolo… strinsi i denti e la presa più che potevo, pensando solo a quello che sarebbe venuto dopo… muori... muori maledetto… l'altro barcollò verso la parete cercando di sbattermici contro, ma non mollai, neanche per una frazione di secondo… quel momento era davvero troppo importante per lasciarmi distrarre da qualche osso incrinato…
Finalmente lo sentii cedere alla mancanza d'ossigeno e barcollare un’ultima volta prima di crollare come un sacco di patate… mi presi il tempo di respirare di nuovo a pieni polmoni, cercando di capire se lo stronzo mi aveva davvero rotto qualcosa… nonostante il dolore ogni cosa sembrava al proprio posto e così ne approfittai per sferrare un ulteriore calcio al petto della guardia di Jack...
Attraversai la stanza guardinga... la piccola tv quattordici pollici gracchiava ancora, mentre nulla sembrava succedere nel resto della casa, almeno a quanto potevo vedere dai monitor di controllo… sperai di poter vedere Jack seduto come un papa presuntuoso nel suo studio, ma apparentemente nessuna telecamera era autorizzata a riprendere l'interno della sua stanza personale… decisi allora di proseguire la scalata verso i piani superiori… l'orologio del monitor segnava ormai le 21e56, confermando che mancavano ormai solo pochi minuti al blackout che io e Joe avevamo programmato… approfittando dell'oscurità avrei raggiunto ed attraversato il primo piano della villa, correndo a liberare Joe, prigioniero ormai da un paio d'ore dell'intaccabile falsa morale di Jet...
Fu come un botto… non sentii null'altro che una botta secca,ma fu presto certo che la trasmittente aveva funzionato… i monitor di controllo si erano spenti così come la piccola tv e tutta la stanza era di nuovo piombata nell'oscurità… se i calcoli fatti erano esatti, avevo più o meno tredici minuti per raggiungere Joe prima che i generatori si mettessero in moto ed i programmi di sorveglianza venissero riattivati… riempiendomi i polmoni d'aria e di adrenalina corsi verso le scale e le salii veloce, ma silenziosa… sopra la mia testa potevo sentire il chiaro trambusto di passi e voci sorprese, tutti presi a ristabilire l'ordine, magari abbastanza da non notare la mia volatile presenza tra i corridoi…
Girai piano la maniglia della porta in cima alla scalinata e buttai l'occhio al di là… qualcuno mi corse davanti, ma non notò nulla… quella parte di casa era la meno popolata per cui potevo ancora permettermi qualche azzardo… mi affacciai nel lungo corridoio scuro, illuminato solo dalla luce della luna e dei lampioni che filtrava dalle grandi vetrate… proseguii spalmata contro la parete finché non arrivai all'angolo, lì dove la mia strada si diramava in due direzioni… proseguendo avrei presto raggiunto l'altro lato dell'abitazione e trovato lo svincolo per raggiungere Joe, mentre voltando a sinistra avrei imboccato il lungo corridoio che portava alle stanze principali della casa, lì dove Jack attendeva chiuso nel suo studio…
Schivai una presenza nascondendomi dietro l'angolo opposto e lì i miei piedi divennero di piombo… avevo studiato per ore la piantina della villa ed ero certa che anche ad occhi chiusi avrei potuto raggiungere il salone, oltrepassare la sala da pranzo e camminare dritta fino alla porta di legno scuro che nascondeva l'uomo responsabile di tutte le mie disgrazie…
Il cuore prese a battermi forte nelle orecchie, tanto da riuscire quasi a coprire gli altri rumori della casa… quel bastardo aveva fatto uccidere i miei, lasciato che morissero come animali anche se non avevano fatto nulla, quel mostro mi aveva tolto la famiglia ed il futuro, trasformandomi nell'essere freddo e vuoto che adesso riempiva i miei abiti scuri… quell'uomo meritava la morte dalle mie mani più di quanto non la meritasse da ciascuno dei suoi figli… ero io ad aver perso più di tutti ed anche se il pensiero di Joe continuava a strisciarmi nella mente, i miei piedi avevano già preso a muoversi da soli… quella era la mia vendetta, lo era sempre stata… mia e di nessun altro…
Tirando qualche pugno ben assestato o nascondendomi nell'ombra più cupa, ero riuscita a raggiungere quel lungo corridoio più facilmente di quanto non avessi immaginato… il pavimento di legno scuro ed i quadri inquietanti alle pareti calzavano a pennello alle mie fantasie di vendetta che prendevano vita… ero davvero lì, così lontana e così vicina dalla svolta della mia esistenza, la pistola stretta nella mano e la via illuminata ad intermittenza da una lampada d'emergenza… se solo quella porta si fosse aperta...
Mossi un primo passo e poi un secondo, come fossi ipnotizzata dall'andirivieni di quella luce e dall'incredibile di quel momento, tanto risucchiata nella mia realtà da non sentire nemmeno i passi che si avvicinavano veloci alle mie spalle… ancora qualche secondo e sarei stata intrappolata in quel lungo corridoio, non più carnefice, ma di nuovo vittima, sempre dello stesso destino…
Una porta mi si aprì di fianco e lunghe braccia mi trascinarono dentro in una frazione di secondo… una mano gelida si poggiò sulla mia bocca e quel freddo mi riportò alla realtà, facendomi scalpitare nell'oscurità…
“Ssshh... sta' ferma…”
Quelle tre parole bastarono per bloccarmi… conoscevo quella voce… la mano fredda si scostò piano dalle mie labbra e tornò al proprio posto, permettendomi di mettere a fuoco chi avevo davanti…
“Nataljia…”
Bisbigliai, ma l'altra fu subito pronta a coprirmi la bocca di nuovo… fuori dalla porta passarono veloci i passi di almeno tre uomini, tutti rivolti verso lo studio di Jack...
“Stiamo risolvendo il problema Signore… ancora pochi minuti e tutto il sistema tornerà operativo…”
Respirai a fondo e ripresi il controllo della situazione, abbastanza da sollevare la mano e spingere via dal mio viso quella di Nataljia… sarei stata in silenzio fin quando quei passi si fossero allontanati, veloci com'erano arrivati…
“Che diavolo ci fai tu qui?”
Iniziò la russa a bassa voce…
“Potrei farti la stessa domanda...”
“Io vivo qui… ho sposato uno della famiglia, ricordi?”
Aguzzai lo sguardo in quello scuro dell'altra…
“E io sono qui per ucciderne uno…”
Vista la nostra attuale posizione Nataljia non ebbe dubbi su quale membro della famiglia volessi far fuori ed in automatico fu più felice di vedermi...
“Come hai fatto ad entrare qui?”
“Joe mi ha detto come fare…”
La sovietica sollevò il sopracciglio sottile…
“Joe? Voi due siete ancora insieme?”
Decisi di ignorare la sottile insinuazione e valutai se e quanto potermi fidare della donna che avevo davanti… avevamo già lavorato insieme e molte delle cose che sapevo degli Shimamura le avevo sentite proprio dalla sua bocca… odiava Jack tanto quanto me e questo era probabilmente già abbastanza…
“Avevamo un piano...”
Iniziai, facendomi più vicina per poter tenere la voce il più bassa possibile…
“... al momento Joe si trova chiuso in una stanza al piano di sotto… con Jet credo...”
L'altra sussultò appena al nome del marito…
“...sarei dovuta andare a liberarlo, ma... posso farlo da sola Nataljia… posso ucciderlo…”
Di nuovo lo sguardo scettico della russa mi piombò addosso, mentre l'illuminazione andava lentamente ripristinandosi tutt'attorno…
“Posso farlo… mi preparo da anni per questo momento… non ho bisogno di Joe… né di nessun altro…”
Mentre lo dicevo riuscii a sentire la mia stessa voce tremare… non era paura… non doveva essere paura… non avrei avuto altre occasioni come questa…
“Sei sicura?”
Lasciai cadere lo sguardo solo per un paio di istanti…
“So cosa sto rischiando… per questo non coinvolgerò altre persone… posso riuscirci da sola…”
Nataljia si addolcì di colpo…
“Mi accorgo solo ora che abbiamo più cose in comune di quante pensassi...”
Corrugai le sopracciglia nell'incertezza…
“...tutt'e due odiamo stesso uomo… tutt'e due teniamo ad uno di suoi figli…”
Sgranai gli occhi sentendo le guance tingersi di rosso… scossi il capo con decisione…
“Questa è la mia vendetta… solo questo…”
L'altra annuì facendosi indietro appena un po'…
“Sei davvero sicura?”
Tirai fuori la pistola dalla tasca e la strinsi forte nella mano… per quanto inaspettata, la presenza di Nataljia mi aveva scaldato l'anima... se da un lato sentivo di nuovo la paura, dall'altro sapevo di avere un mondo intero di ragioni per tentare quella follia… rivolsi gli occhi alla russa ed annuii con decisione…
Poi presi un lungo respiro e mi voltai verso la porta prendendo la maniglia nella mano… Feci per spingerla, ma mi bloccai ed ancora una volta rivolsi gli occhi a Nataljia…
“So che non siamo mai state amiche, ma ho bisogno che tu mi faccia un favore…”
Di nuovo il sopracciglio di Nataljia s'incurvò…
“Cosa?”
“Se Jet o qualcun altro dovesse arrivare mentre sono dentro ti prego, ti prego Nataljia, non lasciarlo passare…”
L'altra rimase basita per un secondo…
“Come?”
Scossi piano la testa…
“Non lo so... ma per favore, aiutami un'ultima volta…”
La donna dai grandi occhi scuri annuì, scambiando con me un ultimo sguardo d'intesa e speranza… la mia mano spinse forte sulla maniglia ed io mi ritrovai presto al punto di partenza, faccia a faccia con la porta del mio personale inferno o paradiso…
Le dita mi tremarono mentre si appoggiavano piano sul legno freddo e si preparavano a spingere…
Il momento era arrivato…
La porta si spalancò sotto le mie mani e la casa intera mi piombò addosso… eccolo lì… Piccoli occhi scuri mi fissavano come fossi un ragno apparso d'improvviso sul muro… eccolo lì… giacca grigia e lunga barba a coprirne le labbra velenose...
Eccolo lì…
“E adesso chi diavolo sei tu?”
Parte 17
“E adesso chi diavolo sei tu?”
Mille volte avevo visto quel viso… fotografie… scatti rubati… reportage… telecamere nascoste… ogni linea ed ogni piccolo dettaglio erano esattamente dove mi aspettavo che fossero, ma quegli occhi… il vuoto di quei piccoli occhi marroni mi inghiottì come una voragine… non c'era sorpresa e non c'era paura tra le pagliuzze dorate di quelle iridi, nulla che riconoscesse la mia presenza nella stanza… era come se non ci fossi, come se non esistessi… forse la mia vita era davvero finita sei anni prima nel bagno de La Salle de Paris…forse avevano sparato anche a me quel giorno… forse mi ero solo trascinata come uno spirito tra i viventi per tutto quel tempo… forse ero già morta…
Jack corrugò le sopracciglia mostrandosi basito per un secondo appena… lisciando il collo della giacca, accarezzò poi il liscio legno della sua scrivania e nascose le mani sulle ginocchia…
“E' opera tua questo blackout?”
Di nuovo la sua voce fredda e sfrontata… i miei occhi, incollati a quelli di lui, guardavano una scena totalmente diversa da quella che mi si parava davanti… il cuore batteva così forte nelle mie orecchie che quasi non riuscivo più a distinguerne i battiti, la mano destra, ormai più gelida del metallo, stringeva ancora la pistola, senza più la forza di sollevarla e mirare…
Era davvero il mostro che mi avevano descritto, capace di risucchiare tutta l'energia vitale di un essere in un solo sguardo, in grado di renderti una nullità ancor prima d'aprir bocca…
“Hai intenzione di parlare o no ragazzina?”
Le mie dita si strinsero attorno al ferro ed il mio indice accarezzò piano il grilletto… i miei occhi si chiusero per un solo secondo, abbastanza lungo da ricordare finalmente perché fossi lì… il sorriso di mia madre ed il sudore di mio padre…le carezze della sera e la terribile sveglia del mattino… l'allenamento delle cheerleaders e gli scontri a corpo libero… Le costole incrinate e la mano sempre calda di Heinrich... i regali di Natale e le lacrime salate… un funerale doppio e mille scatoloni da riempire…
Ingoia l'amaro della mia bocca e sollevai le braccia, arma stretta tra le dita e piedi ben piantati al terreno… questa è la fine… questo è il momento…
“Il mio nome è Françoise... Françoise Arnaul...”
E il mostro sfoderò un sorriso, senza neanche degnare la pistola d'uno sguardo…
“Ci conosciamo?”
E di nuovo ero nessuno… soltanto una macchia scura sul tappeto, un'insignificante visino pallido che non spaventava neanche le mosche… il cuore vacillò nel petto, ma i miei occhi non mollarono la presa, nemmeno per una frazione di secondo… avvolta nella semioscurità le mie guance avrebbero potuto infiammarsi e le mie ginocchia tremare, ma nessuno se ne sarebbe accorto, nessuno avrebbe mai saputo che avevo paura… ancora una volta sentii nelle orecchie l'applauso del pubblico dopo lo spettacolo di fine anno del liceo… l'orgoglio era sbocciato nel mio petto ed il sorriso mi era esploso in volto… sentii la carezza di Albert, bollente sulla mia guancia destra…
“Sei la donna più bella e più forte che abbia mai visto crescere… le tue ossa potranno spezzarsi e le tue ferite sanguinare, ma continua a tenerli fuori Françoise...”
Il polpastrello ruvido aveva battuto delicatamente sulla mia tempia…
“...tienili fuori da qui...”
Lo stesso dito aveva battuto il mio petto con più decisione…
“...tienili fuori da qui ...”
Il suo sorriso aveva brillato fiero…
“...tieni tutti fuori e sarai invincibile figlia mia…”
Riempii i polmoni d'aria e chiusi i boccaporti del mio povero cuore… io ero il Fantasma Nero… io ero la Fenice...
“Potrei raccontarti di me e della mia famiglia...”
Con lo sdegno più puro sulla lingua strinsi la presa e mi preparai a premere il grilletto…
“...ma non meriti che io sprechi anche solo un altro secondo parlando con te…”
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“Jet...”
“Jet!”
“JET!”
La mia voce rimbombava nella stanza, inutile e stanca contro le pareti insonorizzate… le mani ormai ferite cercavano ancora di liberarsi, ignare che mai avrebbero potuto sfondare una porta blindata… il ritorno della luce aveva ferito i miei occhi come una lama nel petto… non era arrivata… Françoise non era venuta a liberarmi… eppure la corrente era saltata, quindi lei c'era, aveva seguito il mio piano fino alla casa e poi... l'avevano presa? Erano riusciti a bloccarla? L'avevano già ammazzata? Una voce strisciante nel retro della mia mente continuava a ripetere che no, la ragazzina era ancora viva e vegeta, solo mi aveva tagliato fuori, si era liberata di me nel momento più opportuno ed era corsa a fare a modo suo…
“JET!”
Un altro pugno nello stomaco mi colpì… non poteva farcela, non da sola… non dentro quella casa degli orrori… troppi uomini e troppa tensione… di nuovo mi chiesi se non fosse già morta…
“JET!”
La telecamera di fronte al mio viso stava certo trasmettendo l'immagine scomposta dei miei patetici tentativi di liberarmi, rabbia ed agitazione sul mio viso e nella mia voce…
“JET!”
Finalmente la sentii aprirsi e la grande porta metallica strisciò sul pavimento più lenta di quanto potessi sopportare…
“Fammi uscire da qui!”
Urlai prima ancora di vederlo entrare nella stanza… Jet mi guardò stupito e confuso…
“Ti avevo chiesto di calmarti…”
Mi sollevai sulla sedia ancora una volta…
“Devi farmi uscire da qui immediatamente Jet...”
Il tono assertivo non bastò per convincerlo all'istante…
“Non ho alcuna intenzione di liberarti in questo stato…”
Grugnii cercando per la millesima volta di liberarmi dalle manette…
“DEVI farmi uscire!”
Jet cercò i miei occhi…
“Perché?”
“Non sono venuto qui da solo Jet...”
Lui corrugò la fronte…
“Di cosa stai parlando? Che cosa hai fatto Joe?”
Mi morsi le labbra…
“Ero qui per distrarti...”
Gli occhi di Jet si strinsero nei miei…
“...ho detto a Françoise come far saltare la corrente ed entrare in casa... sarebbe dovuta venire a liberarmi quasi mezz'ora fa…”
Jet abbassò gli occhi per un momento…
“Probabilmente è già morta…”
Ignorai il brivido lungo la schiena e tesi i muscoli ancora una volta… scossi il capo davanti all'altro…
“Credo abbia deciso di affrontare Jack da sola…”
Jet sollevò un sopracciglio…
“Allora è sicuramente già morta…”
Ancora una volta scossi la testa, fissando mio fratello…
“Non sottovalutarla Jet… lo odia… forse anche più di noi…”
“Andrò a controllare...”
Sentenziò facendosi vicino alla porta… tirai ancora forte, sperando che finalmente il pollice si dislocasse e potessi liberarmi per conto mio…
“Jet fammi uscire!”
L'altro prese un lungo respiro…
“Non posso fidarmi di te…”
Mi voltò le spalle, ma io insistetti dimenandomi sulla sedia…
“Jet!... Jet ti prego...”
Lui si fermò sulla soglia…
“...per favore... non m'importa del piano… voglio solo uscire da qui…”
Jet si bagnò le labbra e palesò ciò che era riuscito a leggere nella mia testa, per quanto strano suonasse…
“Vuoi assicurarti che lei stia bene…”
Abbassai lo sguardo, ma non replicai... la vergogna in quel momento opprimeva forte il mio petto, ma non avrei perso quell'appiglio per uscire da lì… Françoise era da qualche parte in quella casa e per quanto fosse forte e motivata, non poteva affrontare il mostro da sola… il mostro l'avrebbe schiacciata come un moscerino…
Jet si avvicinò a me ed ancora una volta piegò le ginocchia al mio livello…
“Sei innamorato di lei…”
Presi coraggio e finalmente sollevai la testa…
“Fammi uscire da qui…”
Saltai a piè pari l'imbarazzo e le giustificazioni, chiedendo ciò che in quel momento importava davvero… Jet prese fiato e finalmente si decise a liberare le mie mani dolenti... Balzammo in piedi e senza bisogno di dire altro prendemmo a correre su per le scale, diretti verso il silenzioso studio di Jack Shimamura...
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Nataljia marciava a passi svelti da un lato all'altro del corridoio, mordendosi le mani come un topo in gabbia… poteva andarsene… poteva fregarsene di ciò che Françoise aveva chiesto e fuggire il più lontano possibile… eppure era ancora lì… il silenzio che proveniva dallo studio era ormai preoccupante… in quella mancanza di suoni continuava a chiedersi cosa avrebbe potuto e dovuto fare… la ragazza di Heinrich stava rincorrendo il suicidio per farle un favore, per fare un grosso favore al mondo intero… aspettava con ansia di sentire almeno uno sparo o due, segno che quella tortura in un modo o nell'altra fosse finita… se fosse toccato a Françoise, beh, avrebbe ancora avuto l'opzione della fuga…
Appena quel pensiero le sfiorava la mente, l'acidità le prendeva lo stomaco… non sarebbe fuggita ancora una volta per colpa di Jack... si voltò verso la porta, forse sarebbe dovuta entrare e darle una mano… non le sarebbe davvero dispiaciuto strappare la carne di quel verme a mani nude… le dita fremettero al pensiero di vendicare con le proprie forze quel che lui le aveva tolto…
Fu quasi sul punto di muoversi quando sentì passi svelti alle sue spalle… ruotò immediatamente il busto e subito le gambe seguirono il movimento… strinse i pugni ripensando a ciò che Françoise ed i gemelli Ryce le avevano insegnato… dove colpire per rompere un naso, quanto forte calciare per togliere il fiato…
Quando la prima figura voltò l'angolo, i suoi occhi faticarono nel mettere a fuoco la sagoma di Joe… subito dietro di lui niente meno che suo marito… Nataljia puntò i piedi al centro del corridoio, decidendo di far fede alla promessa fatta alla ragazza sparita, forse per sempre, dietro quella porta…
“Nataljia...”
Joe frenò suo malgrado, apostrofandola con sorpresa e palpabile sdegno…
“...fammi passare…”
La russa gli si parò davanti in tutta la sua minuta stazza, lo sguardo abbastanza aguzzo da far capire subito le sue intenzioni... dietro di lui Jet faticò nel trovare da solo una spiegazione plausibile…
“Che ci fai tu qui Nataljia?”
Sua moglie cercò d'ignorare l'incertezza che quella voce le smuoveva dentro e non si mosse d'un millimetro… Joe avanzò con la sua mole…
“Togliti di mezzo…”
Nataljia ricambiò i suoi occhi con la stessa decisione…
“È lì dentro, vero?”
Insistette lui mentre l'ansia montava… non fosse stato per suo fratello, avrebbe già tolto la russa di mezzo senza troppa delicatezza…
“Sì... e nessuno può entrare…”
Tanto gli bastava… cercò di oltrepassare Nataljia, ma lei lo respinse a palmi aperti…
“Non andrai lì dentro…”
“Che stai facendo Nataljia?”
Finalmente Jet s'inserì nella conversazione, consapevole che forse anche sua moglie era parte di questo piano alle sue spalle… ecco il perché delle sue dolci maniere e dell'amore ritrovato… tutto portava lì ancora una volta, non è vero?
Nataljia gli regalò uno sguardo veloce…
“Aiuto la mia amica…”
“Cosa?”
Jet aggrottò le sopracciglia, onestamente perso nella scena che stava vivendo…
“Lasciami passare…”
Di nuovo uno scambio di occhiate come uno scontro di spade, Joe incalzava premendo contro le piccole mani della cognata, appigliandosi all'ultimo brandello di decenza prima di sbatterla al muro e raggiungere lo studio…
“È sua vendetta…”
Joe scosse la testa…
“Non può farcela da sola!”
“Non puoi fermarla!”
Lui le afferrò i polsi…
“Non voglio fermarla…”
Nataljia si perse in quella confusione di voci e pensieri cercando di capire cosa dovesse fare… perché diavolo non succedeva ancora niente? Cosa doveva fare a quel punto? I suoi grandi occhi scuri rimbalzarono da un fratello all'altro prima di fermarsi su Joe... sembrava stressato, frustrato, preoccupato persino… stando alle parole di Françoise era un alleato, non un nemico… poteva fidarsi di lui? Inconsapevolmente allentò la presa, quasi decisa a farsi da parte…
Il respiro di Joe si rilassò appena...
Due spari…
...ed immediatamente morì dentro…
Due spari… due spari forti e ravvicinati…
Era successo… era finita…
Che si trattasse di Jack o di Françoise, quella lenta agonia era finalmente finita…
A cervello spento e col gelo nel cuore Joe sorpassò l'ormai minuscola sagoma di Nataljia e coprì a lunghi passi la breve infinita distanza tra lui e la sua fine… spalancò la grande porta ad occhi chiusi, pregando un dio in cui nemmeno credeva affinché riaprendoli potesse vedere solo il sorriso della sua ragazzina…
Jet fissò gli occhi spalancati di sua moglie… le avrebbe dato la colpa? Sarebbe finalmente riuscito ad odiarla come tanto sperava? Come avrebbero potuto sopravvivere anche a questo?
Decise di seguire suo fratello, ma immediatamente si scontrò contro il corpo rigido di quella donna, la stessa che forse non avrebbe più riconosciuto…
“No…”
Lei lo spinse indietro con tutte le sue forze…
“Cosa?”
Non l'avrebbe sopportato… non adesso, non senza sapere se quell'impero era davvero improvvisamente caduto tra le sue mani…
“Non andrai lì dentro…”
Era ferma e gelida, ancor più fredda di quanto non fosse mai stata… i pugni chiusi tremavano contro la curva dei suoi fianchi ed i suoi grandi occhi scuri andavano velandosi di lacrime e paura… quasi sembrava più spaventata di lui…
“Devo sapere cos'è successo!”
Sentenziò spostandola con un colpo di spalla, ma Nataljia fu pronta ad afferrarlo per il polso…
“Spero sia morto…”
La cattiveria delle sue poche parole grondava di lacrime non ancora versate…
“Tu non sai...”
Jet la bloccò subito liberandosi il polso in malo modo…
“Non ho tempo per le tue stupidaggini adesso!”
Era già due passi avanti a lei quando finalmente Nataljia aprì bocca…
“Non vuoi sapere verità?”
L'accento sovietico tornò ad arrotarsi prepotente sulla sua lingua, segno che stava perdendo il suo amato controllo… Jet esitò per un momento, ma non si voltò neanche…
“Tu non sei capace di dire alcuna verità…”
Aveva già deciso di lasciarla in quell'angolo e tagliarla fuori… se Jack fosse morto non avrebbe perso solo un padre ed un fratello, ma anche una moglie… Nataljia guardò la sua schiena allontanarsi veloce e raccolse il suo coraggio…
“È stato lui!”
Non fu abbastanza… suo marito continuava ad avvicinarsi pericolosamente a quella soglia, divenuta ormai il simbolico confine tra il futuro che aveva cercato di costruire e la misera fine di ogni ingenua speranza…
“Lui ha mandato via me!”
Urlò di nuovo, più forte di prima… lui s'irrigidì ed i suoi passi rallentarono senza fermarsi... Nataljia si riempì i polmoni quasi fino a scoppiare…
“Non ho lasciato te...”
Forse avrebbe dovuto strillare ancora una volta, ma suo malgrado quelle parole uscirono balbettate e spaventate… Jet finalmente si fermò…
“...lui mi ha obbligata…”
Stavolta suo marito si voltò, trovandola piccola e tremante… le sue labbra schiuse vibravano d'aspettativa…
“Vuoi sapere la verità Jet?”
Gli domandò… lui buttò gli occhi alla porta di suo padre ancora una volta…
“Adesso o mai più…”
Nataljia aveva finito gli appelli ed aveva ragione, una volta varcata quella soglia nulla sarebbe più stato uguale… se ne avessero trascinato fuori il cadavere di Jack lui non l'avrebbe più guardata negli occhi in quel modo, forse per mesi, forse per anni, forse per sempre… se invece fossero finiti a seppellire Françoise Arnaul ogni sua speranza sarebbe marcita sotto terra assieme a lei… Jack l'avrebbe fatta presto sparire, ne era più che sicura…
Jet si bagnò nervosamente le labbra e tornò indietro di un passo…
“Posso darti un minuto… niente di più…”
Come poteva tutta la loro vita non vissuta stare in un solo misero minuto?
Annuendo in silenzio lo raggiunse senza toccarlo…
“Ero appena tornata a casa quella sera...”
Stava piovendo… le goccioline sbattevano sul parabrezza dell'auto con un ritmo lento ed incessante, spezzato solo dal calmo andirivieni del tergicristalli… l'autista proseguiva verso casa senza fretta, del tutto ignaro del suo cuore, ben più battente della pioggia… Nataljia stringeva la bustina tra le mani, trepidante e terrorizzata allo stesso tempo…
Era corsa in casa senza nemmeno aprire l'ombrello, fregandosene dei capelli bagnati e delle impronte sul tappeto persiano… voleva solo un tè caldo e magari un paio di biscotti in attesa che Jet finalmente rincasasse…
Forse avrebbe dormito fuori anche stanotte…
Scacciando il pensiero poggiò la bustina sul bancone della cucina ed inserì la spina del bollitore…
Due colpi al portone…
Buttò gli occhi all'orologio… quasi le dieci… chi poteva essere?
La sua espressione cadde a picco trovando Jack sotto il suo portico, un sorriso plastico dipinto sul suo viso ed una bottiglia di champagne nella mano destra… si fece avanti senza chiedere il permesso, riempendo la stanza di gelo come ad ogni sua visita… Nataljia mandò giù l'inevitabile timore che lui le suscitava ed accennò un sorriso di circostanza…
“Cosa potere fare per te Jack?”
Lui arricciò il naso come avesse sentito lo stridìo di una forchetta sul piatto… con tanto tempo da perdere la cara Smirnova avrebbe almeno potuto perfezionare il suo inglese… Sollevò la bottiglia…
“Sono qui per festeggiare!”
Lei guardò la bustina marrone ancora in cucina e scosse il capo… era sì il terzo test che comprava, ma non ne aveva fatta parola né con Jet né con altri… era impossibile che sapesse… vero?
“Festeggiare cosa?”
La sua falsa ignoranza diede ai nervi del suocero che presto poggiò lo champagne sul tavolo e la fulminò col suo sguardo…
“Avrò presto un nipote… non ti sembra un evento da festeggiare?”
Prese a scartare la bottiglia…
“So che tu non dovresti bere nel tuo stato, ma andiamo, cosa vuoi che succeda per un goccetto?”
Nataljia divenne di pietra nell'istante in cui il tappo saltò fuori col suo classico «pop»…
“Come... come sai?”
La lingua le si era incollata al palato e tutta quella sceneggiata sapeva improvvisamente di preludio alla tragedia… lui sfoderò un altro sorriso, facendo brillare i denti tra la folta barba scura…
“Davvero credi che non controlli ogni tua mossa?”
Buttò lì con leggerezza, andandosi a cercare un bicchiere degno dell'occasione… Nataljia sentì il respiro che accelerava ed istintivamente cercò la porta con gli occhi…
“Conosco ogni tuo spostamento… ogni cosa che fai, dove, quando e come la fai...”
Ingoiò tutto d'un fiato la prima flute di bollicine…
“...ma devo dartene atto… questa non me l'aspettavo…”
Nataljia portò il palmo sinistro sulla pancia…
“Io nemmeno…”
Rispose in un sussurro, ma lui scrollò le spalle e mollò il bicchiere per avvicinarla…
“Piccola dolce Smirnova...”
Nataljia indietreggiò fino a raggiungere la parete, lui le fu presto davanti, alto e possente…
“...così giovane ed innocente...”
Le nocche ruvide di Jack le sfiorarono il viso e lei si voltò immediatamente per evitare quel fastidioso contatto… suo suocero le afferrò il mento con decisione e la obbligò a guardarlo…
“...credo che tu sia molto più furba di quanto non voglia dare a vedere…”
Lei sgranò gli occhi… non avrebbe saputo come difendersi se quell'assalto fosse continuato… fortunatamente Jack mollò presto la presa e tornò a dissetarsi…
“Ti ho lasciato sposare mio figlio per poter siglare un contratto...”
Di nuovo quel tono pacato l'accarezzava con false attenzioni…
“...di certo non volevo che lo trasformassi in un bamboccio malato d'amore…”
Con disprezzo tornò a guardarla, dall'alto in basso… si leccò le labbra e di nuovo le fu vicino…
“Sono certo che si stia davvero bene tra le tue gambe Nataljia...”
Lei rispose con una smorfia di disgusto… Jack rise, stavolta accarezzandole i capelli…
“...anche a me piace la carne giovane e profumata…”
Nataljia si liberò dalle sue grinfie e corse all'altro lato della stanza…
“Non toccarmi!”
Lui rise di nuovo versandosi il terzo bicchiere…
“Sto solo dicendo che capisco Jet….ma un figlio?”
Buttò giù tutto ancora una volta…
“Un figlio crea troppe complicazioni, non credi anche tu?”
“No…”
Ribatté con decisione… ne era felice, assolutamente felice, e lui non avrebbe distrutto quel momento… Jack fu di un'altra opinione, il suo sorriso sparì ed il volto gli si fece nero in un istante…
“Non stavo davvero chiedendo la tua opinione...”
Stavolta la raggiunse minaccioso… afferrò una ciocca dei suoi lunghi capelli nel pugno e strattonò senza grazia, ignorando il suo lamento di dolore…
“Non ti lascerò rovinare mio figlio stupida russa…”
L'atmosfera piombò nel terrore in pochi istanti e Nataljia si trovò nuovamente spinta al muro con un tonfo secco…
“Lui ama me…”
Tentò di difendersi, ovviamente con le parole sbagliate…
“Lui è il mio figlio migliore...”
Esordì afferrandole la faccia e battendole la testa al muro…
“...ho passato anni a plasmarlo a mia immagine e di certo non ti lascerò rovinare tutto…”
Le si avvicinò tanto da sfiorare il naso di Nataljia col proprio, mischiando il fiato alcolico a quello di lei…
“Quindi io e te faremo un accordo adesso, intesi?”
Nataljia cercò di dimenarsi, ma lui la inchiodò ancora una volta col suo peso…
“Lascia che ti elenchi le opzioni...”
Le cinse la vita sottile con la sinistra, stringendo più del dovuto mentre il ruvido della sua barba pizzicava il lobo dell’orecchio della nuora…
“...puoi avere questo bambino e darlo a me non appena sarà nato… posso farne un altro ottimo guerriero...”
“NO!”
Niente di più scontato… Jack strinse ancora un po'…
“Bene… allora non avrai nessun bambino…”
Nataljia si dimenò più forte che poteva leggendo tra le righe di quelle parole… non avrebbe mai abortito…
“Lasciami!”
Jack stavolta sembrò più scocciato che divertito… voltò il viso di Nataljia perché i loro occhi potessero incrociarsi e si leccò le labbra ancora una volta… la mano che le cingeva la vita mollò la presa per impugnare quanta più stoffa del suo vestito potesse, tirando su con decisione… lei si mosse disperatamente come un'anguilla, ma non vi era confronto…
“Di quante settimane sei? Tre? Forse quattro?”
Mentre le scopriva le gambe sembrava tutt'intento a fare i suoi calcoli, sempre e comunque freddo come un robot… ciò che non sembrava affatto freddo erano le sue mani che cercavano di ficcarsi sotto la gonna e tra le sue gambe…
“No no no no no…”
I suoi lamenti erano ormai solo un inutile sottofondo… con la gamba l'aveva già obbligata ad allargare le ginocchia e le sue dita erano inesorabilmente riuscite ad accarezzare la sua parte più privata attraverso la biancheria… quell'unico gemito di soddisfazione che Jack pronunciò nel suo orecchio la convinse che presto avrebbe vomitato… i pugni di Nataljia sulla schiena lo sfioravano appena…
“Abbastanza presto da instillare il dubbio...”
L'altra mano di Jack mollò la presa per cercare uno dei suoi seni…
“...potrei scoparti qui ed ora come la troia che sei...”
Le si spalmò addosso tornando a sussurrarle nell'orecchio…
“...ti piacerebbe credimi...”
Lei trattenne un conato…
“...ma non piacerebbe a Jet…”
Le sue manovre si bloccarono di colpo e tornò a fissare le sue iridi terrorizzate…
“Come pensi che ti guarderebbe dovendosi chiedere ogni giorno se porti in grembo suo figlio o suo fratello?”
Nataljia approfittò immediatamente di quel piccolo varco e fuggì il più lontano possibile per riprendere fiato…
“Jet non può credere questo…”
Lui sorrise vittorioso…
“Ci crederebbe invece… lui ascolta ogni mia parola e tu lo sai...”
Nataljia strinse i denti… davvero non aveva armi contro quel mostro… si calmò abbastanza da riuscire a stare dritta e tirò su col naso, cercando di riprendere quanto più contegno possibile…
“Io voglio mio bambino...”
Lui non sbottò nuovamente come poteva immaginarsi, bensì si versò l'ennesimo bicchiere come niente fosse…
“Benissimo… vattene allora…”
La russa scosse il capo ancora stordita…
“Cosa?”
Jack poggiò il bicchiere per l'ultima volta e le rivolse lo sguardo più autoritario che avesse mai ricevuto…
“Vattene da qui… stanotte… subito… prendi tutte le tue cose e sparisci il più lontano possibile senza mai tornare… penserò io a Jet...”
Nataljia aprì la bocca, ma lui la bloccò con un solo cenno dell'indice…
“Se sarai ancora qui domani, il bastardo che porti in grembo non sarà l'unico a dire addio alla sua vita…”
Non appena ebbe finito quel racconto, durato forse un minuto forse un'ora, le parve di aver finito anche tutte le lacrime che aveva in corpo… era leggera adesso, era leggera e pulita, non aveva più bisogno di piangere… cercò Jet e lo trovò più vicino di quanto ricordasse… anche i suoi occhi piangevano in silenzio, il suo viso rigato di lacrime per la prima volta di fronte ad una donna che non fosse sua madre… il pallore sulle sue guance a conferma di aver vissuto quel terribile ricordo con lei… quel padre che aveva apparentemente distrutto ogni cosa, davvero ogni cosa…
Fu lui a muoversi per primo, provando a toccarle la pancia, ma immediatamente ritraendo la mano…
“Tu...”
Sussurrò appena… non c'era bisogno di chiederlo a parole… Nataljia abbassò il viso e scosse la testa…
“No… ho perso il bambino... ad undici settimane... su un treno per il Nevada…”
Jet strinse i denti come se avesse preso un colpo allo stomaco… lei inspirò…
“Tutto è finito quella notte… ha fatto male e...”
“Ti prego fermati…”
Lei si zittì, ma solo per una manciata di secondi…
“Merita di morire…”
Aggiunse per chiudere quel cerchio, scacciando quei terribili ricordi ancora una volta nel buio della sua mente… era scesa da quel treno vuota e decisa, ripartendo il più presto possibile in senso contrario… lei non avrebbe potuto far nulla contro Jack, ma qualcun altro forse sì… i Fantasmi Neri… così li chiamava Jet ed a quello strano nome tutta la casata sembrava tremare per un istante… se erano abbastanza forti da spaventare gli Shimamura, allora forse avrebbero potuto aiutarla a schiacciare Jack come il verme che era… li avrebbe trovati, li avrebbe trovati e pregati… sarebbe diventata una di loro fosse stato necessario… quel crimine non sarebbe rimasto impunito…
“Lo so…”
Rispose Jet tornando a guardare la grande porta in fondo al corridoio…
Parte 18
A cervello spento e col gelo nel cuore sorpassai l'ormai minuscola sagoma di Nataljia e coprii a lunghi passi la breve infinita distanza tra me e la mia fine… spalancai la grande porta ad occhi chiusi, pregando un dio in cui nemmeno credevo affinché riaprendoli potessi vedere solo il sorriso della mia ragazzina…
Non appena le mie palpebre si sollevarono la mia vista fu subito ferita dall'immagine di Jack, vivo e vegeto, che mi dava le spalle… stringendo i pugni e prendendo fiato lasciai scorrere gli occhi verso il pavimento e proprio lì, nell'angolo destro, le mie peggiori paure presero vita nella sagoma sdraiata di Françoise… senza troppa grazia se ne stava prona sul pavimento gelido, il viso addormentato e la pistola abbandonata poco distante… sotto il suo corpo la pozzanghera di sangue carminio andava allargandosi nel silenzio più totale…
Lasciai che lo shock del momento risucchiasse tutta l'aria dai miei polmoni ed il sangue dal mio cervello… a stento riuscii a voltare di nuovo il capo verso l'altra persona viva nella stanza… Jack si voltò impassibile come sempre, le mani impegnate a lucidare l'arma che aveva appena usato per sparare, scrutò il mio viso sollevando il sopracciglio…
“Ti senti bene figliolo?”
Quella parola mi graffiò come una lama in volto ed i miei occhi tornarono a fissare la pace di Françoise sul pavimento… Jack seguì pigramente la traiettoria del mio sguardo e ripose l'arma sulla scrivania…
“Era roba tua?”
Chiese atono, parlando di lei come fosse una cosa qualsiasi gettata a terra… la prima ondata di sangue bollente si riversò nelle mie mani tremanti, mentre l'altro proseguiva, osando addirittura un sorriso sardonico…
“Avrei dovuto immaginarlo… tutti i miei figli hanno pessimo gusto in fatto di donne…”
Stavolta fu un rigurgito di bile ad affacciarsi alla mia bocca, amaro com'era amaro e pungente l'odore in quella stanza… Jack abbandonò la sua posizione di trionfo e raggiunse il carrello degli alcolici per versarsi due dita di whisky…
“Ne vuoi?”
Domandò, ma non ottenne risposta… ero ormai una statua al centro dello studio, il viso bianco come la maglietta sudata che indossavo…
“Bella ragazza senza dubbio... troppo giovane... e sicuramente troppo lenta...”
Continuava a parlarne come se non fosse davvero lì, sdraiata a morire sul suo prezioso parquet, come se non avesse alcuna importanza…
“Sei stato tu a mandarla qui?”
Ancora niente…
“Avresti potuto almeno insegnarle qualcosa di meglio…”
Mi lasciai ferire anche da quel subdolo mascherato tentativo di addossarmi la colpa… le vene del collo iniziarono a pulsarmi forte fin dentro le orecchie ed il fischio acuto nella mia testa coprì finalmente la voce fastidiosa di Jack...
“Ti ho addestrato meglio di così…”
Scolata l'ultima lacrima di liquido dorato il più anziano poggiò il bicchiere e finalmente si voltò… i suoi occhi scuri incrociarono il mio sguardo in fiamme… scuro in volto come pece, digrignavo i denti ed espiravo fumo invisibile dalle narici… le mani strette tremavano visibilmente ed il petto andava su e giù, veloce sotto la chiazza di sudore che mii si stendeva sul petto… le pupille divenute puntini fissavano la meta come un toro fissa il telo rosso prima di caricare…
Un ringhio profondo e spaventoso vibrò nella mia gola mentre le nocche si facevano bianche… un grido di puro disprezzo eruppe dalle mie labbra rimbombando nella stanza chiusa, i miei piedi si mossero senza controllo ed il mio pugno serrato si scontrò senza remore contro il volto dell'uomo che mi aveva cresciuto… Jack barcollò cadendo contro la libreria di sinistra… vetro e legno si frantumarono a terra, mischiando il loro fragore alle mie urla disperate… un pugno ed un altro… ed un altro ancora… Jack incassava in silenzio come un vero boss, stampandosi in viso il più autentico ed inquietante sorriso divertito… gli colpii il naso mentre l'altro mi rideva in faccia, deciso a trattarmi come feccia fino all'ultimo…
“Questo è per mamma!”
Gli urlai contro assestando l'ennesimo colpo allo zigomo… ormai non riuscivo più a vedere il volto di mio padre sotto la maschera di sangue che andavo dipingendo a suon di pugni, ormai la mia testa era occupata solo dall'andirivieni di immagini, ricordi e fantasie che per anni avevo represso… il viso di mia madre, le carezze nascoste, le ronde notturne, il braccio spezzato e l'ipocrita torta delle domenica… il vestito blu che Françoise indossava sull'aereo, lo shampoo all'albicocca e le sue lacrime addosso… ogni pensiero rifiutato andava riprendendosi il proprio posto, scansando a calci gli ultimi brandelli di rispetto rimasti per quel figlio di puttana che mi aveva dato nulla più che un nome altisonante… le mie nude mani facevano male, ma non abbastanza da volermi fermare… l'avrei ucciso lì e adesso, con le mie sole dita…
“E questo è per lei!”
Ancora un altro pugno, ancora le mie nocche contro qualcosa di viscido e scricchiolante allo stesso tempo… tutto il resto non esisteva più, il mio sogno finalmente si stava realizzando, il mio demone si stava scatenando ed i miei occhi, i miei occhi stanchi non avrebbero più visto quel brutto muso… trattenendo Jack per il collo della camicia, respirai a fondo sollevando il pugno… non mi sentivo più le dita e tutto il braccio parve dolermi di colpo… l'unico padre che avessi mai conosciuto respirava ancora, l'occhio destro, appena aperto, mi guardava con più rispetto di quanto non ne avessi mai avuto in una vita… la sua folta barba grondava del sangue che aveva sputato ed il suo petto si alzava e abbassava senza sosta…
“Bravo figliolo...”
Raspò tra sangue e saliva…
“...ecco cosa ti ho insegnato…”
Strinsi i denti caricando l'unica arma a mia disposizione… un ultimo colpo ben assestato e gli avrei spezzato il collo, liberandomi per sempre dell'uomo che ancora una volta si era preso tutto… mia madre, la mia gioventù, la donna di cui mi ero innamorato… solo un ultimo colpo...
“Fermati…”
Jet... la straziante, terribile voce di Jet... il braccio mi si bloccò a mezz'aria nonostante non volessi…
“Fermati Joe...”
La voce lenta, ferma, tranquilla quasi… il sangue mi ribollì nelle vene ancora una volta…
“Merita di morire!”
Urlai in faccia a Jack, ancora stretto e barcollante nella mia presa…
“Lo so... ma non così…”
Voltai il capo senza mollare la stretta, gli occhi rivolti a mio fratello… Jet si fece strada nella stanza e ci raggiunse…
“Credo che abbiamo tutti bisogno di un drink…”
Si avvicinò al carrello degli alcolici, mise tre bicchieri in fila e lentamente li riempì dando le spalle alla scena… poggiò il primo drink nel disordine della scrivania e poi, calpestando vetri e polvere, arrivò fino a me… cercò i miei occhi e con tutta calma mi porse il secondo…
“Lascialo…”
Intimò… una scintilla gli percorse le pupille, mentre il suo sguardo percorreva la breve strada tra il mio viso e le mie dita strette attorno al collo di Jack... tornò a guardarmi con lo stesso fuoco negli occhi… ingoiai a forza l'adrenalina che ancora mi scorreva dentro... c'era qualcosa in quell'occhiata fiera e decisa, qualcosa che non potevo decifrare, ma che mi spinse comunque a mollare la presa…
Jack si abbandonò con un tonfo sul legno e, curvo su se stesso, prese a tossire sangue e saliva…
“E adesso bevi…”
Afferrai con disdegno il bicchiere dalla mano di Jet e, senza lasciare i suoi occhi, digrignai i denti un'ultima volta prima di mandar giù… l’altro annuì in maniera impercettibile e tornò indietro per recuperare il suo scotch…
Jack si tirò finalmente su e si riempì i polmoni a fatica… gonfio e livido, non mancò comunque di sorridere vittorioso…
“Ce ne hai messo di tempo Jet...”
Si schiarì la voce cercando di ricomporsi…
“...il mio figlio migliore…”
Sentii le mani tremare di nuovo e poco mancò che di nuovo partissi all'attacco, stavolta per finire l'opera…
“Fermo...”
Nuovamente Jet mi bloccò, avanzando verso di noi… alzando le spalle cercò gli occhi dell'uomo che gli aveva dato la vita…
“Hai ucciso tu nostra madre?”
L'altro sembrò per nulla colto di sorpresa dalla domanda diretta, si passò il dorso della mano sulla bocca…
“Dopo il modo in cui mi ha mancato di rispetto?”
Il suo occhio buono mi guardò con disprezzo…
“Il modo in cui ha disonorato la famiglia?”
Si tirò su all'altezza del suo figlio prediletto
“Sì… l'ho uccisa… ho vendicato il mio nome... ed anche il tuo…”
Jet chiuse gli occhi per un istante o due, ascoltando nel silenzio solo il mio ringhio furioso... ogni secondo diventava più difficile star fermo e comunque, qualsiasi strana cosa Jet avesse in mente, quel bastardo non sarebbe mai uscito vivo dalla stanza… mai e poi mai…
“Non essere arrabbiato figliolo...”
Riprese Jack afferrando la poltrona per tenersi in piedi e darsi nuovamente un tono…
“...sai bene come funziona… il perdono rende deboli e noi non siamo deboli!”
Sottolineò con fierezza accarezzando la pelle sotto il suo palmo, lanciandomi un'occhiata compiaciuta e quasi divertita… Jet indietreggiò di un passo facendosi più vicino a me…
“Giusto…”
Rispose atono, scatenando ancora una volta il mio pieno stupore…
“Ma che cazzo stai dicendo?”
Lui scrollò le spalle…
“Ci sono cose che non possono essere perdonate Joe...”
Lasciando il mio sguardo si diresse di nuovo verso Jack…
“...cose che nessun uomo dovrebbe sopportare...”
Si sollevò in tutta la sua fierezza…
“...soprattutto uno di noi...”
Jack storse le labbra livide in un fiero sorriso… sollevò il bicchiere e l'avvicinò al naso per apprezzare l'odore della vittoria…
“Hai costretto Nataljia ad andarsene?”
Le labbra di Jack si serrarono appena prima che potesse assaporare il velluto di quella bevanda pregiata…
“Non crederai mica a quell'arrampicatrice sociale figliolo?”
Jet rimase in piedi, facendosi più rigido di prima…
Jack tornò allora a sedersi sulla sua amata poltrona…
“Va bene, va bene, va bene...”
Incrociò le mani sullo stomaco…
“...ammetto di aver detto delle cose che potrebbero averla spinta ad andarsene...”
Di fronte allo sguardo ancor più vitreo di suo figlio, sbatté i palmi sulla scrivania…
“Ma l'ho fatto per te figliolo, perché non potevo sopportare che ti trattasse come un burattino, che ti manipolasse come un patetico cucciolo innamorato...”
Balzò di nuovo in piedi e puntò l'indice contro Jet
“...tu sei l'erede del mio impero, il più forte, il più intelligente... il figlio che ho cresciuto con orgoglio e dedizione... tu non sei un debole... nessuna donna vale più del tuo nome, tanto meno quell'insignificante Smirnova ed i frutti del suo sporco ventre!”
Nonostante le carezze del diavolo, il figlio prediletto non si smosse di un millimetro…
“Jet...”
Tornai a farmi sentire… non capivo più di cosa mio padre stesse parlando, ma dovevo assolutamente svegliare mio fratello da quel coma apparente prima che Jack completasse il suo incantesimo…
“...non ascoltarlo!”
Come poteva farsi abbindolare ancora una volta? Come poteva?
E Jet finalmente si mosse… sospirando abbassò il capo per guardarmi con la coda dell'occhio…
“Perché no? In fondo ha ragione...”
A passi lenti, accompagnato dal mio sconcerto, raggiunse il carrello ed afferrò il proprio drink, finora ignorato…
“...ed è tempo che renda onore al mio nome…”
Detto ciò si voltò verso Jack e con la schiena dritta ed il mento sollevato, innalzò il bicchiere a mezz'aria proponendo un brindisi silenzioso… Jack si gonfiò il petto d'orgoglio e contrasse le labbra livide in un sorriso pieno… era talmente fiero di sé che sarebbe potuto scoppiare come la rana dalla bocca larga narrata da Fedro… raccolse il drink e rispose al gesto senza pensarci due volte…
“A te figlio mio…”
Tuonò trionfante guardando non Jet, bensì me... quel brindisi era per me, per sottolineare ancora una volta quanto fossi inutile ed insignificante, quanto ai suoi occhi non valessi nulla… in quella stanza ero piccolo ed invisibile, pietoso come il mio misero piano fallito, inerme ed irrilevante come il cadavere della mia donna che si dissanguava sotto i miei piedi…
Il tonfo sordo del bicchiere sul legno risuonò nella stanza, forte e vibrante come il gong dell'ultimo round…
“Noooo!”
Gridai pronto a scagliarmi verso Jack come una furia… stavolta niente e nessuno mi avrebbe fermato e se fosse servito avrei massacrato anche Jet senza pietà.. non potevo credere che fosse successo, che quella scena orrida e raccapricciante si fosse davvero svolta davanti ai miei occhi… non era possibile…
Non era possibile…
Non era possibile…
Il corpo di Jet si frappose di nuovo tra me e Jack, fermando la mia corsa in uno scontro di mani e casse toraciche… era così che doveva andare allora, non solo mio padre, ma anche mio fratello… Jet mi afferrò i pugni e mi spinse indietro con forza…
“Deve morire!”
Il mio ultimo urlo disperato si scontrò con la mano gelida di Jet che mi afferrava il volto e mi obbligava a guardarlo…
“È già morto…”
La mia fronte s'incurvò di confusione… i miei muscoli, colmi di sangue e cortisolo, tentarono di muoversi ancora un paio di volte prima che il mio sguardo cadesse sulla scrivania di Jack ed il cervello ripristinasse il flusso della ragione…
“È già morto...”
Ribadì Jet, scandendo stavolta ogni parola con calma ed un alone di dolcezza… la sua mano, non più fredda, scivolò dal mio viso e tornò morbida lungo il suo fianco… l'occhiata che ci scambiammo in quell'istante di realizzazione fu quanto di più intimo avessimo mai vissuto, più potente del primo omicidio e più profonda di ogni patto di sangue condiviso… quel momento cancellava ogni torto, ogni dubbio, ogni gelosia… quell'attimo ci rese finalmente fratelli, non più solo a metà…
“Che diavolo stai...”
Le parole di Jack perirono a mezz'aria… i suoi occhi caddero sul bicchiere vuoto poggiato sulla scrivania…
“Che cosa hai fatto Jet?”
Domandò in un onesto miscuglio di paura, stupore ed incredulità… Jet prese un lungo respiro ed espirando lentamente osservò per l'ultima volta i tratti dell'uomo che gli aveva dato la vita…
“Te l'ho detto padre...”
Sentenziò muovendosi finalmente dalla sua posizione… era ormai chiaro quanto appena successo e quel che ora sarebbe accaduto in quella stanza… l'acido cianidrico sciolto nello scotch di Jack avrebbe presto iniziato a fare effetto e nulla avrebbe più potuto fermare i suoi respiri affannosi, la sua tachicardia e la sua copiosa sudorazione… poi forse sarebbe arrivato il vomito, seguito dalle convulsioni e dall'inevitabile trapasso…
“...ci sono cose che non possono essere perdonate...”
Che fine misera ed ingrata per un grande comandante come Jack Shimamura...
“...cose che nessun uomo dovrebbe sopportare… soprattutto uomini come noi…”
La consapevolezza innescò nel vecchio i primi colpi di tosse ed il bruciore in gola, ucciso più dall'incredulità che dal veleno...
“Aiutami!”
Ordinò Jack nell'ultimo impeto d'autorità, ma il suo figlio prediletto altro non fece che tornare a fissarlo, con distacco, mentre si abbandonava sulla poltrona… il suo viso non si mosse di un millimetro…
“Jet?”
Di nuovo pronunciai il suo nome, gli occhi sgranati e le labbra vuote di parole…
“Pensa alla ragazza…”
Mi rispose lui con fermezza ed io corsi verso il corpo di Françoise, inginocchiandomi accanto a lei… in quei momenti avevo quasi dimenticato che fosse lì e dio sa quanto mi sarebbe piaciuto poter ancora credere che quel corpo fosse da tutt'altra parte, caldo e vivo come lo era stato tra le mie braccia… le mani mi tremavano ancora, fosse per i pugni o per la scena che avevo appena vissuto, ma sentivo di non avere il coraggio di toccarla… aveva le guance pallide ed una ciocca di capelli scomposta che le cadeva sulle labbra violacee… senza neanche rendermene conto, allungai la mano e scostai la ciocca ribelle per scoprirle il viso… era fredda, ma non gelida come un morto… aveva il viso rilassato, ma non l'espressione di pace assoluta di chi ha già varcato l'estrema soglia… facendomi coraggio le poggiai i polpastrelli sulla carotide e pregai ancora una volta con tutte le mie forze di sentirla pulsare…
Stavolta dio mi ascoltò, facendo battere il cuore di Françoise contro le mie dita, debole ed incostante, ma improvvisamente più forte di ogni straziante lamento alle mie spalle… un sorriso del tutto spontaneo s'impossessò del mio viso… la mia ragazzina dell'aereo era viva, più forte della pistola di Jack e di ogni pronostico a suo svantaggio… più dura e determinata di quanto non avessi mai creduto… «Non ho molte ragioni per vivere» così mi aveva detto durante il nostro primo turbolento incontro, ma evidentemente qualche buona ragione l'aveva trovata…
Feci per girarla e cercare il foro d'entrata il più in fretta possibile, provando a sorreggerle la testa per non peggiorare in alcun modo le cose… non appena fu sulla schiena le palpebre di Françoise si mossero in maniera quasi impercettibile e le sue labbra si schiusero in cerca d'aria… le sollevai immediatamente il capo, continuando con l'altra mano a tastare l'origine di quella copiosa emorragia… l’azzurro profondo dei suoi occhi si affacciò sbiadito tra le ciglia umide, il viso immediatamente sconvolto dalla ritrovata coscienza…
“Sssh... andrà tutto bene…”
Cercai di rassicurarla, premendo con forza all'altezza del fegato… ecco perché sanguinava tanto…
“Mi...”
La voce le uscì di bocca più rauca di quanto ricordassi…
“...mi dispiace…”
Era un suono basso e spiacevole che mi graffiava le orecchie… per la prima volta guardavo il viso morente di qualcuno che non avevo ferito con le mie stesse mani… per la prima volta non desideravo che quei lamenti strazianti finissero il prima possibile, bensì che continuassero all'infinito… per la prima volta il sangue sulle mani mi dava la nausea ed il cuore mi si stringeva nel petto, desiderando di poter vincere contro la morte in persona… la ragazzina dell'aereo non poteva morire, non ora, non proprio adesso che il vecchio bastardo andava crepando… che si prendesse lui la morte…
Il più delicatamente possibile le poggiai un dito sulle labbra perché non si sforzasse di parlare ancora… era bella anche in quel momento, innocente ed onesta, sbiadita dalla paura, ma accesa dall'innata inevitabile voglia di vivere che le scalciava dentro…
Potevo capirla la morte… chi avrebbe scelto il brutto muso di Jack potendo avere lei? Spinsi più forte sulla ferita ignorando la sua smorfia di dolore… non gliel'avrei lasciata prendere, non ora che conoscevo bene il sapore di quelle labbra ed il calore di quella pelle… non gliel'avrei lasciata prendere…
“Ssh... ci penso io…”
Annuii nei suoi occhi socchiusi e le infilai un braccio sotto le ginocchia per sollevarla… non l'avrei lasciata dissanguare in quella stanza…
Jet incontrò lo sconforto dei miei occhi… la reggevo come fosse un inestimabile tesoro, determinato e terrorizzato allo stesso tempo… il sangue gocciolava dalle mie mani sul pavimento, come il ticchettio di un orologio che gira troppo veloce… quanto avrei voluto poter semplicemente chiamare un'ambulanza o precipitarmi all'ospedale sfrecciando a duecento all'ora sulla statale… come l'avrei spiegato ai medici? Come alla polizia? Per la milionesima volta maledii il mio nome e la mia vita, oggi con più disprezzo che mai…
“Portala di sotto… chiama Arthur...”
Il tono autoritario di Jet mi riportò alla realtà… non potevo più permettermi di tremare come un ragazzino, non avevo più un solo secondo da sprecare…
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Jet guardò suo fratello sfrecciare via e tornò presto ad osservare gli spasmi di Jack sulla sua preziosa poltrona, coperta di sudore… iniziava a sputare saliva bianca dalla bocca ed il suo sguardo, fisso sul figlio, andava perdendo lucidità… per un attimo soltanto sentì qualcosa di simile al rimorso nascergli dentro… avrebbe d'ora in poi vissuto da parricida, da traditore, da ingrato... ma non avrebbe più ricevuto ordini, mai più straziato tra l'obbligo di ubbidire e la voglia di urlare, mai più schiacciato dal peso di dover essere perfetto ad ogni costo, di doversi meritare il regno, quello stesso regno che adesso gli si inginocchiava davanti, pronto a gettarsi nelle sue mani… avrebbe finalmente smesso di abbassare il viso in vergogna davanti alla tomba di sua madre, davanti al fratello che non aveva difeso abbastanza, davanti alla moglie che aveva trascurato e deluso… avrebbe avuto Nataljia... avrebbe forse anche avuto il figlio che aveva perso per colpa sua, per colpa del padre tanto onorato, che proprio a lui aveva tolto tutto…
Si mosse verso Jack, gli occhi lucidi, ma lo sguardo fiero…
“Lo so che non dovrei dirlo, perché noi non diciamo certe cose...”
Neanche le sue regole avrebbero più avuto importanza…
“...ma ti ho voluto bene padre… davvero…”
Lui gli rispose con un rantolo biascicato… chissà cosa stesse tentando di dirgli, probabilmente che era un debole, una delusione, un figlio irriconoscente… magari lo stava solo sonoramente mandando a quel paese… forse però, quell'ultimo guizzo nei suoi occhi era invece un'ondata di orgoglio pieno e sincero, così come in vita non l'aveva mai guardato…
“Se solo potessi capire...”
Si passò la mano sugli occhi per un momento, cercando di cancellare quella vista…
“...perché non ci hai mai voluto bene? Perché...”
Abbassò gli occhi per contenere l'improvvisa ondata d'imbarazzo…
“...perché mai, nemmeno una volta, sei riuscito ad essere fiero di noi?”
Il bambino rifiutato e l'adolescente insicuro presero posto accanto a lui in quell'ultimo confronto, tornando alla luce dopo tanto, troppo tempo… quel dolore premeva ancora alto nello stomaco, quella perenne sensazione di insufficienza che accompagnava ogni sua decisione, quell'insensato bisogno di approvazione che nessun uomo della sua età dovrebbe trascinarsi dietro come un macigno…
“Posso capire perché odi tanto Joe, ma io... io... ho sempre fatto ciò che mi hai chiesto, obbedito ad ogni ordine... ho provato in tutti i modi papà...”
Ancora una volta guardò il pavimento in un sospiro, sentendo scoppiare nel petto quella parola tanto semplice eppure così estranea alle sue labbra…
“...perché hai fatto questo a me?”
Il viso di suo padre andava ammorbidendosi, ancora gonfio e paonazzo mentre le rughe sulla sua fronte si distendevano lentamente, accompagnate da un respiro lento, debole e prolungato… i suoi occhi socchiusi sbatterono le palpebre un paio di volte, fissandolo dritto nelle orbite… non più arrabbiato, non più deluso, non più spaventato...
Si sarebbe tenuto il dubbio…
Ecco come muore un vero Shimamura…
Jet cadde sulle ginocchia, restando ad osservare quel corpo esanime… suo padre… il cuore gli ballò tra le costole ancora una volta e delle lacrime non richieste gli bagnarono silenziose le ciglia… quella voragine che gli si apriva dentro non aveva il sapore della vittoria, bensì lacerava forte come fa il rimorso, come fanno i rimpianti, come fa l'anima macchiata delle persone per bene… lui non sarebbe mai stato una brava persona, mai dopo questo, eppure quella dolce consapevolezza ne affievolì il dolore… nonostante tutto c'era ancora un uomo dentro la sua corazza gelida, un uomo vero e capace di soffrire, non il mostro che tanto aveva temuto di essere diventato…
Asciugò quella sola pesante lacrima con un gesto veloce della mano, di colpo conscio della presenza silente alle sue spalle… guardò la sagoma sfocata di Nataljia con la coda dell'occhio, senza nemmeno chiedersi da quanto fosse lì…
“È...?”
Morto… non vi fu bisogno di pronunciare la parola, le bastò guardare le spalle di suo marito cadere giù in silenzio… Nataljia ingoiò in un sol boccone la voglia di saltare dalla gioia e si fece strada verso Jet... incerta gli posò una mano sulla spalla, un tocco appena accennato… non si sarebbe stupita affatto di vedere quella stessa mano scacciata in malo modo, era anche colpa sua dopotutto, soprattutto colpa sua… e Jet amava quel padre freddo e crudele, probabilmente più di quanto amasse lei…
Sorprendentemente la sua piccola mano rimase lì, indisturbata su quella matassa di muscoli, nervi e dolore che era suo marito… Nataljia respirò quell'aria satura di sangue e morte, accovacciandosi piano al suo fianco, guardandolo fissare quel cadavere scomposto… con la mano libera decise allora di interrompere quell'insopportabile trance e raggiunse il viso di Jet, costringendolo con un accenno di forza a rivolgerle lo sguardo… guardavano in basso i suoi occhi, i suoi occhi stanchi e lucidi, la scia di una lacrima nascosta sui suoi tratti spossati... con il pollice la cancellò, perché non c'era motivo di piangere, e allora lui finalmente la guardò, limpido come mai prima di quel momento, quasi un bambino tra le sue dita affusolate… venne da piangere anche a lei, ma scansò quel desiderio con lo spettro di un sorriso… ancora una carezza e poi non riuscì più a resistere, spinse le sue labbra contro quelle di Jet, la sua bocca asciutta, ma ancora morbida come ricordava, il suo respiro caldo, denso di alcool e rammarico… gli strinse forte il viso tra le mani e in ultimo lo sentì accettare quel bacio, casto all'apparenza, ma carico di passione e significato… erano liberi… il re e la regina del regno finalmente liberi dal maleficio dell'orco cattivo…
Jet si allontanò piano, le loro labbra ad accarezzarsi per un istante ancora, le sue mani, ora bollenti, finite non si sa come a cingere la vita sottile di quella moglie tanto odiata e tanto desiderata, come se fosse appena tornata da un lungo, lunghissimo viaggio… si perse nei suoi grandi occhi scuri e di colpo la morte in quella stanza smise di esistere…
L'era di Jack Shimamura era finita… in quel caos di vetri, sangue e saliva, iniziava il suo momento… iniziava la sua vita…
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Qualcosa di caldo e pesante mi avvolgeva completamente… ciononostante sentivo freddo, un freddo profondo che mi attraversava le ossa e mi faceva tremare… i miei occhi non vedevano altro che buio… i miei occhi chiusi, realizzai... tentai di muovermi, ma non ci riuscii, un peso enorme all'altezza dello stomaco mi teneva giù, incollata come un adesivo a quella superficie liscia… il mio indice destro si mosse appena accarezzando un tessuto tiepido e levigato… una netta ed improvvisa sensazione di dejà-vu mi colpì come un macigno… l'aereo… Joe e la sua nave… Joe… il pensiero confortante del Mamba svanì però immediatamente… Jack... il suo sorriso che mi prendeva in giro... le mie mani paralizzate dalla paura… i colpi… il dolore… il freddo ancora una volta… la sconfitta…
Con un respiro mozzato mi alzai di colpo, trascinando qualsiasi barriera mi stesse trattenendo… spalancai gli occhi cercando ancora quell'uomo ed i suoi occhi vuoti, ma un dolore improvviso e lancinante mi spezzò il fiato… mi portai le mani al ventre... ero ancora viva? Perché ero ancora viva?
“Hey, vacci piano...”
Joe, la sua voce, era lui… lo cercai immediatamente con i miei occhi secchi e spalancati, obbligando le pupille a contrarsi finché la sua sagoma sbiadita divenne l'immagine netta e nitida dell'uomo che avevo tradito… subito il sollievo divenne paura mista a vergogna... evitai i suoi occhi sentendolo avvicinare, cercai di ritrarmi, ma non ci riuscii per via di quel maledetto pulsante dolore…
“È già un miracolo che tu sia viva, cerca di non strafare...”
Sentii le sue mani calde spingermi giù con delicatezza e di nuovo la mia testa si abbandonò su quel morbido cuscino… deglutii un po' dell'amaro ferroso che sentivo in bocca e presi a guardarmi intorno… quella stanza da letto mi era del tutto sconosciuta, a differenza dell'odore dolciastro che mi accarezzava le narici… gelsomino… le pareti beige circondavano una stanza non troppo ampia, di fronte a me un comò bianco sormontato da un grande specchio incorniciato, uno sgabello in finta pelle e una libreria semivuota… voltai gli occhi alla mia destra, dove un grande armadio laccato brillava nella flebile luce dell'abat-jour accesa sul comodino… dietro la mia testa un'enorme testata, quasi incombente nella freddezza della sua pelle color testa di moro… a sinistra non osai guardare, sentivo gli occhi di Joe trafiggermi ad ogni mossa e non ero ancora pronta ad affrontare le conseguenze della mia debolezza… strinsi gli occhi a quel pensiero cocente… avevo fallito.. non ero stata abbastanza forte… né abbastanza brava… la mia sconfitta era anche quella del Mamba e, se lo conoscevo almeno un po', adesso me l'avrebbe fatta pagare, così come in fondo meritavo...
“Come ti senti?”
Lo sentii parlare di nuovo e, a malincuore, voltai il capo verso di lui, evitando ancora accuratamente il suo sguardo… avrei voluto rispondergli, ma in tutta franchezza non avevo idea di cosa dire, a parte le continue coltellate al fianco destro… mi morsi le labbra e cercai quel poco di coraggio ed amor proprio che mi erano rimasti…
“Mi dispiace…”
La voce mi uscì roca, le corde vocali raspavano l'una contro l'altra… mi fu subito chiaro che non parlavo da un po'… quanto tempo era passato? Di nuovo deglutii…
“Ho fallito…”
Cercavo di parlare con il più assoluto distacco, ma dentro mi si muoveva tutto, come fossi una gelatina accanto al fuoco…
“Volevo fare tutto da sola, ma è abbastanza chiaro che sono troppo debole... e stupida... e...”
A quel primo accenno di autocommiserazione intervenne lui…
“Hai finito?”
Il suo tono rilassato, quasi divertito, uccise gli insulti per me stessa che ancora serbavo tra le labbra… da sotto le ciglia buttai una prima occhiata verso Joe… aveva il viso riposato, un bel colore roseo sulle guance, una linea appena di barba sul viso e le labbra strette in un accenno di sorriso… sorriso? Dal collo in giù il suo torso era avvolto in una t-shirt blu, pulita, non troppo scura, ma abbastanza da accendere i suoi occhi… non era certo la faccia di un assassino deluso…
“Che è successo?”
Domandai allora, di colpo conscia di non avere la benché minima memoria di cosa fosse accaduto dopo gli spari… il mio sguardo si fece lentamente più coraggioso e raggiunse quello del Mamba...
Stavolta Joe non trattenne quel già malcelato sorriso, i suoi denti bianchi si scoprirono appena…
“È morto...”
Aggrottai le sopracciglia cercando di capire chi, come e quando… Joe si sedette al mio capezzale…
“Jack è morto…”
Precisò e di nuovo mi alzai di colpo, ignorando la botta allo stomaco, il viso ora alla stessa altezza di quello di lui…
“Tu?”
Il sorriso di Joe si spense mentre, abbassando gli occhi, scuoteva la testa…
“Jet...”
Mi ci vollero un paio di secondi per rimettere a fuoco l'immagine di quel fratello in giacca e cravatta, lo stesso che avrebbe voluto a tutti i costi fermare il nostro piano… ma allora perché proprio lui?
“Come?”
Domandai, candidamente sorpresa… lui sembrò cercare le parole per qualche istante, poi scrollò le spalle e sospirò…
“È una lunga storia, ma non ha importanza… ciò che importa è che sia finita…”
Davanti alla mia evidente perplessità dipinta sul volto sorrise ancora, stavolta fissandomi dritta negli occhi…
“È finita...”
Ribadì
“...Jack non esiste più… siamo liberi…”
Allora perché continuavo a sentirmi intrappolata? Perché il cuore nel mio petto non aveva preso a battere all'impazzata? Perché quegli occhi scuri che mi brillavano addosso non riuscivano a sciogliere il freddo terribile che mi paralizzava dall'interno?
Perché non ero stata io... nessun festeggiamento e nessuna danza della vittoria avrebbero cambiato quell'unico fondamentale fatto… non ero stata io... non l'avevo ucciso… non c'ero riuscita…
Inspirai a pieni polmoni, tornando a concentrarmi sull'insopportabile dolore che mi contorceva le viscere…
“Che mi è successo?”
Lui si scostò di colpo, raffreddato dalla mia algida reazione…
“Jack ti ha sparato… il proiettile ti ha lacerato il fegato e sei quasi morta dissanguata… c'è voluto un po', ma alla fine Arthur è riuscito a rattopparti…”
“Chi è Arthur?”
Come se avesse importanza…
“Il nostro medico a domicilio…”
Di nuovo mi guardai attorno, stavolta volgendo la testa da un capo all'altro della stanza…
“Dove sono?”
“Siamo a casa di Jet, nella stanza degli ospiti...”
“Per quanto tempo ho dormito?”
“Dodici giorni… dodici giorni e nove ore per l'esattezza…”
Annuii distrattamente, passando ad esaminare le coperte tra cui giacevo... raso di cotone, certamente costoso… anche il pigiama che avevo addosso non era mio, come vi fossi finita dentro un mistero… gli ultimi abiti che ricordavo erano neri, attillati e scomodi… gli abiti della missione… la missione… di nuovo quel colpo allo stomaco…
Riportai gli occhi su Joe, adesso in piedi, di spalle, affacciato alla finestra… era sera e si potevano vedere solamente le vibranti luci della città in lontananza…
“Sei felice?”
Gli domandai... lui mi gettò un'occhiata senza voltarsi…
“Non userei proprio quella parola… direi più sollevato, leggero... libero…”
Di nuovo quel termine… ma come si sente la libertà?
Rimasi ferma ad osservare le linee nette e decise della sua schiena… c'era davvero qualcosa di diverso in lui… quella tensione continua, quell'aspetto guardingo e minaccioso, quell'aura di timore e violenza, tutto sembrava svanito…
Finalmente Joe si girò a guardarmi
“E tu? Come ti senti tu?”
Era chiaro dai suoi occhi che non parlava dello stato di salute… voleva sapere se anch’io mi sentivo liberata, se anch’io stavo assaporando la morte di Jack in un dolce boccone, se anch’io avrei presto sorriso… fissai il vuoto cercando qualcosa dentro di me, qualcosa che non riuscii a trovare…
“Niente… non sento niente…”
Due colpi leggeri alla porta sollevarono Joe dall'incombenza di rispondere... Jet si affacciò alla porta con un vassoio in mano, buttò un'occhiata al fratello accanto alla finestra e decise di entrare… poggiò le vivande sul comodino e mi rivolse un sorriso di circostanza…
“Vi ho sentiti parlare...”
Si giustificò…
“...bentornata tra noi signorina Arnaul...”
Lo guardai con la stessa incredulità con cui un bambino fisserebbe un Babbo Natale dalla pancia imbottita e dalla barba artificiale… anche lui odorava di pulito nella sua camicia bianca, anche lui composto e rilassato come nulla fosse…
“Nataljia ha preparato del brodo...”
Afferrò la scodella e me la porse…
“...mangi… deve rimettersi in forze…”
A metà tra l'ordine e la premura, accettai immediatamente l'offerta… le mie mani gelide ringraziarono non appena avvolsero quel piatto caldo che odorava sorprendentemente di buono…
“Nataljia?”
Mi uscì di bocca senza controllo, sbalordita e malfidente allo stesso tempo… Jet sollevò il sopracciglio destro…
“Non sa che cucina? Credevo foste amiche…”
Amiche… e chi ha mai potuto permettersi un'amica?
La questione fortunatamente morì lì e Jet rivolse subito l'attenzione a suo fratello…
“Vieni Joe... lasciamo che Françoise si riposi…”
Lo voleva fuori di qui, era chiaro… lui sospirò, io tutt'intenta ad analizzare la mia pietanza… lo seguì fuori, senza dire una parola…
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“Finalmente si è svegliata… dirò ad Arthur di passare domattina…”
Jet prese le scale verso il salotto, suo fratello una sagoma silente alle sue spalle…
“Dovresti riposare anche tu…”
L'altro scrollò le spalle…
“Sto bene…”
“E sta bene anche lei… smetti di preoccuparti…”
Non era più la sua salute a dargli pensiero, bensì il vuoto con cui aveva accolto la dipartita di Jack… nelle sue più infantili fantasie l'aveva vista saltare sul letto e poi saltargli addosso, ridere di gusto come non l'aveva mai sentita… nella razionalità aveva poi immaginato di vederla almeno sorridere, le spalle più leggere ed i suoi grandi occhi azzurri limpidi e luminosi… nell'intimità della solitudine aveva infine sperato che la ritrovata libertà li mettesse insieme, uno accanto all'altro verso nuove mete, lontano per sempre da New Orleans e dai Fantasmi Neri...
Che stupido…
Nell'incastro dei suoi pensieri non si accorse che Jet gli era di nuovo davanti…
“Dalle un po' di tempo…”
Da dove veniva quell'improvvisa capacità di leggergli la mente? In quale preciso momento della sua vita era diventato così trasparente? Quasi si vergognò…
“Basta parlare di lei…”
Sentenziò… Jet acconsentì senza insistere, riprendendo le scale verso il piano di sotto…
“E di cosa vuoi parlare allora?”
Joe fece per seguirlo, ma rimase sul pianerottolo, la mano stretta attorno alla fredda balaustra…
“Di te… di quello che hai fatto…”
Il rumoroso respiro di suo fratello lasciò intendere che non fosse argomento gradito…
“Ne abbiamo già parlato abbastanza… non c'è più niente da dire…”
Raggiunse il salotto, mirando dritto alla poltrona… sul tavolino fumavano silenziose due tazze di caffè bollente… dalla cucina arrivava ovattato il rumore delle stoviglie maneggiate da Nataljia...
“C'è ancora molto di cui parlare invece…”
Joe si sedette di fronte a lui ignorando le bevande, mentre il maggiore afferrava la sua tazza per portarla al naso e respirare quel rassicurante odore di casa…
“Te l'ho già detto, ho fatto quel che dovevo...”
Abbandonò il caffè sul tavolo…
“...non l'ho fatto per te… non hai motivo di sentirti in debito…”
Joe drizzò la schiena…
“Non mi sento in debito... mi sento in colpa…”
A quelle parole Jet scosse la testa… quel peso era suo e di nessun altro… ed era già abbastanza pesante…
“Non devi...”
Lo guardò negli occhi…
“...è stata una mia decisione e dovrò conviverci io… non tu…”
Stavolta fu Joe a dissentire…
“Ho dubitato di te Jet... ho davvero dubitato di te… le cose che ho detto...”
“Avevi ragione…”
Lo interruppe…
“Non sono stato un bravo fratello… ho lasciato che nostro padre ti trattasse come spazzatura, che sfogasse su di te e sulla mamma la sua frustrazione… avrei potuto difendervi e non l'ho fatto… avevi ragione, avevi ragione su tutto…”
Quelle parole lo spiazzarono, così dirette ed inattese… avrebbe voluto anche lui svelare il proprio cuore con così tanta facilità, ma per quanto si sforzasse non ne era ancora capace… fosse colpa della rigida educazione, fosse colpa dei troppi colpi presi, probabilmente non lo sarebbe mai stato...
“Hai fatto abbastanza…”
Per spezzare il momento si interessò al caffè, affogando una zolletta nella tazza… il cuore gli pompava veloce nel petto… voleva dirlo… aveva bisogno di dirlo…
“Ora lo so...”
Riprese senza spostare gli occhi dal cucchiaino…
“...non avrò il sangue degli Shimamura, ma di certo ho un fratello…”
Una botta improvvisa di calore gli raggiunse le guance, quasi fosse un ragazzino alla prima cotta che sperava di non arrossire in pubblico…
“Ne hai due!”
Il sorriso sbiancato di Jonah illuminò la stanza, lasciandoli sbigottiti… il più giovane di loro non aveva infatti preso bene la notizia delle gesta di Jet... dopo aver ribaltato tavoli, maledetto tutti i santi del paradiso e lasciato di fretta la tenuta di famiglia, nessuno aveva più avuto sue notizie per i seguenti dodici giorni… nel rombo delle sue imprecazioni non era stato neanche facile capire se fosse più incazzato per la morte del padre, della madre o per non essere stato coinvolto nello scontro tra i fratelli…
Ad ogni modo eccolo lì, splendente come non mai nel suo cardigan di Gucci…
Erano soli adesso… niente più ordini dall'alto, niente più urla dal fondo del corridoio, niente più insulti per la loro inettitudine…
Ma nonostante tutto il male, ad ognuno di loro Jack sarebbe mancato, per un motivo o per l'altro…
Joe non aveva perso un padre, ma avrebbe dovuto trovare una nuova motivazione… Jet non avrebbe certo sentito la mancanza del confronto continuo, ma anche volendo, non aveva più un «perfetto» capofamiglia con cui specchiarsi… Jonah avrebbe continuato a vivere nella sua bolla di lusso e comodità, sapendo però stavolta di non avere più le spalle poi tanto coperte…
Per quanto fosse stato crudele, stronzo o svilente, Jack era comunque l'uomo che li aveva cresciuti e plasmati… se si trovavano lì, insieme, ancora vivi, ricchi e potenti, in fin dei conti lo dovevano solo a lui…
Il minore scattò per primo…
“Caffè? Davvero?”
Balzò in piedi e raggiunse la vetrinetta alla sua sinistra… tirò fuori una bottiglia dalla collezione di Jet... rum scuro, distillato alle Barbados ed invecchiato settant'anni almeno… lo stappò senza chiedere il permesso, prendendo con sé tre bicchierini da shot… sbattendoli sul tavolino li riempì fino all'orlo e li fece scivolare verso ognuno di loro…
Sollevò il suo a mezz'aria…
“Ai fratelli Shimamura!”
Jet guardò quella mano alzata con indecisione… cosa aveva lui da brindare? Era il peggiore degli assassini… passò lo sguardo su Joe e di nuovo su Jonah… i suoi fratelli erano ancora lì, a brindare con il peggiore degli assassini… sbatté il suo pesante bicchiere contro quello del più giovane…
“Ai fratelli Shimamura...”
Ripeté ed i loro occhi si posarono dritti su Joe... voleva ancora quel nome? Voleva ancora essere uno di loro? La vita misera e violenta che aveva vissuto gli passò davanti in pochi flash… ad ogni insulto, ad ogni colpo, ad ogni sconfitta e ad ogni vittoria quei due c'erano sempre stati e se non poteva essere il dna a tenerli legati, allora, suo malgrado, sarebbe stato quello stramaledetto cognome a farlo… il suo drink colpì gli altri…
“Ai fratelli Shimamura...”
Parte 19
Due colpi leggeri…
Ancora una volta qualcuno bussava alla porta della stanza… me ne stavo in piedi di fronte allo specchio cercando svogliatamente di sistemarmi... l'abito stretto di maglina, con i suoi colori spenti, non stava davvero rendendo omaggio al mio incarnato… il cerotto era ben coperto, ma dovevo comunque ricordarmi di non alzare il braccio destro troppo in fretta o avrei di nuovo sofferto le pene dell'inferno… i capelli, finalmente puliti, mi scendevano sulle spalle in onde irregolari…
Sospirai… non amavo ricevere visite…
Fosse stato Joe non avrei saputo cosa dirgli, ma sicuramente non si trattava di lui… nelle ultime settimane mi aveva evitata come la peste e di certo non potevo biasimarlo… gettai gli occhi allo specchio… pure io avrei evitato me stessa fosse stato possibile… nel lungo tempo speso tra quelle quattro mura non avevo fatto altro che rimuginare sulla morte di Jack… le parole di Joe risuonavano spesso nella mia testa…
“È una lunga storia, ma non ha importanza… ciò che importa è che sia finita... Jack non esiste più… siamo liberi…”
Jack non esiste più…
Come se gli ultimi sei anni della mia vita fossero svaniti in un batter d'occhio, ora mi ritrovavo con nulla più di un pugno di mosche in mano… chi era Françoise Arnaul senza la sua vendetta? Cosa avrei fatto adesso della mia inutile vita? Cosa avrei mai potuto fare?
Finii ancora una volta a fissare il pavimento… nella casa di Jet e Nataljia... nella proprietà della famiglia Shimamura...
Erano una famiglia… nonostante i mille contrasti erano sempre una famiglia e tolto il padre di mezzo, avrebbero comunque avuto l'un l'altro, le cene di rito attorno ad un tavolo ed il traffico d'armi da organizzare… io non avevo nessuno, tanto meno una casa dove tornare… avrei forse potuto avere nuove missioni da compiere, non fosse per il piccolo dettaglio che avevo fallito nel mio unico e fondamentale compito d'ammazzare Jack Shimamura… neanche Albert mi avrebbe più voluta…
Persa in quei pensieri non mi accorsi nemmeno che l'interlocutore alla mia porta aveva bussato di nuovo… solo il cigolio della maniglia mi riportò alla realtà… voltandomi di scatto maledissi ancora una volta il profondo taglio che andava guarendo sulla mia pancia…
“Stai bene?”
Nataljia solcò la soglia con la legittima sicurezza di una padrona di casa, buttando immediatamente gli occhi alla pila di vestiti stropicciati sul letto…
“Hai trovato qualcosa che ti piace?”
Sottolineai il mio nuovo abito con la mano sinistra, ma senza alcun entusiasmo per quel vestito a righe, bianco e blu, che arrivava fin sotto le ginocchia…
“Uscirai da questa stanza oggi?”
Sbuffai, iniziando a piegare distrattamente quegli stessi indumenti…
“Posso dirti che Joe non c'è, se questo è problema…”
Le mie guance si accesero di colpo, ciò che Nataljia andava implicando era del tutto ridicolo… non era certo Joe il problema, io non volevo vedere nessuno, assolutamente nessuno…
“Sto bene qui…”
Risposi… Nataljia sollevò il sopracciglio seguendo i miei movimenti convulsi…
“È stato qui tutto il tempo...”
Stavolta sollevai uno sguardo confuso…
“...finché non ti sei svegliata…”
Ignorando lo scivolone del mio stomaco, scossi il capo e ripresi la mia attività…
“Appena il dottore mi darà l'ok me ne andrò…”
“Dove?”
Mi irrigidii per un istante... bella domanda…
“Tornerai da lui?”
Albert Heinrich… non c'era bisogno di domandare a chi si riferisse e quella stessa ovvietà mi fece saltare i nervi…
“Non sono affari tuoi…”
Nonostante gli abiti sobri e i capelli raccolti, Nataljia sfoderò lo stesso sguardo aguzzo e sicuro di quando lavoravamo insieme…
“Mangi e dormi nella mia casa da settimane… puoi essere più gentile…”
Il primo istinto fu di ribattere che non avevo chiesto nulla di tutto ciò, ma dopo un lungo respiro realizzai che la russa aveva ragione… davanti allo studio di Jack avevo chiesto il suo aiuto e Nataljia non si era tirata indietro, difendendo quella porta fino all'ultimo secondo… ma non l'aveva fatto per lei…
“Hai ragione… ed è l'unico motivo per cui non sto cercando di strangolarti…”
L'altra sollevò le sopracciglia…
“Ricordati che ho sfidato Joe e Jet per te…”
Non trattenni una risatina sarcastica…
“Già... Jet... non mi pare che lo odi poi tanto…”
Nataljia tornò presto sull'attenti…
“Ti ho già raccontato tutto quanto... non devo altre spiegazioni...”
Nonostante non avessi avuto nessuna voglia o nessun interesse nell'ascoltarla, la russa mi aveva comunque rivelato tutto il suo passato, senza tralasciare alcun dettaglio sulla sua gravidanza e sulle minacce di Jack... avrebbe dovuto ammorbidirmi, ma in realtà tutto ciò che avevo letto tra quelle parole era il tradimento, le bugie con cui Nataljia era riuscita ad intrufolarsi nel mio gruppo e portarmi fino a quel punto… non aveva mai avuto una vera intenzione di uccidere gli Shimamura, voleva solo liberarsi di Jack per potersi riprendere regno e marito… per qualche oscura ragione questa verità mi rodeva dentro, così come la placida soddisfazione che ora andava ostentando senza alcuno scrupolo…
“Avresti dovuto dirmelo allora…”
Nataljia scosse la testa…
“Se l'avessi detto allora, non mi avresti presa con voi…”
Alzai le spalle di fronte a lei…
“Esatto… e nulla di tutto questo sarebbe successo…”
Aggiunsi sollevando le braccia a mezz'aria per indicare ciò che avevo attorno… Nataljia sollevò il mento ed affilò lo sguardo, evidentemente in casa sua non temeva rivali…
“Nulla di tutto questo?”
Era palesemente beffarda…
“Intendi forse innamorarti di Joe?”
“Smetti di dirlo!”
Le urlai in faccia, con un tono troppo alto e troppo veloce, senza riuscire a controllare le mie emozioni…
La moglie di Jet indietreggiò tenendosi il sorrisetto in viso…
“Non saremmo mai arrivati a questo punto se non ti avessi incontrata… tu e tuo implacabile desiderio di vendetta… non capisco perché ora tu voglia comportarti così…”
Schiusi le labbra, ma non dissi nulla… Nataljia mi si parò davanti…
“Siamo solo io e te… puoi parlare…”
Arricciai il naso apparentemente disgustata…
“Non siamo amiche…”
Nataljia sospirò…
“Vero… ma tu sai del mio matrimonio e di mio bambino... potresti ricambiare…”
“Sai già della mia famiglia… non c'è altro da dire…”
Cercai di scostarla e tornare alla mia precedente occupazione, ma Nataljia non mollò il colpo…
“Perché sei così arrabbiata?”
“Non potresti capire… tu hai avuto quello che volevi...”
“E tu no?”
Inspirai profondamente e scossi la testa… Nataljia sollevò il suo sopracciglio sottile…
“Lui è morto… che altro vuoi?”
Ricambiai il suo sguardo curioso con il silenzio, sbattendo le palpebre con insistenza… avrei voluto confessare, sputarle in faccia ciò che mi bruciava dentro, avrei voluto liberarmi di un po' di quel peso insistente, ma Nataljia mi stava davanti e non sembrava più la complice di un tempo… niente più abiti aderenti, niente più ombretto scuro ad incorniciarle lo sguardo, nulla più di quella donna arrabbiata e cattiva che riusciva ad uccidere con uno sguardo… non potevo più dirle ciò che pensavo...
Scostai il viso…
“Non ha importanza…”
L'altra arricciò le labbra e per un istante quel fuoco si vide ancora, le attraversò gli occhi come un lampo nel mezzo di una notte senza stelle… mi fissò dritta negli occhi…
“Io so cosa vuoi…”
Le nostre pupille s'incrociarono a mezz'aria in quel ritrovato clima di sfida, drizzai il mento accennando un sorriso sarcastico…
“Davvero?”
Finalmente qualcosa di caldo mi stava attraversando le vene, finalmente sentivo le dita calde ed il cuore che batteva… quell'emozione, quella voglia di stringere i pugni ed azzannare qualcuno, ecco cosa volevo... ma Nataljia non era della stessa opinione…
“La sola cosa che vuoi...”
E si prese la libertà di avanzare di un passo ancora, affinché le sue parole mi arrivassero dritte in faccia…
“...ha occhi scuri, labbra morbide e addominali scolpiti...”
Stavolta fu lei a sfoderare un sorriso canzonatorio, ogni parola pronunciata con un'enfasi più che voluta… ingoiai il boccone amaro cercando di trattenere l'onda di rabbia, incredulità o imbarazzo che fosse, che su dai piedi minacciava d'infiammarmi le guance… avrei tanto voluto chiudere le dita attorno a quel collo sottile e stringere, stringere tanto forte da farle uscire gli occhi dalle orbite…
Strinsi i pugni invece, mordendomi la lingua, aspettando e sperando che Nataljia si lavasse dal viso quell'aria di vittoria… non ero ancora abbastanza forte da reggere uno scontro corpo a corpo…
“Vattene…”
Fu l'unica risposta che riuscii a darle, permettendole ancora per un po' di galleggiare nella sua bolla di trionfo… nella mia voce tutto l'odio ed il veleno di cui mi sentivo capace… mi ero forse tolta la divisa da Fantasma Nero, ma non ero certo meno agguerrita o potente di prima…
“Potresti averlo, lo sai vero?”
Contrassi la mandibola aguzzando lo sguardo… nonostante il dolore al fianco che trafiggeva i miei addominali tesi, stavo davvero valutando l'idea di sferrare un pugno sul suo zigomo perfetto…
“Voglio solo andarmene da qui…”
Risposi tra i denti, fumante come un calderone sul punto di esplodere… Nataljia sbatté le palpebre e tutto il suo fervore sembrò svanire in un secondo, le sue spalle si rilassarono e, lisciando l'orlo della sua camicetta bianca, si fece indietro…
“La rabbia è un'emozione sai?”
Aggrottai le sopracciglia, totalmente spiazzata dal repentino cambio d'umore di Nataljia... ingoiai il boccone d'istinto omicida che serbavo in gola e la osservai…
“Cosa?”
Nataljia inspirò…
“Dici sempre di non avere emozioni, ma se puoi arrabbiarti così, potresti anche essere felice…”
Felicità? La bocca dello stomaco mi si strinse… certo che potevo essere felice, riuscivo benissimo a ricordare come ci si sentisse ad essere felici... i regali sotto l'albero, i pigiama party, l'applauso finale al musical della scuola, un biglietto di San Valentino infilato nell'armadietto... ma quelli erano solo i ricordi di una bambina, una bimba ingenua e lontana che ormai non esisteva più… non è che non sapessi come essere felice, solo non volevo esserlo, non più… l'ultima volta che lo ero stata, l'ultima volta che mia madre lo era stata, ogni cosa era svanita in una pozza di sangue… la mia vita era finita in una serata felice, in un bagno immacolato…
In quel momento bussarono delicatamente alla porta… i miei ricordi si interruppero immediatamente ed i miei occhi si rivolsero alla testa scura che faceva capolino dalla soglia… il dottore attese il mio tacito permesso per entrare nella stanza, avvolto in una camicia a quadri, valigetta nella mano e sorriso sulle labbra… aveva più o meno sessant’anni e nelle ultime settimane era già passato più volte a visitarmi, la sua gentilezza in completa antitesi al nostro contesto…
“Posso visitarti?”
Domandò, perfettamente consapevole di aver interrotto qualcosa… tirai subito un respiro di sollievo ed annuii…
“Certo… Nataljia stava andando…”
Quest'ultima mi rivolse un ultimo sguardo affilato ed uscì dalla stanza, conscia di aver perso una battaglia, ma di certo non la guerra…
Seguii la solita prassi e subito sfilai le braccia dalle maniche del mio abito e lo arrotolai fino alla vita, abbastanza da poter mostrare al medico la ferita in via di guarigione…
“Ti senti bene?”
Domandò lui staccando lentamente il cerotto… nonostante mostrassi la mia biancheria, il dottore non la guardò nemmeno, professionale ed impeccabile come sempre… non ero abituata a uomini così…
“Benissimo…”
Risposi, sperando che l'entusiasmo mostrato aiutasse ad avere l'ok da parte del dottore… Lui tastò i bordi della ferita e mi tirò un po' la pelle, valutando l'elasticità del tessuto cicatriziale… spinse poi sul fianco e stavolta, finalmente, non sentii né fitte tremende né troppo dolore…
“Direi che anche la ferita va piuttosto bene…”
“Vuol dire che posso andarmene?”
Chiesi subito senza nemmeno dargli il tempo di finire, lui si tirò indietro facendomi cenno di rivestirmi e scosse appena il capo sorridendo…
“Non vedi l'ora di andartene eh?”
Sospirai
“Non sa quanto…”
Il dottore raccolse le sue cose e gettò i guanti in lattice nel cestino…
“Sì...”
Esordì infine…
“...se stai attenta agli sforzi e ai movimenti repentini, se continui a prendere le medicine e non ti strapazzi troppo, credo tu possa andare…”
Un sorriso spontaneo e vivace mi si aprì in viso…
“Davvero?”
Lui scrollò le spalle…
“Se pensi di non poter più aspettare, direi di sì…”
Avrei tanto voluto abbracciarlo, ma sarebbe stato davvero fuori luogo… finalmente la mia detenzione poteva finire, addio Shimamura e addio a quella stronza manipolatrice di Nataljia...
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Mezz'ora dopo aver salutato il dottore ero già fuori dalla stanza, per la prima volta dopo tutte quelle settimane, senza contare il bagno ovviamente… negli ultimi dieci minuti ero rimasta con l'orecchio spalmato contro la porta, aspettando di sentire null'altro che silenzio… non volevo vedere nessuno, volevo solo uscire da lì e sparire nel nulla… nel corridoio, dipinto di bianco, si respirava profumo di pulito… la luce era soffusa e non ero certa di che ora fosse, ma mi diressi subito, con passo felpato, verso le scale… non avevo nulla con me se non l'abito che portavo addosso, ogni cosa usata ed indossata negli ultimi tempi proveniva infatti da Nataljia e, fortunatamente, quella miseria mi avrebbe reso la fuga più rapida e leggera… le poche cose che possedevo erano rimaste nella mia stanza d'albergo e subito presi mentalmente nota di dover passare di lì prima di raggiungere la stazione più vicina…
Un passo dopo l'altro mi trovai presto al piano di sotto… la scala scendeva infatti nel salotto, di fronte ad un grande divano beige, accanto a cui si trovava un tavolino basso di vetro, contornato da sedie scomposte ed adornato da bicchieri usati, segno che qualcuno era lì poco prima… trattenni il respiro gettando gli occhi alla porta d'ingresso… presto sarei stata di nuovo libera, quella libertà che nulla aveva a che vedere con la morte di Jack, quella stessa libertà che Joe non poteva capire… scossi la testa, non era proprio il momento di pensare a lui… prendendo una grossa boccata d'aria mi avviai a grandi passi verso il portone…
“Signorina Arnaul?”
Mi morsi le labbra… stupido pensare che sarebbe stato tanto semplice…
“Lieto di vedere che si sente meglio…”
Le sue intenzioni sarebbero state ovvie anche agli occhi di un bambino, ma Jet, avvolto nel suo completo nero di Armani, non le sottolineò…
Mi schiarii la voce… quell'uomo, impeccabile nella sua postura e nell'utilizzo del lei, mi spaventava più degli altri…
“Il dottore ha detto che posso andare…”
Lui annuì pronunciando un suono di approvazione… con i suoi occhi chiari e profondi, pareva studiarmi attentamente in ogni mia piccola mossa, capace di paralizzarmi con il suo solo sguardo… l'idea che proprio lui tra tutti, il figlio leale e prediletto, avesse ucciso Jack, mi gelava il sangue…
“Non ha intenzione di perdere tempo vedo…”
“Credo di aver già approfittato abbastanza della vostra ospitalità…”
Lui sollevò l'angolo della bocca…
“Ci siamo a malapena accorti della sua presenza in realtà…”
Abbassai lo sguardo senza riuscire a controllarmi, Jet continuava a fissarmi come fossi una specie di fenomeno da baraccone…
“È sicura di volerci lasciare così presto?”
Inspirai a pieni polmoni… anche se non lo era, suonava certo come una minaccia... tuttavia annuii con decisione… inaspettatamente il maggiore dei fratelli si limitò a ruotare il busto ed indicarmi, con un palmo aperto, la via verso l'uscita… esitai per un secondo, possibile che mi lasciasse andare così? Senza alcun ammonimento o avviso? Nessun “Stia lontano dalla mia casa e dalla mia famiglia se desidera continuare a vivere?”… approfittando della mia fortuna ressi lo sguardo di Jet per un momento, cercando sul suo viso qualcosa di Joe che non riuscii a trovare… sospirai e continuai la mia marcia verso la porta, fermandomi però a mezza strada… potevo correre lontano da lì più veloce della luce, ma non avrei dimenticato ciò che era successo… mi voltai lentamente verso Jet…
“Grazie...”
Lui sollevò un sopracciglio…
“Per cosa?”
Domandò, come non fosse ovvio… accennai un sorriso che stentava a farsi vedere…
“Per avermi salvato la vita…”
Jet annuì, ma disse…
“Non sono stato io...”
Confessò, guardando il mio viso corrugarsi di confusione…
“...è stato Joe... avrebbe ucciso nostro padre a mani nude se non fossi arrivato…”
Quell'immagine mi colpì al petto del tutto inattesa… perché non me l'aveva detto? Perché mi aveva lasciato credere che avesse fatto tutto Jet? Mi presi un attimo per assorbire l'informazione e di nuovo annuii…
“Grazie comunque…”
Stavolta fu lui ad abbassare gli occhi, smettendo finalmente di studiare ogni mia più piccola mossa…
“Buona fortuna Signorina Arnaul...”
E stavolta non mi fermai…
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Nataljia venne fuori dall'angolo della cucina e sospirò appoggiandosi alla parete…
“Se n'è andata?”
Jet la raggiunse muovendo il capo in assenso… sua moglie arricciò le labbra…
“Codarda…”
Apostrofò Françoise, generando un inatteso sorriso sulle labbra del marito…
“Disse la donna che ha preferito allearsi al mio peggior nemico piuttosto che parlare con me…”
L'espressione di Nataljia si rilassò subito e, con un lungo respiro, attese la mano calda di Jet sul suo viso… tanto era stato detto, ma ancora tanto c'era da dire… lentamente prese la mano di Jet nella sua e si staccò dal muro…
“Vieni con me?”
Lui sorrise di nuovo leggendo tra le righe, ma trattenne la voglia di strapparsi i vestiti di dosso ancora per un attimo…
“Arrivo tra un minuto, devo fare una telefonata…”
“Non metterci troppo…”
Guardando sua moglie sfilare verso la stanza da letto ripensò alle parole di suo padre… costruisci una grande gabbia d'oro attorno alla tua donna e tienicela dentro, così diceva, ma il mondo intero non è forse una prigione troppo grande? Per quanto ancora avrebbe cercato Nataljia in lungo e in largo se non fosse stata lei a tornare? Quando si sarebbe finalmente stancato? Cosa non avrebbe mai saputo? E cosa si sarebbe perso? Tirò fuori il cellulare dalla tasca e compose velocemente il numero…
“Jet?”
La voce di Joe suonò stanca e preoccupata…
“Tutto bene fratello?”
All'altro capo il Mamba posò il bicchiere mezzo vuoto sul bancone del bar... negli ultimi giorni l'alcool aveva fatto da compagno alle sue riflessioni, al suo tempo perso e alle sue incertezze… non sapeva ancora se poteva restare in una città che non gli offriva più nulla se non brutti ricordi e tristi rimpianti…
“Tutto bene… che succede?”
Jet si domandò ancora una volta se parlare o tacere… sua moglie l'aspettava tra le lenzuola e la vita è troppo breve per restare a guardare… non sarebbe stato un capo freddo e crudele come suo padre, non avrebbe preso decisioni per nessuno dei suoi fratelli…
“Se n'è andata…”
Venne dritto al punto, senza bisogno di aggiungere il soggetto… Joe strinse il bicchiere tra le dita, cercando disperatamente un atteso senso di liberazione che però non riuscì a provare… i suoi maledetti sentimenti non sarebbero spariti con lei galoppando verso il tramonto… non l'avrebbe più vista… davvero non l'avrebbe più vista…
“Grazie Jet...”
Chiudendo la chiamata balzò in piedi… non se ne sarebbe andata a modo suo…
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Ed eccola lì, intenta a preparare la milionesima valigia della sua vita… un paio di telefonate erano state sufficienti per trovarla nella sua vecchia stanza d'hotel… raccoglieva le sue poche cose una ad una, perdendo il suo tempo a piegare ogni t-shirt ed abito con grazia e pazienza… era così diversa dall'ultima volta che avevo assistito a quella scena, così calma e distaccata… i lunghi capelli biondi, lasciati sciolti sulle spalle, accompagnavano ogni suo movimento, spiccando come oro contro le righe del suo vestito…
Mi mossi piano per non distoglierla ancora da quella lenta attività, ma tanto bastò per farle sollevare lo sguardo verso il mio… lunghe ciglia chiare ornavano i suoi grandi occhi azzurri, ancora non abbastanza riposati… smise di piegare l'ennesimo paio di anonimi pantaloni lasciandoli cadere sul letto…
Se solo non fosse stata così dannatamente bella...
“Te ne vai?”
Esordii, sottolineando l'ovvio… Françoise rimase in piedi ad assorbire il suono della mia voce…
Poi si fece coraggio…
“Credevo non volessi vedermi…”
Accennai un sorriso ironico tra me e me…
“Non in quel modo… non volevo vederti così…”
Lei inclinò appena il capo…
“Così come?”
Rivolsi gli occhi al pavimento… fredda? Vuota? Morta dentro?
“È morto da settimane ormai…”
E con quella scelta di parole il clima ovattato e sicuro in cui avevamo vissuto fino a quel momento cambiò di colpo… Françoise si leccò le labbra e scrollò le spalle…
“Il fatto che sia morto non vuol dire che sia tutto finito…”
D'istinto riprese i suoi abiti sgualciti tra le mani, stavolta appallottolandoli nervosamente…
“Non è forse quello che volevi?”
Françoise rivolse gli occhi al cielo…
“Sì…”
Rispose secca, senza nemmeno guardarmi... mi indispettì…
“Allora cosa? Perché non sei felice?”
Françoise mollò la palla di poliestere che stringeva tra le mani e si voltò verso di me…
“Felice? Che vuol dire felice?”
Ed ecco che la solita rabbia malcelata tornava a montare tra noi, pronta a farci parlare ancora una volta in due lingue totalmente diverse…
“Dimmelo tu…”
La sfidai, incrociando le braccia sulla mia camicia bianca… lei scosse la testa nervosamente…
“Felice non esiste per le persone come me…”
La guardai dall'alto in basso, fermandomi all'altezza delle sue pupille dilatate… quella risposta non era abbastanza… Françoise sospirò…
“Sollevata...”
Sollevai un sopracciglio…
“...mi sento solo sollevata…”
E probabilmente era il massimo che poteva concedermi…
Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e mi avvicinai lentamente a lei…
“È davvero tutto ciò che senti?”
Stavolta fu lei ad aguzzare lo sguardo perplessa, indietreggiando inconsapevolmente… era quello il nostro solito copione dopotutto, io che mi avvicino e lei che mi sfugge lontano….
“Che vuoi dire?”
Ero d'improvviso così vicino che potevo sentirne il profumo, dolce ed intenso come sempre… così vicino che il mio corpo ne assorbiva il calore fin sotto gli abiti…
“Sai cosa voglio dire…”
Le sue labbra tremavano, mentre cercava di apparire il più convincente possibile…
“No...”
Cercò i miei occhi…
“...non c'è altro…”
Avrei dovuto sentirmi ferito e rifiutato ancora una volta, ma il modo in cui il corpo di Françoise fremeva davanti ai miei occhi e l'amara consapevolezza che non l'avrei più vista, mi fornirono l'audacia per sollevare il braccio ed accarezzarle il viso con il dorso della mano… lei non si mosse neanche…
“Te ne andrai per sempre… puoi anche dirmelo adesso…”
La vidi raccogliere abbastanza forze per risollevare il suo scudo…
“Dirti cosa?”
“Cosa provi per me…”
“Non provo niente per te.”
Sputò immediatamente scuotendo la testa… rimasi del tutto impassibile…
“Allora dillo di nuovo...”
Insistei…
“...guardandomi negli occhi…”
Françoise strinse i pugni e accolse la mia richiesta…
“Non provo niente per te…”
Non mi mossi ancora…
“Di nuovo...”
Replicai…
“...stavolta senza tremare…”
Le venne da sorridere…
“Non ho intenzione di farlo…”
Rispose e con una mossa fulminea scappò dalla mia morsa…
La guardai fuggire all'altro lato della stanza…
“Sii onesta per una volta!”
Mi feci più forte senza alzare la voce… non l'avrei lasciata allontanarsi di nuovo…
“Non hai fatto altro che mentire dal momento in cui ti ho incontrata...”
Affilai lo sguardo e la lingua…
“...prova ad essere coraggiosa per una volta...”
Incalzai
“...coraggiosa come il Fantasma Nero che vuoi così disperatamente essere…”
Sputai con sdegno e disprezzo…
“È vero…”
Vacillai per un istante appena, tornando immediatamente fermo e vitreo…
“E' vero...”
Ribadì guardandomi dritto negli occhi…
“...ma non ha nessuna importanza…”
E mi lasciò lì, con il mio bel contentino…
Raccolsi quell'osso da terra come il cane che sentivo di essere... come riusciva a sbattermelo così in faccia senza nemmeno fare una piega? Io avevo il vento e il mare che mi si scontravano dentro, violentemente sbattuto tra la voglia di baciarla a sangue e quella di picchiarle la testa contro il muro… provai a muovermi, ma lei sollevò l'indice e tanto bastò per rimettermi al suo posto…
“No...”
Mi bloccò…
“Non muoverti...”
E finalmente abbassò gli occhi, afferrando qualcosa a caso dal tavolino…
“...non saremo mai quello che vorresti...”
Mi mossi ugualmente, deciso ad ignorare quell'ordine…
“Perché?”
Françoise ficcò quell'inutile qualcosa nella sua valigia…
“Smetti di parlare… devo andarmene…”
Mi sfilò davanti tornando alla mia occupazione originaria, spingendo dentro il trolley le ultime cose prima di tirare la zip…
“Aspetta…”
Un ordine, non certo una supplica, ma Françoise scosse il capo e proseguì…
“Non capisci... devo andarmene…”
E quella fastidiosa immagine tornò a far capolino nella mia mente… Albert Heinrich… quel pensiero divenne di colpo l'unico nella mia testa e prese a sbattere come un martello pneumatico nelle tempie… quello stronzo poteva averla, quel bastardo sì ed io no…
“Non sei sua…”
Sentenziai, disgustato dal solo pensiero del contrario… Françoise rispose al mio sguardo…
“Mi ha salvato la vita… gli devo ogni cosa…”
La fiamma della gelosia divampò ancor più alta nel mio petto… senza timori e senza controllo le afferrai il viso tra le mani…
“Non sei niente per lui… nulla più che un soldato sacrificabile…”
Françoise provò a scuotere la testa, ma non glielo concessi…
“Ti ha solo usata per il suo scopo, fregandosene del fatto che ti avrebbe resa sola e fredda come il ghiaccio...”
Affondai gli occhi il più profondamente possibile nelle sue iridi azzurre…
“...se torni da lui non cambierà nulla, non avrai nessun futuro…”
Françoise sembrò contemplare quell'evenienza, le sue piccole mani fredde si strinsero attorno ai miei polsi…
“E potrei averne uno con te?”
Domandò, speranzosa e sarcastica allo stesso tempo, come se le avessi proposto di fare il giro del mondo a bordo di un elefante volante e lei riuscisse quasi a crederlo possibile… allentai la presa…
“Potremmo…”
Totalmente fuori contesto lei sorrise e le mie gambe minacciarono di crollare…
“Sarebbe bello...”
Rispose, accompagnando le mie mani lontano dal suo viso… si passò le dita sullo stomaco…
“...ma queste cose, queste cose che sento dentro...”
Mi rivolse lo sguardo dell'innocenza…
“...io non le voglio…”
Sospirai ancora una volta… perché diavolo doveva essere così difficile? Stavolta l'afferrai per le spalle, cercando nei suoi occhi quella piccola crepa in cui forse sarei riuscito ad insinuarmi…
“E io voglio te...”
Scandii ogni parola perché le entrassero in quella testa dura, ma lei dissentì ancora una volta…
“Non c'è nessuna me...”
Fece un passo indietro senza che io la trattenessi…
“...senza la mia vendetta, senza la mia missione... io non sono niente…”
Sollevai le mani a mezz'aria…
“C'è un intero mondo là fuori…”
“Non per me… c'è un solo posto per me…”
Ed il fuoco tornò ad ardere…
“Vuoi davvero tornare da lui?”
Françoise mi guardò…
“Vuoi davvero far finta di non capire?...”
Scrollai le spalle…
“...sei un killer anche tu, anche tu vivi per questo… sai bene che non posso fuggire alle conseguenze delle mie azioni…”
Aggrottai la fronte… le rotelle dentro la mia testa giravano e giravano cercando di risolvere l'enigma…
“Quali conseguenze?”
Lei chiuse le palpebre respirando a fondo, il capo rivolto al pavimento…
“Avevo un solo compito... uno soltanto...”
La sua voce sembrò assottigliarsi, quasi volesse piangere…
“...ed ho fallito… ho fallito con Jack, con Albert, ho fallito con me stessa…”
Ed allora qualcosa nella mia mente si accese…
“È solo questo non è vero?”
La vidi muoversi nervosamente verso il letto, pronta ad afferrare la sua valigia…
“Siccome non hai premuto tu il grilletto pensi che la morte di Jack valga meno?”
Françoise rimase a fissare la coperta sgualcita…
“Non sono stata io…”
Ribadì… scossi la testa…
“Non conta niente…”
“Conta tutto invece!”
Stavolta la sua risposta fu secca e decisa, come un rombo nel silenzio… strinse il suo bagaglio tra le mani e lo sbatté a terra con forza…
“Ma tu non puoi capire...”
Riprese con sdegno tornandomi vicino…
“...tu hai avuto tutto quello che volevi...”
Sospirai…
“Non tutto…”
“Addio…”
Concluse, sfilando di fretta verso la porta della stanza, ma ancora prima di toccare la maniglia la afferrai alle spalle con forza e la inchiodai al muro… le piombai addosso poco delicatamente, le braccia avvolte attorno alla sua fragile figura ed il viso accostato alla curva del suo collo…
“Non ti lascerò tornare da lui...”
Ero deciso, fermo e determinato, quasi potessi rimanere così per sempre… Françoise spostò la testa all'indietro, lasciandomi inconsapevolmente ancora più spazio… le mie labbra le sfiorarono il collo, accennando l'ombra di un bacio, per poi raggiungere l'orecchio…
“Non ti lascerò tornare da lui...”
Ripetei, chiaramente quanto prima, la morsa ancora stretta attorno alla sua vita… lei provò a divincolarsi, ma io non glielo concessi ancora… se solo avessi davvero potuto rimanere lì fermo per l'eternità, lontano da tutto e tutti, avvolto soltanto da quel dolce profumo di fiori... se solo...
“Lasciami...”
Françoise si mosse ancora, provando a sguittare come un'anguilla tra le mie braccia…
“Lasciami!”
Ripeté… allentai la presa per un solo secondo, giusto il tempo di voltarla e spingerla ancora più forte contro la parete… gli occhi di Françoise gridavano rabbia, urlavano paura… le sue gambe scalciavano ed i suoi pugni mi colpivano i fianchi come quelli di una preda spaventata…
“Lasciami andare bastardo!”
Nemmeno le sue parole, piene d'astio e disprezzo, mi fecero desistere… non mi mossi, incassando ogni colpo come niente, fermo ed impassibile finché lei rimase a corto d'insulti e di fiato e solo allora, solamente allora, poggiai la mia fronte sulla sua... il suo respiro, corto e accelerato, mi arrivava in viso come una carezza…
“Non ti lascerò tornare da lui…”
Replicai ancora una volta, la voce bassa e le parole scandite…
Françoise chiuse gli occhi…un invito unico per me, le mie mani ora strette attorno ai suoi fianchi, le mie labbra ad un solo centimetro da quelle schiuse di lei, tanto vicina che già riuscivo ad assaporare il gusto della sua lingua… mi sarebbe bastato muovermi appena per averla nella mia bocca… conoscevo bene quel tremolio tra le sue ciglia e quell'agitazione nel suo respiro, la sua pelle vibrava e sicuramente la sua biancheria era già fradicia, ma no, non era quello che volevo, non stavolta… Françoise aveva parlato e adesso sapevo che si sentiva come me, ok forse non proprio come me, ma era comunque un inizio e non l'avrei rovinato per l'ennesima, seppur deliziosa, squallida sveltina… ora toccava a lei chiudere quel varco…
Di nuovo mi avvicinai addosso a lei, senza però toccare nessuno dei posti che lei avrebbe voluto…
I suoi occhi si spalancarono di colpo...
Notai immediatamente il suo cambio d'umore, ma non riuscii a leggere cosa stesse succedendo nei suoi occhi… mi allontanai appena, ma continuai a stringerla…
“Io voglio andare da lui...”
Quella scelta di parole non me l'aspettavo... e se un secondo prima ero sul punto di esplodere fuori dai pantaloni, adesso ero freddo come la pietra… mollai la presa quasi immediatamente, indietreggiando per poterla guardare da lontano, ansimante lì dove l'avevo lasciata… provai ad aprire la bocca, ma nulla ne uscì… mandai giù la voglia di gridare...
Lei si sentì forse in dovere di pronunciare qualcos’altro…
“Non è una decisione che puoi prendere tu…”
Mi limitai ad annuire e l'incanto fu definitivamente spezzato…
“Va'… torna pure dal tuo padrone...”
Indicai la porta che lei aveva alle spalle e, con sdegno, indietreggiai ancora… l'onda di sicurezza e presunzione provocata dalla sua precedente confessione s'infranse, lasciando il posto al vecchio Joe, quello che se ne fregava, quello perfettamente consapevole che presto o tardi si sarebbe dimenticato anche di lei, come di ogni altra cosa…
“Possiamo aver vissuto allo stesso modo, ma non siamo uguali...”
Non riuscì a guadagnare il mio interesse, non con quelle che al mio orecchio arrivavano come chiacchiere inutili…
“...io sono fastidiosa, e instabile, e provocatoria... finiresti per uccidermi…”
Sollevai lo sguardo, immaginando quell'evenienza nella mia testa una volta ancora… quante e quante volte avevo provato e perfino desiderato di ucciderla? Ogni singola volta la mia mano si era fermata, sia che pensassi di avere davanti un'innocente ragazzina, sia che sapessi benissimo di avere di fronte una, se non la peggiore, dei Fantasmi Neri... dubitavo di poter mai riuscire a farle del male, anche contando la sua lingua biforcuta…
“E io non voglio morire… non prima di aver vissuto…”
Quelle parole mi fecero aggrottare la fronte…
“Credevo che la morte non ti spaventasse…”
Il ricordo del nostro primo incontro balenò nella memoria di entrambi… gli occhi di Françoise caddero sul pavimento…
“Morire per mano tua mi spaventa…”
Ed io adesso ero ancora più confuso di prima…
“Non...”
Sollevai le spalle…
“...non ti farei del male…”
Potevo esserne sicuro? Probabilmente no… lei accennò una specie di sorriso continuando a guardare in basso, ma poi tornò subito a fissarmi…
“Devo andare…”
Non era più una protesta… era una constatazione… ed io non mi mossi... se tanto teneva a quell'uomo e alla sua opinione, era libera di correre a scoprire quale fosse… la tagliente abilità che aveva quella donna di farmi sentire un mostro ogni singola volta non mi sarebbe certo mancata… la guardai esitare ancora per un momento, ma presto le sue dita si chiusero attorno al manico del trolley e la porta si aprì, presto richiusa dopo l'ultimo fugace scambio di occhi…
Era finita… andata… conclusa…
Finita…
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Chiusi la porta alle mie spalle, ma i miei piedi non si mossero più lontano del pianerottolo… con lo sguardo basso ed il cuore acceso nel petto mi resi conto che davvero non avrei più visto gli occhi scuri di Joe… nessun uomo mi avrebbe più guardata così…
Rividi mio padre, i suoi grandi occhiali tondi ed i calli sulle mani… l'unico uomo al mondo capace di farmi sentire speciale, fosse anche solo per un C+ al compito di algebra… avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, qualsiasi cosa per un mio sorriso…
Ed io non avevo più sorriso, non con gli occhi, non con il cuore, non dopo quella notte terribile…
Avrebbe voluto altro per me, probabilmente qualsiasi altra cosa piuttosto che questo… il college, i palchi di Broadway, un grande matrimonio in pompa magna, magari un paio di mostriciattoli capricciosi…
Di certo, se poteva vedermi, non era fiero di me, né delle mie mani sporche di sangue, tanto meno del mio cuore di pietra… proprio lui che di carezze non ne aveva mai risparmiate… quanto mi sarebbero servite ora, con il vuoto completo davanti e null'altro che me stessa da portar via, troppo spaventata per poter anche solo pensare di aver sbagliato tutto, troppo vigliacca per ammettere di amare il figlio del mio peggior nemico…
Non volevo amarlo, davvero non volevo... ma gli occhi di Joe mi guardavano così, come fossi la creatura più bella e preziosa dell'universo, cosi come solo mio padre era riuscito a farmi sentire quand'ero bambina…
Avevo bisogno di quegli occhi… se davvero dovevo affrontare l'ignoto sotto forma di Albert Heinrich e di un mondo in cui non avevo mai realmente vissuto, allora avevo ancora bisogno di quegli occhi…
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Masticai i primi bocconi di libertà nella polvere di quella stanza vuota, chiedendomi quanto tempo sarebbe passato prima di smettere di sentire il suo profumo ovunque… neanche mi accorsi che la porta mi si apriva di nuovo alle spalle, riportando dentro la silenziosa sagoma dei miei problemi…
“Joe?”
Françoise pronunciò il mio nome con un filo di voce... davanti al suo visibile terrore, agli occhi lucidi e all'imbarazzo di una bambina, trattenni l'esplosione nel mio petto e sorrisi…
“Mi piace quando dici il mio nome… dovresti dirlo più spesso...”
Ma lei non disse nulla, percorrendo a lunghi passi la distanza che ci separava… mi afferrò il viso tra le mani e mi baciò, premendo le labbra sulle mie ad occhi chiusi, dritta sulle punte…
Quando ci separammo il mio sorriso era ancora lì, vivo e spontaneo…
Stavolta fui io a stringerla forte, cercando le sue labbra con delicatezza… il terrore non aveva ancora lasciato gli occhi di Françoise, ma decisi che sarei riuscito a cacciarlo, accarezzando il suo viso come mai prima mi era stato concesso… con le stesse labbra le baciai le guance, il naso, la fronte…
Le ciglia di Françoise si risollevarono, i suoi zigomi colorati dall'eccitazione e dalla paura… il petto le andava su e giù senza sosta, mentre le sue piccole mani attaccavano i bottoni della mia camicia… seguii il tremore di quelle dita sottili, sentendomi in fiamme al solo pensiero che presto mi avrebbero toccato…
Quando i miei occhi incontrarono quelle iridi azzurre, lucide e spaventate, il mio cuore quasi si sciolse… tremava, domandando silenziosamente il mio aiuto… il suo viso, come quello di una vergine, cercava di nascondersi dietro i pochi strati di mascara…
Sorrisi ancora, più bravo di lei a celare le paure… baciandola di nuovo la spinsi lentamente verso il letto, sollevando ad ogni passo l'orlo del suo vestito… più piano che potevo la aiutai ad alzare le braccia, cercando sul suo viso la più piccola smorfia di dolore… sollevato che non ve ne fossero gettai l'abito a terra, prendendomi un momento per apprezzare la bellezza di quel corpo, così chiaro e perfetto per le mie mani… le mie dita accarezzarono il cerotto sul suo fianco destro, la certezza di averla persa per sempre ancora cocente nel retro della mia mente…
Le mani di Françoise mi sfiorarono le spalle prima di baciarmi di nuovo, ancora ed ancora…
Il letto e le mani erano esattamente gli stessi, ma ogni cosa suonava diversa… le sue labbra al mio orecchio non parlavano più, sospirando profondamente al mio stesso ritmo… Le mani di Françoise stringevano forte senza graffiare la schiena, i suoi occhi chiusi ed il suo corpo nudo, abbandonato come mai prima…
La strinsi contro il mio petto, le dita intrecciate a quelle di lei… Françoise poggiò l'orecchio sul mio cuore, lasciandosi cullare da quel ritmo forsennato…
Il rumore dell'amore…
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Quando aprii nuovamente gli occhi, senza nemmeno bisogno di voltarmi dalla sua parte, fui certo che lei non ci fosse più… se n'era andata nel silenzio, come sapeva fare dannatamente bene… scostando le lenzuola mi tirai su, il ricordo della notte precedente ancora fresco addosso…
La ragazzina dell'aereo era mia…
Indeciso tra l'alzarmi subito o il restare a respirare il suo odore ancora un po', quasi non mi accorsi del foglio perfettamente piegato che riposava sull'altro cuscino… immediatamente lo raccolsi... la grafia di Françoise ne riempiva la metà, piccola ed armoniosa tra vocali tondeggianti e lettere sottili…
“Quello che ho detto ieri sera non è cambiato, devo ancora affrontare le conseguenze delle mie azioni…
Voglio vivere prima di morire... preferibilmente per mano tua…
Addio
P.S. Grazie per avermi salvato la vita”
E di nuovo sorrisi...

© 08/07/ 2021
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